“La pirateria marittima. Storia di ieri storia di oggi” di Jean Paul de Jorio

Avv. Jean Paul de Jorio, Lei è autore del libro La pirateria marittima. Storia di ieri storia di oggi. Inquadramento giuridico di un fenomeno che è tornato di attualità dall’Oceano Indiano al Mar Mediterraneo edito da Jovene: quando nasce il fenomeno della pirateria?
La pirateria marittima. Storia di ieri storia di oggi, Jean Paul de JorioIl fenomeno è antichissimo, tanto da essere stato definito “vecchio quanto la storia”. Del resto anche gli eroi dei poemi omerici – da Achille a Ulisse – si sono cimentati con profitto nel ‘brigantaggio di mare’. Quello che più sorprende è la straordinaria vitalità della pirateria, che non scompare mai del tutto, e si manifesta nei secoli, con maggiore o minore intensità, nella generalità dei continenti. Essa è stata per lungo tempo endemica nel Mediterraneo, tanto che non possiamo affermare che fosse praticata in maniera esclusiva da un determinato popolo. Forse solo i romani – tradizionalmente legati alla terra – non si dedicarono mai a tale attività, mentre per gli etruschi e per i greci essa rappresentò quasi uno ‘stile di vita’, consustanziale alla navigazione o al commercio marittimo.

In che modo il diritto romano puniva la pirateria e che evoluzione ebbe tale disciplina in età tardo antica?
Il diritto romano disciplinava la materia nelle sue varie declinazioni in maniera esaustiva, circostanza quest’ultima che riflette la diffusione della pirateria e la sua incidenza a livello politico, economico e sociale. Il pragmatismo del legislatore portò tuttavia all’introduzione di una normativa che non riconosceva alcuno spazio giuridico ai ‘predoni del mare’, negando loro un qualsivoglia status, al contrario di quanto accadeva sia per i belligeranti, sia anche per gli indiziati di gravi delitti. In caso di cattura i pirati avevano di fronte ben poche alternative: la morte o i lavori forzati a vita. Del resto, anche a livello civilistico, al contrario di quanto previsto dall’ordinamento per i prigionieri di guerra, chi era vittima di sequestro continuava ad esercitare una piena potestas sul proprio patrimonio, non perdendo facoltà alcuna. Oggi come allora, molto spesso la pirateria costituiva un secondo lavoro, che integrava altre attività come la pesca.

Come si articolò il contrasto alla pirateria nel Mediterraneo ispano-napoletano?
Le vicende del Regno di Napoli sono intimamente legate alla pirateria, tanto che per oltre tre secoli, le coste del Mezzogiorno furono flagellate dalle incursioni dei predoni barbareschi e turchi. L’esame dei provvedimenti legislativi adottati dalle autorità ispano-napoletane – sia in materia di difesa costiera, che per quanto concerne il riscatto dei prigionieri – ci fa comprendere la magnitudo di questo problema. È possibile affermare, in tutta tranquillità, che nel corso del ‘500-‘600 furono catturati dai pirati almeno 500mila meridionali. Le coste del Sud furono abbandonate per almeno duecento anni dai loro abitanti, venendo ripopolate solo nell’ottocento. Il più sicuro rifugio, soprattutto per coloro che vivevano nei centri di piccole e medie dimensioni, era costituito dal trasferimento a Napoli – protetta dalle sue piazzeforti – o dallo spostamento verso l’interno, lontano dal mare. L’esplosione demografica della Capitale del Regno nel ‘500 è principalmente dovuta a tali dinamiche.

Come viene disciplinata la pirateria nel Codice della navigazione e nella legislazione italiana vigente?
Il Codice della navigazione disciplina la pirateria agli artt. 1135 e 1136, prevedendo pene molto severe. L’elemento costitutivo del delitto è la commissione di atti di depredazione per proprio od altrui profitto. Il Codice non limita la punibilità alle condotte poste in essere nel solo ‘alto mare’ (come invece fanno altri ordinamenti), ma ricomprende in un’unica fattispecie anche gli atti di pirateria consumati nelle acque territoriali, cioè la cd. pirateria per analogia. Soluzione quella adottata dal legislatore codicistico nel 1942, che va salutata a tutt’oggi con favore, soprattutto se si considera, che sempre più spesso vengono compiuti abbordaggi anche all’interno delle nostre acque territoriali.

Di fronte alla recrudescenza del fenomeno e al numero sempre crescente di navi prese di mira – in particolar modo al largo della Somalia – il Legislatore è intervenuto con il D.L. n. 107/2011, introducendo nel nostro ordinamento la possibilità di imbarcare sul naviglio mercantile battente bandiera italiana dei Nuclei militari di protezione o delle guardie giurate. Vero è, che dopo il caso dei marò, la normativa è stata novellata ed oggetto di parziale abrogazione, essendo oggi unicamente previsto (peraltro tra mille difficoltà di natura amministrativo-burocratica che rendono estremamente complesso e gravoso l’esercizio di tale diritto), il solo imbarco delle guardie giurate.

