
Quando si parla di capacità di elaborazione dei contenuti del messaggio non si intendono soltanto le capacità relativamente stabili come l’intelligenza o il livello di istruzione, ma anche quelle dovute a condizioni transitorie che condizionano lo sforzo di riflessione che una persona è in grado di produrre in un determinato momento (per esempio la stanchezza, il sonno), oltre al grado di comprensibilità del messaggio stesso.
Allora, per esempio, anche se una persona presta generalmente poca attenzione alle pubblicità delle automobili, questa attenzione aumenta notevolmente quando egli decide di comprarne una (aumento della motivazione). In questo caso si accingerà a valutare in modo accurato anche le informazioni che forniscono le pubblicità in termini di prestazioni, di costi e di possibilità di finanziamenti. Tuttavia egli può non essere in grado di capire tutte le caratteristiche tecniche riportate. In questo caso baserà maggiormente la propria scelta su elementi periferici e meno sulle informazioni sul prodotto (per esempio lo slogan, i colori, il testimonial).
Quali caratteristiche possiede il messaggio persuasivo?
Seguendo il quadro teorico delineato sopra, in un messaggio persuasivo si possono distinguere elementi di contenuto (le informazioni e le ragioni per le quali si dovrebbe acquistare quel determinato prodotto, o votare in un certo modo o essere d’accordo con una certa opinione) ed elementi periferici (i colori, le musiche, le caratteristiche della fonte del messaggio, le forme della confezione, le trovate stilistiche nella confezione del messaggio e tutto ciò che non riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto). Gli elementi periferici sono predisposti per attirare l’attenzione dei riceventi e veicolare l’esortazione persuasiva in un modo che consenta un certo «risparmio di energia cognitiva». Soltanto le persone particolarmente interessate a quel genere specifico di prodotto (in relazione ai propri bisogni) saranno motivate a investire una maggiore quantità di sforzi di attenzione per procedere nella lettura del contenuto del messaggio e vagliarne i pro e i contro.
Quali invece le caratteristiche della fonte?
Le caratteristiche della fonte emittente costituiscono tipicamente informazioni periferiche che utilizziamo per orientarci sull’opportunità o meno di accettare un dato messaggio, soprattutto quando non abbiamo intenzione di approfondire in modo accurato il suo contenuto.
Fra queste, la percezione di credibilità della fonte da parte del ricevente è una fra le più influenti. Quando si parla di «credibilità» o «autorevolezza» della fonte, si fa in genere riferimento a due componenti: la percezione della sua competenza specifica su un dato argomento e il suo grado di affidabilità, vale a dire quanto percepiamo che essa sostenga effettivamente la verità.
Occorre sottolineare che la credibilità della fonte è tale in quanto frutto della percezione soggettiva da parte del ricevente. Ciò significa che la stessa fonte può godere di grande autorevolezza presso un dato gruppo sociale e di nessuna autorevolezza presso un altro gruppo. In questo caso solamente sul primo gruppo si potranno osservare gli effetti di influenza.
Allo stesso modo contribuiscono a potenziare l’effetto persuasivo del messaggio altre caratteristiche della fonte che con il contenuto non hanno nulla a che vedere, per esempio della bellezza o la simpatia.
Quali processi si attivano nel ricevente?
Soltanto una piccola parte dei messaggi persuasivi ricevono attenzione e vengono elaborati attraverso un’analisi critica e il confronto tra un prodotto o una posizione e le alternative possibili. La grande maggioranza dei messaggi passa invece attraverso un’analisi meno impegnativa che alcuni studiosi chiamano “percorso periferico”, cioè un’attenzione superficiale a elementi secondari presenti nel contesto del messaggio. Naturalmente questa distinzione non deve essere letta in modo rigido: ciò che influenza eventualmente il comportamento finale non è mai un singolo elemento, piuttosto il modo in cui viene percepita la totalità degli elementi presenti nel messaggio.
