“La pioggia nel pineto” di Gabriele d’Annunzio: testo e parafrasi

La pioggia nel pineto (Alcyone)

Siamo in Versilia, dove d’Annunzio passò una parte dell’estate del 1902, il momento di massima creatività per Alcyone, anche se «l’estate alcionia durò, in effetti, un quadriennio, una lunga stagione che si sgrana tra la tarda primavera, in cui videro la luce i primi testi, nel 1899 […] e l’autunno inoltrato del 1903». Ermione, la donna che accompagna il poeta, è un nome omerico (è la figlia di Elena e Menelao), ma Mengaldo ha additato una fonte scespiriana, nel Racconto d’inverno. Quel che è certo è che il nome di Ermione cela la grande attrice Eleonora Duse, amante e ispiratrice di d’Annunzio per diversi anni, a cavaliere dei due secoli.

La poesia, in quattro “strofe lunghe” (definizione d’autore) alterna liberamente versi di misura diversa, dal ternario al novenario; i ternari sono rappresentati in grande maggioranza da un aggettivo o da un sostantivo in inarcatura: «gocciole e foglie / lontane» (6-7), «mirti / divini» (14-15), «solitaria / verdura» (34-35) ecc.; seppure non in sede fissa, sono molto numerose le rime – sogliefoglie (1, 6), odoodo (2, 4; rima identica) –, anche all’interno di verso (umanelontane, 4, 7), e, in generale, le corrispondenze foniche: Taci (1) è in consonanza con dici (3), e l’eco si coglie anche grazie al fatto che si tratta di due bisillabi. La poesia è scandita da parole e da strutture ricorrenti: Piove (8), ripetuto altre otto volte, odo, odi, ode, in tutto cinque esempi a partire dal verso 2; i versi 52-59 e 110-116 sono altrettanti polisindeti. La poesia ha un marcato indice di allocutività: si rivolge a un’interlocutrice, Ermione, sollecitandone l’attenzione perché colga la musica della pioggia e partecipi alla trasfigurazione delle cose in esseri animati e degli esseri umani in elementi della natura. Al primo effetto mirano gli imperativi – Taci (1), Ascolta (8, 40, 88 e, ripetuto, 65) – e l’interrogativa fàtica Odi? (33). La fusione con la natura (si parla in proposito di “sentimento panico”) si fonda su una serie di immagini: le fattezze umane si trasfigurano: i volti sono «silvani» ‘divenuti parte della selva’ (21, 117), i due vivono «d’arborea vita» ‘della stessa vita degli alberi’ (55), Ermione è una «creatura terrestre» ‘generata dalla terra’ (62); similitudini e metafore accentuano questa serie di corrispondenze: Ermione sembra uscire dalla scorza di un albero (101), il cuore «è come pèsca / intatta» (104-105), i denti «son come mandorle acerbe» (109).

La raffinata musicalità del testo non fa leva sull’onomatopea – ce ne è solo una: crosciare (82) e croscio (85) –, ma sul potenziamento fonosimbolico di parole dotate di un significato altro, per alludere all’effetto acustico della pioggia a seconda dell’oggetto colpito: «salmastre ed arse» (11; insistenza sulla sibilante s), «pini […] irti» (12-13; insistenza sulla i).

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo

[5] parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.

[10] Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti

[15] divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,

[20] piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti

[25] leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella

[30] che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria

[35] verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.

[40] Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,

[45] né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti

[50] diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,

[55] d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome

[60] auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

[65] Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto

[70] che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.

[75] Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.

[80] Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,

[85] il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria

[90] è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!

[95] E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par che tu pianga
ma di piacere; non bianca

[100] ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca

[105] intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.

[110] E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)

[115] chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,

[120] su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,

[125] su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

6 gocciole e foglie: sono i soggetti di parlano, usato come transitivo secondo l’uso letterario (“Che parli?” è frequente nel linguaggio della tragedia e del melodramma).
10 tamerici: sono le myricae di Pascoli
19 coccole aulenti: bacche odorose
29 la favola bella: è in primo luogo l’amore che illude i due amanti; il verso 31 si ripresenta, con rovesciamento dei pronomi personali, nel verso 127
35 verdura: vegetazione
43 il pianto australe: la pioggia portata dall’austro, vento meridionale
60 auliscono: profumano; il verbo aulire (lat. olēre ‘odorare’), presente nella poesia duecentesca, sarà rimesso in circolo da Carducci e d’Annunzio; più stabile la fortuna del participio aulente (qui al verso 103)
61 le chiare ginestre: in un taccuino del 1899, in cui si annotano alcuni spunti che poi sarebbero confluiti nella poesia, si legge: «le ginestre sono così chiare che sembrano illuminare i luoghi ove fioriscono»; anche al verso 16 i fiori erano stati definiti fulgenti
66 aeree: «che cantano sugli alberi» (G. Belletti)
84 monda: purifica
89 La figlia dell’aria: la cicala. Come in figlia del limo ‘rana’ (90-91) un certo dato metonimico – la cicala vive all’aria aperta, la rana vive nel fango – viene interiorizzato e considerato ‘genitore’ del designato. Espressioni del genere ricorrono nell’Ossian di Melchiorre Cesarotti (1763), che tradusse in italiano le poesie attribuite al mitico bardo Ossian, ma in realtà quasi per intero scritte dal poeta scozzese James Macpherson. Nel Dizionario di Ossian, annesso alle migliori edizioni, si leggono per esempio figlie dell’arco ‘cacciatrici’ (inglese daughters of the bow), figlio del colle ‘abitatore’ (son of the hill) e così figli del freno ‘cavalli’, figlia del cielo ‘Luna’ ecc.
100 virente: verdeggiante; latinismo caro a d’Annunzio
101 par… esca: «come le amadriadi, ninfe dei boschi della mitologia classica» (Giunta)
107 polle: sorgenti
110 di fratta in fratta: attraverso i cespugli

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