“La politica religiosa di Giuliano l’Apostata” di Goffredo Coppola

La politica religiosa di Giuliano l’Apostata, Goffredo CoppolaLa politica religiosa di Giuliano l’Apostata
di Goffredo Coppola
a cura di Arcangela Tedeschi
Edizioni di Pagina

«Il saggio di Goffredo Coppola, qui riproposto, fu pubblicato, in due parti, sulla rivista «Civiltà moderna» nel 1930; in seguito, non fu più ristampato. È l’unico articolo edito da Coppola su questa rivista ed è anche l’unico lavoro che, nella sua pur ampia produzione scientifica e pubblicistica, egli abbia dedicato a Giuliano imperatore. […]

Coppola fornisce della complessa e multiforme personalità dell’imperatore una immagine in un certo senso appiattita ed unilaterale, poiché, seguendo e portandosi oltre una tendenza piuttosto diffusa presso la critica del tempo, privilegia dell’imperatore la sola dimensione militare e soprattutto politica, descrivendolo, fin dalle prime battute, appunto come «un vero uomo d’azione, capace di mirabili energie di condottiero e di politico» (p. 34). E, in realtà, l’intera trattazione si snoda su questa linea, fornendo del regno di Giuliano una lettura in chiave prevalentemente politica. Con acuta intuizione, Coppola capovolge la prospettiva tradizionale, sostenendo e sforzandosi di dimostrare, con argomentazioni spesso condivisibili, che in Giuliano non furono le convinzioni religiose a condizionare le scelte politiche, ma, viceversa, fu «l’uomo di governo a far nascere in lui il capo della nuova religione» (p. 36) – che egli cercò d’imporre –, di una religione, cioè, che «non era né cristiana né pagana», poiché creata da un uomo che, sebbene ormai ribelle alla fede cristiana nella quale era stato educato, tuttavia non riusciva più a riconoscersi nel vecchio Paganesimo, ormai languente e svuotato dei suoi valori etici e religiosi.

Giuliano ebbe, secondo Coppola, il merito di aver intuito, per primo tra gli imperatori, che la crisi in cui versava l’Impero era determinata, per un verso, dal progressivo affievolirsi dei princìpi etici, su cui, da sempre, si era retto, e, per altro verso, dalla forza dirompente del Cristianesimo, che, distruggendo il passato, si diffondeva e radicava sempre più stabilmente nei gangli vitali dell’Impero, grazie alla sua organizzazione sociale e culturale, ed alla vitalità dei valori morali e religiosi che i suoi seguaci propugnavano. Di qui, dunque, la necessità di salvare l’Impero attraverso una riforma che fosse politica, ma soprattutto etica e religiosa; una riforma che, ispirandosi ai metodi, alla organizzazione, ai fondamenti morali della Chiesa cristiana, avrebbe dovuto, nelle intenzioni del suo ideatore, infondere nuova linfa vitale in un Paganesimo ormai esangue e, nel contempo, combattendo il Cristianesimo sul suo stesso terreno, contrastare il pericolo crescente di una sua egemonia sullo Stato.

In particolare, Coppola dà risalto alla decisione di Giuliano di “fondere” nella sua persona il potere politico ed il potere religioso, «che minacciavano di separarsi irrimediabilmente e di costituire due Stati tra loro contrapposti o l’uno all’altro sottomesso» (p. 36). Lo studioso, infatti, definisce «geniale» quella misura giulianea, perché, facendo dell’imperatore non solo il capo politico e militare dello Stato, ma anche il capo spirituale di una sorta di Chiesa pagana a lui soggetta, di fatto risolveva il drammatico problema del conflitto tra i due poteri, che sempre più minava la sicurezza e l’unità dell’Impero.»

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