“La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia” di Fulvio Delle Donne

La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia, Fulvio Delle DonneProf. Fulvio Delle Donne, Lei è autore del libro La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia edito da Carocci: di quale straordinario rinnovamento ideologico fu fautore Federico II di Svevia?
Federico II di Svevia (1194-1250) fu per un trentennio (a partire dal 1220) il signore più potente dell’Europa: un’Europa che, estendendosi a tutto il bacino del Mediterraneo, si presentava assai variegata dal punto di vista linguistico, culturale e religioso. Fu imperatore e re di Sicilia ed ebbe piena consapevolezza del proprio ruolo: una consapevolezza che acquisì gradualmente e in maniera sempre più netta mentre divampava il fuoco violentissimo del suo epocale scontro con il papato. Sapeva di essere uno straordinario protagonista della storia umana. È qui che si trova la radice primigenia che lo portò a farsi fautore di quello straordinario rinnovamento culturale, che egli più o meno esplicitamente e più o meno formalmente affidò ai letterati, agli scienziati e ai funzionari attivi presso la sua corte. Nei suoi apparati amministrativi le regole della retorica si fusero con le norme del diritto e le fondamenta ideologiche del pensiero cristiano si adattarono alle strutture filosofiche e scientifiche della speculazione aristotelica o averroistica. Uomini a lui legati scrissero opere che avrebbero influito per secoli sul pensiero scientifico e filosofico. Uomini a lui legati definirono una eccezionale lingua retorica che segnò l’evoluzione del latino fin oltre l’Umanesimo. Uomini a lui legati inventarono quella straordinaria lingua poetica che avrebbe costituito la base ineludibile della lingua letteraria italiana. In questa prospettiva, Federico organizzò l’acquisizione del sapere in funzione di un preciso progetto di governo, che trovò il momento fondativo nell’istituzione dell’Università di Napoli (1224). Gli insegnamenti lì offerti – come viene ripetutamente affermato – avrebbero costituito la scala per accedere alla conoscenza, e la conoscenza avrebbe aperto le porte della vera nobiltà, che non è quella di sangue, ma quella che fonde le virtù dell’animo con la capacità di amministrare gli uffici dello stato.

Qual era il contesto politico europeo sotto il suo regno?
Federico riunì nella sua persona sia il titolo di imperatore che quello di re dell’Italia meridionale: era, infatti, erede da parte di padre della dinastia imperiale degli Hohenstaufen, fondata da suo nonno, Federico I, il Barbarossa; discendeva, invece, dagli Altavilla da parte di madre, la quale era figlia di quel Ruggero II che fu il primo re del Regno di Sicilia. Nel momento in cui i suoi genitori Enrico VI e Costanza si sposarono (1186), nessuno poteva prevedere che il loro matrimonio (che rimase infecondo per 8 anni) avrebbe permesso l’unione di terre tanto vaste e strategiche, che coprivano l’intera Europa: l’unione dell’Impero col Regno avrebbe stretto nel mezzo, in una morsa mortale, Roma e i territori della Chiesa. Quando Federico (nato a Jesi il 26 dicembre 1194) rimase orfano di padre a tre anni (1197), la madre Costanza, priva di forze sufficienti, lo affidò alla tutela di Innocenzo III, il signore più potente dell’epoca, il papa che si faceva chiamare “verus imperator” (“vero imperatore”), perché gli avevano giurato fedeltà e sottomissione tutti i re dell’Europa. Ma quel papa pretese che mai Federico avrebbe assunto sia il titolo di imperatore che quello di re di Sicilia; e per tale motivo, proprio per evitare di trovarsi schiacciato sia da nord che da sud da uno stesso sovrano, si affrettò a far incoronare re della Germania e imperatore Ottone IV. Ma le cose andarono diversamente e nel 1220, dopo essere riuscito rocambolescamente a superare Ottone, Federico fu incoronato imperatore a Roma, divenendo il signore più potente della terra. Troppo potente! Per questo, la Chiesa lo contrastò in ogni modo, appoggiando costantemente i Comuni dell’Italia settentrionale, che per lunghi anni gli fecero guerra con alterni successi. Federico per molti anni imperversò nell’Italia settentrionale, cercando di domare i ribelli. Così, nel luglio del 1247 cominciò a cingere d’assedio Parma, e difronte a essa fece edificare una cittadella militare che battezzò Vittoria. Il nome, però, che doveva essere benaugurante, non gli portò fortuna. Il 18 febbraio del 1248, approfittando della circostanza che Federico si era allontanato per una partita di caccia, gli assediati, sotto il comando del legato pontificio Gregorio di Montelongo, fecero una sortita improvvisa: Vittoria fu completamente distrutta e molti furono catturati o uccisi. Il tesoro imperiale fu saccheggiato e furono sottratti persino una corona, il sigillo imperiale e una copia del De arte venandi cum avibus, l’opera di Federico sulla caccia col falcone. Il colpo fu terribile e Federico non ebbe più occasione di riprendersi. Questo aprì la strada allo sviluppo ulteriore dei Comuni dell’Italia centro-settentrionale.