Che relazione esiste tra persuasione e dissonanza cognitiva?
La teoria della dissonanza cognitiva formulata negli anni ’50 del 900 da Leon Festinger affronta il tema del cambiamento al di fuori di una prospettiva in cui una fonte che esorta un ricevente a cambiare idea/comportamento con degli argomenti. L’idea è che il cambiamento possa essere indotto agendo direttamente sul comportamento individuale. Infatti prevede che la messa in atto di un comportamento non in linea con i propri atteggiamenti in risposta a richieste del contesto (per es. la richiesta di una “autorità”) provochi la modifica dell’atteggiamento per riallinearlo con il comportamento messo in atto.
In breve, secondo questa teoria le persone sono motivate al mantenimento e alla ricerca della coerenza fra le proprie conoscenze, opinioni, credenze e i propri comportamenti. L’eventuale dissonanza (o incoerenza) fra ciò che si pensa e ciò che si fa crea uno stato di disagio che deve essere in qualche modo eliminato. Per farlo occorre modificare o il proprio comportamento o l’opinione dissonante.
Un esempio di dissonanza cognitiva potrebbe essere quello di chi non mette le cinture di sicurezza in auto: l’individuo non allaccia la cintura (comportamento) e sa che in caso di incidente potrebbe averne danni gravi (conoscenza). Le due «cognizioni» sono in contraddizione reciproca, quindi creano nell’individuo uno stato di disagio che lo motiva a modificare l’elemento meno resistente della coppia. Nel nostro esempio, la persona potrebbe essere indotta a modificare il comportamento, cioè ad allacciare la cintura, ristabilendo la coerenza. Il cambiamento a questo livello però può rivelarsi difficile per diverse ragioni: un comportamento può non essere sotto il totale controllo della volontà (è questo il caso delle abitudini molto radicate), oppure può avere forti componenti emotive che una volta modificate creano nuovi e più importanti stati di disagio psicologico.
In questo caso, allora, l’individuo può assumere nuove informazioni coerenti con il proprio comportamento per ridurre la dissonanza a uno stato tollerabile (per esempio ricordare in modo particolare i casi di persone che non si sono fatte male in un incidente pur non avendo allacciato la cintura oppure di quelle che si sono fatte molto male pur avendola allacciata).
Fino a che punto siamo esposti alle tecniche di persuasione?
Viviamo – si dice – nella società dell’informazione, quella in cui le persone, i gruppi, le organizzazioni, per perseguire i propri obiettivi hanno sempre più bisogno di informazioni a cui per lo più non possono accedere in modo diretto, ma soltanto attraverso mezzi e tecnologie. Questo ci rende vulnerabili alla selezione che queste fonti operano sulle informazioni che divulgano. Ma anche le interazioni personali sono occasioni di richiami persuasivi. Gli studiosi di comunicazione ci suggeriscono che gran parte delle interazioni comunicative ha lo scopo più o meno esplicito di produrre cambiamento negli interlocutori. Che genere di cambiamento? Molti dei richiami persuasivi che avvertiamo nella nostra giornata mirano a cambiare i nostri atteggiamenti e le nostre opinioni, ma molti di più si pongono l’obiettivo di ottenere che queste opinioni si trasformino in comportamenti: votare, comprare, firmare, versare somme ecc. Bisogna notare che si può parlare di cambiamento quando le opinioni invertono la direzione e da negativi diventano positivi o viceversa, ma questo il caso più raro, soprattutto quando siamo in grado di riconoscere che la comunicazione a cui siamo esposti ha un esplicito intento persuasivo. Ma si può parlare di cambiamento anche nel caso in cui la comunicazione persuasiva porti al ricevente informazioni che si integrano con quelle già presenti in memoria e, a lungo termine, facilitano la modifica dell’opinione. O ancora, quando la persuasione riesce semplicemente a rafforzare l’opinione preesistente rendendola più stabile o più estrema e meglio resistente a eventuali comunicazioni persuasive contrastanti.