
Non sono fenomeni nuovi, ma oggi sono più evidenti che in passato. Ai tempi della SARS, all’inizio del millennio, però la rete – il world wide web – non forniva ancora, nel bene e nel male, quel gigantesco agglomerato di dati che oggi contiene, né esistevano i social network. Oggi questi strumenti sono cresciuti a tal punto da influenzare tutti gli altri mezzi di comunicazione: tv, radio e carta stampata. Tutti insieme hanno contribuito ogni giorno, dall’inizio della pandemia, peraltro quasi sempre in perfetta buona fede, a generare ansia e spaesamento, sommergendo le persone di dati relativi all’andamento della pandemia spesso inevitabilmente non omogenei e quindi difficilmente confrontabili, incompleti e diffusi in maniera confusa e acritica.
Inoltre, una pandemia è un terreno fertile per fake news di varia natura, spesso diffuse artatamente da forze esterne proprio per indebolire gli stati democratici, rendendo meno credibili i messaggi istituzionali e le misure da essi adottate. Se a ciò si aggiunge che le stesse istituzioni, perlomeno in Italia, non hanno adottato una chiara strategia comunicativa, capace di arrivare con chiarezza a tutta la popolazione, alle élite e agli strati popolari, ecco delineato nei suoi tratti più evidenti il quadro che ha determinato il diffondersi della pandemia dei dati che dà il titolo al nostro libro.
La pandemia dei dati, nel senso del libro, si ripropone di fornire a chiunque lo legga, nel modo più semplice e chiaro possibile, gli strumenti di base, necessari a ogni buon cittadino, per comprendere correttamente i dati, per apprezzarne da un lato il potere predittivo e dall’altro i limiti, per evitare le trappole cognitive disseminate dalla rete e dal sistema dei media: in una parola per trasformare, ovunque sia possibile, il “rumore” in vera informazione.
Assistiamo ogni giorno ad una messe di concetti statistici anche complessi riversati dai mass media su lettori e spettatori spesso totalmente digiuni anche dei più basilari strumenti per comprenderli: quali sono le cause di tale fenomeno?
È vero. Concetti statistici come “specificità” e “sensibilità”, ma anche concetti più semplici come “falsi positivi” e “falsi negativi”, vengono riversati acriticamente su lettori e telespettatori prendendosi raramente il tempo necessario di spiegarli, concatenarli o contestualizzarli in un discorso comprensibile. Qualcosa di simile avviene da molto tempo anche per tanta informazione economico finanziaria. È come se si partisse dalla convinzione che è inutile cercare di far capire, magari a un telespettatore distratto, come stanno veramente le cose. Verrebbe da dire che c’è qualcosa di folle in questo modo di “dare i numeri”. Ma nei numeri c’è anche qualcosa di “magico”. I giornali usano spesso i numeri per riassumere efficacemente alcune notizie. Un numero è come un colpo di bacchetta magica attraverso cui trasmettere, come per incanto, informazioni che richiederebbero una intera pagina di giornale. E ciò può essere assai utile. Ma non lo è se non facciamo vedere che quasi sempre, la magia dei numeri, è legata strettamente al metodo, alle ipotesi e ai ragionamenti che ci hanno portato a quel determinato numero. I numeri non mentono. Sono in grado di comunicare con estrema chiarezza. Ma un certo modo di usarli fa sì che essi diventino menzogneri. Per esempio, quando non si comunica opportunamente l’incertezza che accompagna le stime. È questo per esempio il caso delle stime di R con t o dell’efficacia dei vaccini. È fondamentale capire da dove viene il 95% di efficacia del vaccino Pfizer e come si confronta con il 94.1% di Moderna e quale è l’incertezza associata a queste stime.