Quali vicende segnarono il suo lungo regno?
Federico II di Svevia fu di fatto l’ultimo imperatore del Medioevo. In questo modo lo caratterizza anche Dante, che nel Convivio lo definisce appunto l’«ultimo imperadore delli Romani». In verità, altri furono designati a questa sublime funzione, ma nessuno ebbe la sua stessa altissima consapevolezza: una consapevolezza che dimostrò costantemente. Nel 1224 fondò la prima università “pubblica” della storia: quella di Napoli, che ora porta il nome del suo fondatore. Nel 1228-1229 portò a termine una crociata “diplomatica”, con la quale, senza spargimento di sangue, dopo molti decenni fu consentito ai Cristiani di potersi recare a Gerusalemme e in Terra Santa: un evento straordinario, che fu celebrato pubblicamente come un miracolo divino. Fu il primo, dall’età di Giustiniano, a organizzare e pubblicare un corpus sistematico di leggi (le Costituzioni melfitane del 1231), prevedendo norme che avrebbero avuto effetti fino all’età di Napoleone. La cosa stupefacente, però, è che gran parte delle sue imprese più eccezionali furono da lui compiute mentre era scomunicato: la scomunica a quel tempo era uno strumento usato dalla Chiesa contro chi si opponeva alla sua supremazia politica, e andava aldilà della fede religiosa. Contro Federico II fu lanciata la scomunica almeno due volte; nel 1245, poi, venne anche deposto dalla carica imperiale.

In che modo la sua corte divenne polo attrattivo di tradizioni culturali multiformi e centro propulsore di innovazioni letterarie e scientifiche?
L’Italia meridionale, nel XIII secolo, era il luogo in cui si potevano incontrare contemporaneamente la maggior quantità di culture e popoli diversi. In particolare, Federico II visse fino a 14 anni a Palermo. Secondo Pietro da Eboli, il poeta che celebrò la nascita di Federico II come l’avvento di una nuova età dell’oro, nel Liber ad honorem Augusti si rivolgeva alla città di Palermo, dicendola «felix, populo dotata trilingui», cioè «felice, dotata di un popolo trilingue». Le tre lingue, come risulta chiaramente anche da una miniatura che adorna l’unico, preziosissimo manoscritto che conserva l’opera (Berna, Burgerbibliothek, 120 II), erano il latino, il greco e l’arabo. Il latino era l’idioma principale, ma gli altri pure erano molto usati. Molteplici, del resto, erano le etnie presenti, come si comprende da un’altra miniatura dello stesso codice, che a piena pagina raffigura, in alto, il lavoro di medici e astrologi musulmani al capezzale del moribondo re Guglielmo II d’Altavilla, e, in basso, il pianto per la morte di quel re da parte un variegato popolo di Palermo, composto di Cristiani e Musulmani, riconoscibili perché portano il capo coperto dal turbante. Le indagini scientifiche e le riflessioni filosofiche che si svilupparono alla corte di Federico trovarono linfa e alimento nella cultura dei Musulmani, degli Ebrei e dei Greci presenti in Italia meridionale. Attraverso la rinnovata conoscenza di Aristotele e dei suoi commentatori arabi, attraverso le traduzioni dal greco, dall’arabo e da altre lingue l’evoluzione del pensiero latino ebbe uno sviluppo enorme, in un ambiente che, per tradizione normanna, per vocazione geografica e per gli interessi dell’imperatore, funse da crogiolo catalizzatore di diverse culture: fu proprio la loro compresenza a generare uno dei centri di sviluppo intellettuale più importanti e innovativi dell’intero Medioevo. L’Italia meridionale, in quei decenni, fu il centro del mondo, il punto di origine di una straordinaria crescita culturale. Non è certo in quest’epoca e in quest’ambiente che possono affondare le radici della “questione meridionale”.

