
Alla rapidità con cui la notizia sull’esistenza di un papa donna – venendo verosimilmente da Roma – si diffuse negli anni 1250-1261 tra Metz e Lione, tra Erfurt e Altzella, seguì un lungo silenzio delle fonti per più di quindici anni. Intorno al 1277 – questa informazione è importante – il poeta viennese Jans der Enikel, il primo autore laico nella storia letteraria della leggenda, sembra avere conosciuto la versione della Chronica minor perché se ne servì, sebbene in modo assai conciso, così ci è parso, per mettere in scena la storia della papessa. In quello stesso anno 1277 – ci troviamo anche questa volta a Roma – la leggenda entra in una nuova fase. Il domenicano e penitenziere papale Martino Polono elabora una terza recensione del suo Chronicon pontificum et imperatorum e vi inserisce una biografia della papessa, autonoma rispetto alle due precedenti. Martino era allora penitenziere papale, funzione che svolgeva da quasi un ventennio. L’anno successivo fu nominato arcivescovo di Gniezno in Polonia ma morì durante il viaggio di andata e fu sepolto nella chiesa di San Domenico di Bologna.
Quali testi compongono la tradizione letteraria che riguarda tale leggenda nonché quella della verifica della mascolinità del pontefice dopo la sua elezione?
I testi che compongono la tradizione letteraria che riguarda la leggenda della verifica della mascolinità di un nuovo pontefice sono venti, ossia poco meno di un quinto dell’intera tradizione letteraria che riguarda la leggenda della papessa (109) e all’incirca un quinto di quella che risale alla notizia sulla papessa offerta dal domenicano Martino Polono nel suo Chronicon pontificum et imperatorum (101).
Questi testi si estendono dalla fine del Due alla fine del Quattrocento. I loro autori sono: Roberto d’Uzès O.P., Goffredo di Courlon O.S.B., Enrico di Monaco, Giovanni di Viktring, Mirabilia urbis Romae, Iacopo Angeli da Scarperia, Adamo di Usk, Hermann Korner O.P., Felix Hemmerli, Giano Pannonio, Giovanni di Paolo Rucellai, Giovanni Capgrave O.E.S.A., Laónikos Chalkondýlēs, William Brewyn, Platina, Bernardino Corio, Johannes Nauclerus, [Anon.] Papa Jutta qui non fuit Almanus, Hartmann Schedel, Die Cronica van der hilliger Stat van Coellen.
Su centonove testimonianze letterarie, ben centouno di esse dipendono, direttamente o indirettamente, dalla notizia sulla Papessa tràdita dal Chronicon pontificum et imperatorum di Martino Polono: a cosa si deve la vittoria della narrazione martiniana?
La vittoria della narrazione martiniana è stata anzitutto assicurata dallo strepitoso successo del suo Chronicon, tràdito da oltre 450 manoscritti giunti fino a noi, 300 dei quali contengono la notizia sulla papessa. Oltre alla sua autorità di frate predicatore, penitenziere papale e arcivescovo di Gnienzo, e allo straordinario successo editoriale del suo Chronicon, la decisione di Martino di togliere la vicenda della papessa dall’incertezza cronologica e dall’anonimato in cui era rimasta rinchiusa nelle due precedenti notizie, ha contribuito al rapido predominio della sua narrazione nella storia letteraria della papessa. Le due più antiche notizie (Giovanni di Mailly, Chronica minor) hanno conosciuto una diffusione manoscritta più che modesta e sono state riprese, letteralmente o parzialmente, soltanto da sei autori, peraltro non oltre i primi decenni del Trecento.
La narrazione martiniana ha eclissato le due più antiche notizie sulla papessa – quelle del domenicano Giovanni di Mailly e dell’anonimo francescano di Erfurt, autore della Chronica minor – perchè Martino Polono ha attribuito alla papessa un nome (Iohannes), una doppia origine (Anglicus e Margantinus o Maguntinus secondo i codici), le ha assicurato un posto sicuro nella serie dei papi (dopo Leone IV, 848-855), indicato già nelle prime tre parole della notizia (Post hunc Leonem «Dopo questo Leone»), e le ha attributo una precisa durata del suo pontificato (2 anni, 5 o sette mesi [secondo i codici) e quattro giorni. Il desiderio di precisione spinge Martino persino a quantificare la durata della vacanza della sede apostolica dopo la morte della papessa. La narrazione martiniana appare inoltre più matura e articolata per struttura narrativa e finalità generali.
La vittoria della narrazione martiniana è stata assicurata anche dal fatto che i principali scrittori che hanno scritto sulla Papessa nei due-tre decenni che seguono la redazione del Chronicon di Martino Polono appartennero all’ordine dei Domenicani, autori di opere che hanno conosciuto una grande diffusione. Basti pensare che fra questi domenicani troviamo autori come Iacopo da Varazze, Arnoldo di Liegi, Tolomeo da Lucca, Bernardo Gui e Galvano Fiamma.
L’antologia è preceduta da due testi che trattano della leggenda del patriarca donna di Costantinopoli: quali interpretazioni avanza il Suo studio circa l’origine e l’evoluzione di ambedue queste celebri leggende?
Due testi, con modalità e finalità diverse, trattano della credenza o accusa secondo cui una donna sarebbe stata eletta patriarca di Costantinopoli. Essi precedono di più di due secoli le più antiche versioni scritte riguardanti la leggenda della papessa: l’Anonimo Salernitano è generalmente datato intorno al 974; la lettera In terra pax di Leone IX al patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario reca la data del 2 settembre 1053. Ambedue questi testi nascono da interessi politici o ecclesiali. L’Anonimo racconta che Arèchi II, duca e poi principe di Benevento dal 774 alla sua morte avvenuta nel 788, informato durante il sonno dallo «spirito maligno» che a Costantinopoli una donna era stata eletta patriarca e che per questo la città era stata colpita da una pestilenza, inviò suoi ambasciatori a Costantinopoli per informarne i Bizantini. A Costantinopoli tutti ne erano all’oscuro, ma l’informazione si rivelò esatta a tal punto che, appurata la cosa, l’epidemia di peste svanì. Nella lettera di Leone IX indirizzata a Michele Cerulario il patriarcato di Costantinopoli è accusato di avere frequentemente promosso alla dignità di patriarca degli eunuchi, in violazione del primo canone del concilio di Nicea (325), e una volta anche una donna.
Queste due fonti hanno richiamato l’attenzione della storiografia cattolica fin dall’inizio del Seicento (Baronio, Mabillon), perché si credeva che potessero servire a dimostrare che la storia della papessa fosse stata inventata dai Bizantini. Rivisitando la documentazione manoscritta e testuale risulta evidente che legami interni o esterni tra queste due fonti e la vicenda della papessa non esistono. Rimane il fatto che queste due testimonianze letterarie sull’esistenza di un patriarca donna di Costantinopoli hanno conosciuto una sicura circolazione a Roma e nei dintorni tra l’XI e il XIII secolo, ed è per questo motivo che sono state qui prese in esame.