Come si configura la pirateria nel diritto internazionale e nel diritto comparato?
Nel diritto internazionale, i principali strumenti normativi che disciplinano la repressione della pirateria sono costituiti dalla Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958 e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Entrambe codificano principi generali del diritto internazionale consuetudinario, e cercano di porre fine al alcune incertezze che da sempre hanno caratterizzato la prevenzione e la repressione di tale attività illecita. Il contemperamento di vari diritti – quali la libertà dell’alto mare e la ‘legge della bandiera’ – e l’esigenza di garantire la sicurezza della navigazione risulta compito non facile. Proprio il contrasto tra Stati (e la sottovalutazione del fenomeno da parte dei Governi), ha consentito alla pirateria di crescere e prosperare. A ciò hanno contribuito anche le numerose lacune legislative che connotano molti ordinamenti, quali quello francese e quello spagnolo ad esempio. Sino ad epoca recentissima, essi non solo non prevedevano la punibilità di tale fattispecie di reato, ma anche a livello processuale, non consentivano la perseguibilità dei pirati, tanto che i rispettivi parlamenti sono dovuti intervenire ripetutamente per colmare tali lacune. Il ripetersi degli abbordaggi di navi battenti bandiera di questi due Stati, ha costretto le Autorità di questi paesi a rivedere la loro politica criminale verso i ‘discendenti di Sandokan’.

Quanto è diffusa la pirateria oggi?
La pirateria è diffusissima, come dimostrano anche episodi di cronaca (tra questi l’assalto ad un mercantile italiano nel Golfo del Messico avvenuto pochi giorni fa). Non vi è mare od oceano che non sia afflitto da questo problema, tanto che annualmente gli arrembaggi possono essere annoverati in diverse migliaia (le statistiche internazionali sono abbastanza lacunose al riguardo perché molto spesso gli armatori evitano di denunciare, per vari ed inconfessabili motivi). Nel corso degli anni la pirateria ha assunto una ‘dimensione industriale’ soprattutto in Africa (dapprima orientale e poi occidentale) ed in Asia. Occorre osservare come molto spesso instabilità politica e attività illecite praticate sul mare vadano di pari passo.

Neppure il Mediterraneo è al sicuro dalle incursioni piratesche, tant’è che negli ultimi mesi abbiamo visto il ripetersi di assalti a pescherecci ed imbarcazioni da diporto – sia in acque internazionali, che in acque territoriali – che tuttavia non hanno ricevuto alcun eco di stampa. L’‘istituzionalizzazione’ dei sodalizi che praticano la pirateria ed il controllo del territorio che sono in grado di esercitare è poi dimostrata dal fatto che molto spesso essi diventano interlocutori privilegiati sia per gli Stati, che per gli armatori, tanto che questi ultimi sempre più spesso si ritrovano a pagare il ‘pizzo’, mascherato da contratti o licenze di vario genere, a questi gruppi o a soggetti ad essi contigui. Un esempio che ci interessa molto da vicino è costituito dall’accordo raggiunto nel mese di settembre 2019 tra Federpesca ed i miliziani del Generale Haftar. I pescherecci italiani, ormai sempre più spesso presi di mira dalle diverse fazioni in lotta nel paese nordafricano, vengono considerati come dei veri e propri bancomat da cui attingere in tutta tranquillità (di rilievo che nonostante ciò, il Mediterraneo non rientra tra quelle aree ove è possibile utilizzare guardie giurate per la difesa del naviglio battente la nostra bandiera nazionale [!]).

Quali sono le aree più esposte al rischio pirateria e qual è la posizione del nostro Paese e della Comunità internazionale?
Le zone più a rischio sono le acque prospicienti la Somalia ed il Golfo di Guinea in Africa, mentre in Asia, lo Stretto di Malacca. La flotta mercantile italiana è tra le più esposte, ed è stata ripetutamente colpita nel corso degli anni (tanto che il riscatto più importante della storia recente della pirateria, superiore agli 11 milioni di dollari, è stato pagato proprio per liberare l’equipaggio della petroliera “Savina Caylyn”, dirottata nel corso del 2011 al largo del Corno d’Africa). Chiaramente, la pirateria rappresenta una grave minaccia per l’economia mondiale e nazionale, in quanto incide annualmente – direttamente o indirettamente – per svariate decine di miliardi di dollari sul comparto marittimo. Essa espone ad un sicuro rischio l’approvvigionamento energetico, ma soprattutto influisce negativamente sulla libertà di navigazione.