E lo stesso vale, a maggior ragione, per la statistica. Quando Mark Twain pronunciò la famosa battuta, «Esistono tre tipi di bugie: le bugie normali, le bugie spudorate e le statistiche”, aveva probabilmente in mente l’uso distorto che già si faceva della statistica sulle pagine dei giornali. Certamente l’oggetto del suo scherno non erano i matematici o gli statistici. In realtà, certo, si può mentire con i dati, ma è anche vero che, se prendiamo i dati sul serio, è più difficile mentire. Anzi i dati, opportunamente presentati e interpretati, impediscono ai malintenzionati o agli incompetenti di mentire. Il libro La pandemia dei dati in fondo ha proprio questo scopo: vuole fornire, a partire dall’esempio dei coronadati, che viene particolarmente approfondito, tutti quegli strumenti che permettono di far dire la verità ai dati. Strumenti che svelano la bellezza non solo dei numeri ma anche delle formule e dei ragionamenti che li producono. Si tratta peraltro spesso di verità probabilistiche, perché, come la pandemia ci ha fatto ben comprendere, non viviamo in un mondo di “certezze” come l’uso acritico, alienato e feticistico dei numeri ci suggerisce, ma in un mondo in cui regna l’incertezza. Non dobbiamo farci spaventare dell’incertezza. Esistono una serie di strumenti che ci danno una marcia in più, forniscono un vantaggio competitivo, proprio perché siamo in grado di gestire e interpretare il rischio e l’incertezza.
La pandemia dei dati prende le mosse dalla consapevolezza della gravità della situazione, ma vuole anche essere un libro un po’ sdrammatizzante e quindi terapeutico. Troppe notizie e troppi dati creano “rumore” e il rumore sommerge l’”informazione” vera, ciò di cui abbiamo più che mai bisogno e che per definizione deve essere il più possibile credibile e accreditata.
Le fake news sono confezionate appositamente, spesso con intenti manipolatori, tenendo conto delle nostre debolezze cognitive, a partire da una nostra naturale pigrizia mentale. Ma anche quando sono vere, le notizie e i dati che le accompagnano, possono essere diffuse in maniera tale da generare ansia e confusione mentale. È quello che sta succedendo in questi mesi così critici per l’intero pianeta. La pandemia dei dati è un libro che vuole liberarci perlomeno dalle ansie più ingiustificate. Presentare i fatti in maniera chiara e veritiera, anche quando sono poco allegri, svelando i meccanismi chiave per leggere con correttezza i dati, e quindi la realtà, a nostro parere è già di per sé liberatorio. Funziona da ansiolitico.
Come evidenzia il libro, il fenomeno è in realtà in atto da tempo: senza che quasi ce ne accorgessimo, ci siamo ritrovati immersi nei costrutti della società dei Big Data: quali sono le conseguenze per il pensiero critico?
Ci sono due elementi negativi, che riguardano l’atteggiamento di molti fruitori della rete, tra loro apparentemente opposti ma in realtà legati tra loro: uno è il modo in cui acriticamente si naviga in rete accettando, senza pensarci troppo, tutto quello che vi troviamo e fornendo dati personali con una certa leggerezza; il secondo è, all’opposto, una sorta di pensiero critico impazzito, fuori misura, che mette in discussione ad esempio l’autorevolezza di esperti e scienziati sulla base di fake news e di teorie complottiste di varia natura. Ne La pandemia dei dati abbiamo cercato di rimettere con i piedi per terra il pensiero critico, che, se correttamente inteso, ci permette di dubitare nel modo corretto su ciò su cui è il caso di dubitare ma anche di discernere le opinioni fondate sui fatti da quelle false e fuorvianti. Il pensiero critico come da noi inteso è un antidoto per evitare non solo i normali errori che tutti noi siamo portati a commettere, ma anche le trappole cognitive in cui cade il pensiero critico impazzito che pervade la rete.
In cosa consiste il vaccino contro la pandemia dei dati?
Il nostro vaccino è appunto un vaccino mentale, che coincide proprio con il pensiero critico. Si avvale non solo degli strumenti che la filosofia ci ha messo a disposizione nel corso dei secoli, ma della stessa scienza dei dati e del pensiero probabilistico, cui abbiamo aggiunto come ingrediente fondamentale le acquisizioni recenti delle scienze cognitive. Grazie a questi ingredienti, il nostro vaccino potrà difenderci non solo dall’infodemia da coronati, ma più in generale dalle insidie dei dati e dagli intenti manipolatori derivati dall’uso perverso dei dati, come si è visto in maniera eclatante con lo scandalo di Cambridge Analytica.