Chi furono i protagonisti di quella rivoluzione culturale?
L’età di Federico II fu straordinaria in molti ambiti della produzione culturale. Per quanto riguarda la letteratura in latino, il più grande di tutti fu Pier della Vigna, che Dante ha reso immortale come protagonista del canto XIII dell’Inferno. A lui è attribuita una importantissima raccolta di epistole retoricamente ornate, che ebbe una diffusione enorme e influenzò la scrittura letteraria per secoli. La circostanza che Dante gli dedichi un intero canto e che, inoltre, lo faccia parlare proprio con le parole che trovava nel suo epistolario ci rende ben consapevoli della grande notorietà del personaggio, la cui opera è estremamente importante sotto un duplice profilo: sia perché costituisce una fonte primaria per la ricostruzione di molte vicende politico-istituzionali, sia perché va certamente riconosciuta la centralità del suo stile retorico nella storia letteraria del XIII secolo. Per quanto riguarda il volgare, va ricordato che la letteratura italiana nasce proprio attorno a Federico II, con la cosiddetta “scuola poetica siciliana”, che ha offerto (e continua tutt’ora a offrire) alla poesia lingua, tematiche e strutture metriche. Il più importante autore è identificabile in Giacomo da Lentini, l’inventore del sonetto. Per quanto riguarda, poi, la filosofia e le scienze, i protagonisti furono soprattutto Michele Scoto, anch’egli citato da Dante, e Leonardo Fibonacci, colui che ha importato in Occidente i numeri arabi (o arabo-indiani) e ha introdotto l’uso dello zero, consentendo alla matematica di svilupparsi nella maniera che conosciamo. Senza dimenticare lo stesso Federico, autore del De arte venandi cum avibus, che non è solo un manuale sulle tecniche di caccia col falcone, ma un vero e proprio trattato di ornitologia e di scienze naturali.

Quale dirompente concezione culturale si sviluppò alla corte federiciana?
La corte di Federico dovette essere ben diversa da quella che saremmo portati a immaginarci, forse per influenza di quanto avvenne nel Rinascimento. Quella dell’imperatore svevo non ebbe sede fissa in nessuna città: nessuna città, del resto, era capitale del Regno o dell’Impero. La corte era itinerante, si trovava là dove era il sovrano: lo accompagnava in tutti i suoi viaggi. Soprattutto negli ultimi decenni, ebbe prevalentemente la fisionomia dell’accampamento militare. Questo non impedì che si verificassero eccezionali momenti di sviluppo culturale, che però non si svolsero in un solo luogo o in un medesimo momento. Ecco, non dobbiamo pensare alla corte di Federico come a uno spazio fisico in cui si collocano uffici materiali, ma come uno spazio ideale, rappresentato dall’insieme degli uomini che amministravano quegli uffici. Accanto agli ufficiali, che erano chiamati a svolgere le loro mansioni ovunque ce ne fosse bisogno, naturalmente trovarono posto letterati, scienziati o artisti, ma è davvero improbabile che tutti seguissero l’imperatore sempre e ovunque. È stata l’idealizzazione mitizzante successiva a generare molti degli aneddoti che rappresentano Federico a colloquio costante e diretto con l’uno o con l’altro uomo di scienza o di lettere. I colloqui o dialoghi non mancarono, ma forse si svolsero prevalentemente a distanza, secondo la prassi frequente dei quesiti e delle indagini conoscitive, che costituì una delle cifre caratterizzanti della cultura dell’epoca, e di quella federiciana in particolare. Un centro fisicamente più individuabile fu l’Università di Napoli, destinata a permanere nei secoli come il prodotto più duraturo del genio di Federico II. Essa costituì, probabilmente, il fulcro del sistema di governo federiciano: offrendo la porta di accesso al sapere e, dunque, alla nobiltà d’animo e “di toga”, nacque per fornire personale competente e perfettamente istruito agli apparati amministrativi. Ed è proprio qui che è possibile riconoscere la concezione culturale più dirompente: per la prima volta nella storia, lo studio e l’istruzione furono riconosciuti come una scalinata che conduce al sapere, unica porta di accesso sia alla nobiltà spirituale delle virtù sia a quella più concreta delle professioni funzionali all’amministrazione statale. Una innovazione che, già riconosciuta esplicitamente da Dante, da allora guida l’evoluzione del pensiero umano.

Fulvio Delle Donne è Professore Associato di Letteratura latina medievale e umanistica presso il Dipartimento di Scienze umane dell’Università della Basilicata nonché Presidente della Commissione paritetica del Dipartimento di Scienze umane e Coordinatore del Comitato scientifico della BUP – Basilicata University Press. Ricopre anche la carica di Presidente del Centro Europeo di Studi su Umanesimo e Rinascimento Aragonese – CESURA

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