Così come mette a repentaglio anche le relazioni tra gli Stati. Non dimentichiamo la nota vicenda dei marò, che vede fronteggiarsi a tutt’oggi a livello politico-diplomatico e giudiziario, l’India ed il nostro Paese. Contenzioso che scaturisce proprio da un episodio di pirateria. La comunità internazionale ha sottovalutato il fenomeno per molto, forse troppo tempo, consentendo ai gruppi dediti a questa attività di consolidare il proprio potere, e saldare alleanze con il terrorismo e la criminalità organizzata di cui sono spesso espressione. Non può sottacersi che le missioni di polizia internazionale di cui protagonista è stata anche l’Italia, hanno solo parzialmente affrontato e risolto il problema perché le risorse allocate sono comunque modeste rispetto alle reali dimensioni della pirateria. A ciò si aggiunga che molti Stati non sono veramente interessati a debellare questo flagello giacché offre un comodo alibi per coltivare i propri disegni geostrategici, anche molto lontano dalle proprie coste.

Come si manifestano la moderna guerra di corsa e il diritto di rappresaglia?
Proprio per contrastare più efficacemente la pirateria, è stato ripetutamente proposto (quasi esclusivamente ad opera della dottrina statunitense), di reintrodurre un istituto giuridico considerato perlopiù desueto, che anzi, secondo la maggior parte degli studiosi è addirittura stato espunto dal diritto internazionale, cioè le ‘patenti’ o ‘lettere di corsa’. La guerra corsara è stata tradizionalmente annoverata come il naturale ‘antidoto’ alla pirateria, e, proprio alla luce delle esperienze maturate nei secoli scorsi è quella più economicamente vantaggiosa in termini finanziari. Vero è che tale proposta è ad oggi stata avversata da più parti, perché gli Stati sono gelosi custodi del monopolio dell’uso della forza, e non vogliono delegare a chicchessia l’offensiva contro la pirateria. Occorre tuttavia notare come l’uso dei contractors per proteggere le navi sia ormai diffusissimo, risultando lo strumento più efficace per respingere gli abbordaggi. La privatizzazione della sicurezza è accettata dunque in chiave difensiva (seppur con numerose restrizioni e distinguo), ma non come misura offensiva.

Quali problemi solleva il contrasto alla pirateria in riferimento al rispetto dei diritti umani?
La legittimità dell’arresto e del processo nei confronti dei pirati ha visto pronunciarsi diversi plessi giurisdizionali. La problematica più importante che è emersa va individuata nel rispetto dei diritti umani degli indagati/imputati del reato in parola. Ad esempio, la Corte europea dei Diritti dell’uomo ha ritenuto lesivi dei diritti fondamentali i procedimenti e le successive condanne inflitte a diversi pirati ad opera dei tribunali francesi, giacché avulse dal rispetto del principio di legalità e dei dettami del giusto processo, costituendo peraltro una ingiusta detenzione. Questo indirizzo ha inciso molto negativamente sull’esercizio dell’azione penale e della giurisdizione (che nel caso della pirateria è universale, potendo essere indifferentemente esercitata da tutte le nazioni, anche quelle i cui cittadini non hanno direttamente subito alcun pregiudizio da parte dei pirati), poiché è ormai diffusissima la prassi di disarmare questi ultimi e liberarli subito dopo la cattura.

Quali prospettive per la ‘guerra’ alla pirateria?
In prospettiva ritengo che assisteremo nei prossimi anni ad un aumento degli episodi di pirateria, soprattutto in virtù della scarsa attenzione che viene prestata a questo fenomeno da parte delle Organizzazioni internazionali e dei singoli Stati. Ad oggi, l’unica misura che si è rivelata efficace per respingere e perciò scoraggiare gli abbordaggi, è la presenza a bordo dei mercantili di guardie armate. La principale difficoltà all’esercizio della difesa legittima è proprio l’ostilità degli ordinamenti nei confronti dell’utilizzo della forza da parte di soggetti privati, pur debitamente autorizzati. A ciò si aggiunga, che le basi dei pirati – siano esse situate in Africa o in Asia – non vengono colpite da operazioni di polizia internazionale, che si limitano a pattugliare l’alto mare, lasciando perciò del tutto indisturbate queste ultime, divenute ormai vere e proprie roccaforti inespugnabili, inserite a tutti gli effetti in reti criminali transnazionali.

Jean Paul de Jorio, avvocato e docente universitario, è autore e curatore di diverse opere in materia di diritto amministrativo, costituzionale e tutela internazionale dei diritti umani. Tra queste possono annoverarsi il Codice delle Leggi di Pubblica sicurezza, Lo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa. Profili e problematiche alla luce della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo nonché Le interdittive antimafia ed il difficile bilanciamento con i diritti fondamentali.

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