In che modo è possibile tornare a pensare con la propria testa?
Tutti noi crediamo, spesso non a torto, di saper già pensare con la nostra testa e di essere dotati di una buona dose di buon senso. Spesso però ci inganniamo. Saper riconoscere che siamo cognitivamente vulnerabili è un grande segno di intelligenza. Poiché oggi esistono ambiti consolidati della ricerca in grado di farci capire come e perché siamo vulnerabili. Abbiamo voluto fornire, con La pandemia dei dati, uno strumento agile per aumentare la consapevolezza del lettore, vaccinandolo per sempre anche da una acritica sicurezza nelle proprie opinioni. Lo abbiamo fatto in maniera costruttiva, e spesso con esempi divertenti oltre che illuminanti, pensando a tutti i potenziali lettori che voglio essere cittadini consapevoli e padroni del proprio tempo.
Come nasce il libro?
La pandemia dei dati si è diffusa contemporaneamente alla pandemia da coronavirus in un modo che, anche in presenza delle migliori intenzioni da parte di decisori pubblici, esperti e giornalisti, ha finito per ingenerare ansia e confusione nella popolazione. La pandemia dei dati è un esercizio che ci auguriamo utile e liberatorio per chi si accinge a leggerlo così come lo è stato per noi nell’atto di scriverlo. E questo riguarda appunto il modo ansiogeno in cui si è ecceduto in un tipo di informazione, istituzionale e giornalistica, che spesso ha generato confusione proprio sul senso delle misure da seguire. Ma riguardo anche ai dati stessi, legati alla famigerata domanda: A che punto siamo? Quando ne usciremo? Stiamo davvero appiattendo la curva? Tra noi autori del libro, la vera esperta di scienza dei dati è Antonietta Mira, che ogni giorno ha analizzato i dati, anche quelli che sapeva essere fallaci e disomogenei, per ricavarne sempre e comunque una qualche illuminante considerazione. In positivo o in negativo, poco importa. È così che gli scienziati coltivano quel senso critico che permette loro di comprendere bene le cose. Un atteggiamento che ben si sposa con la formazione filosofica di Armando Massarenti, impregnato di fallibilismo non solo popperiano ma anche definettiano. Bruno de Finetti è peraltro uno degli scienziati amati anche da Antonietta Mira. Con premesse di questo tipo è stato naturale pensare di scrivere un libro insieme proprio nel momento in cui, appunto, la pandemia mostrava inquietantemente, in assenza di dati davvero validi, i tratti dell’infodemia. Questo avveniva a febbraio. Di fronte alle difficoltà di elaborare un buon modello predittivo, per il quale peraltro Antonietta possedeva tutti gli strumenti e le competenze, oltre a una notevole rete internazionale, tranne i dati davvero omogenei e affidabili, abbiamo deciso che la cosa più saggia e più utile, per i cittadini tutti, era proprio quella di mettere a nudo i meccanismi della buona elaborazione dei dati e delle scienze che sottendono alla più generale scienza dei dati, mostrando come gli strumenti matematici e scientifici, se accompagnati da una consapevolezza filosofica e metodologica, finiscono per costituire una cassetta degli attrezzi accessibile a ogni cittadino.
Armando Massarenti è caporedattore del «Sole 24 Ore» e firma storica del supplemento Domenica. È membro della Commissione per l’Etica e l’integrità della Ricerca del Cnr, presso il quale è ricercatore associato, e del comitato scientifico del Centro per il Libro e la Lettura. Con Il lancio del nano (2006) ha vinto il Premio filosofico Castiglioncello.
Antonietta Mira è professore di Statistica presso l’Università della Svizzera italiana e l’Università dell’Insubria. Visiting professor alle Università di Harvard, Cambridge e Oxford. Fellow dell’International Society for Bayesian Analysis, membro della Commissione Federale Svizzera di Statistica. È autrice del libro Mate-magica su Luca Pacioli.