“La nuova Germania. La Repubblica Federale 30 anni dopo la Riunificazione” a cura di Ubaldo Villani-Lubelli e Luca Renzi

Prof.ri Ubaldo Villani-Lubelli e Luca Renzi, Voi avete curato l’edizione del libro La nuova Germania. La Repubblica Federale 30 anni dopo la Riunificazione pubblicato da ETS: a distanza di 3 decenni, quale bilancio si può trarre della Deutsche Wiedervereinigung?
La nuova Germania. La Repubblica Federale 30 anni dopo la Riunificazione, Ubaldo Villani-Lubelli, Luca RenziUbaldo Villani-Lubelli: Il bilancio della riunificazione è certamente positivo. Dopo la caduta del Muro di Berlino in pochi avrebbero scommesso che la Germania sarebbe tornata unita in meno di un anno e che i Länder dell’Est si sarebbero integrati così velocemente. Naturalmente non mancano i problemi che riguardano il divario economico-sociale e una differenza di cultura politica. Molti studi evidenziano come gran parte dei cittadini dell’Est si sentano sottorappresentati e sottostimati. Ma questi sono problemi che riguardano non solo la riunificazione e la sua effettiva realizzazione quanto anche i processi di globalizzazione e di modernizzazione tecnologica della società. Molti restano indietro ed esclusi da tali processi di sviluppo. Ricordo, inoltre, che sulla riunificazione ci sono le teorie più diverse, non mancano i teorici della cosiddetta annessione (Anschluß), ma ciò che con malizia si omette di dire è che la riunificazione non è stato un processo dall’alto né imposta dalla Germania Ovest a quel che restava della Germania Est. Oltre alle numerose manifestazioni di piazza in cui i cittadini dell’Est chiedevano la riunificazione, ricordo che ci sono state ben due elezioni in cui i cittadini dell’Est hanno votato per i partiti che volevano fortemente la riunificazione. Mi riferisco alle elezioni parlamentari nella Germania Est del maggio 1990 vinte dalla CDU con oltre il 40 per cento (Volkskammerwahl) e alle elezioni federali della Germania riunita del dicembre 1990 in cui CDU e SPD presero rispettivamente il 43,8 e il 33,5. In entrambi i casi la PDS, che era l’erede del Partito di Unità Socialista della Germania (SED) della DDR, divenne una forza di minoranza. Prese il 16 per cento in occasione della Volkskammerwahl e meno del 3 per cento alle elezioni federali.

Luca Renzi: Sono d’accordo con quanto afferma il collega: la Riunificazione è stata in ogni caso un miracolo, in primo luogo perché fu un evento inaspettato, secondariamente perché fu gestito con grandi capacità strategiche da un cancelliere (Kohl) dal quale al massimo ci si sarebbe aspettato doti tattiche. Fu poi un evento propiziato da eventi collaterali (l’avvento di Gorbaciov, la crisi polacca, il papa polacco, l’apertura dei confini di Ungheria e Cecoslovacchia) di non minor importanza internazionale. Ma resta il fatto che i tedeschi, dell’Est e dell’Ovest, si sono in poco tempo riconosciuti in quel Grundgesetz (la Costituzione della Repubblica federale) che ha reso possibile la rapida ricostruzione, soprattutto delle intelligenze, degli habitus, oltre che del sistema politico, sociale e economico. Se mettiamo in rapporto tale avvenimento con situazioni simili (il nostro Mezzogiorno) non si può non parlare di un miracolo, che ha visto all’opera alla quasi unanimità tutti i partiti tedeschi, forse con l’eccezione degli intellettuali, che si sono però ben presto uniformati e ricreduti.

Come è cambiato il sistema partitico tedesco in seguito alla Riunificazione?
Ubaldo Villani-Lubelli: Il sistema partitico tedesco è certamente cambiato dal 1990 ma ciò che è cambiato maggiormente sono i rapporti di forza tra i partiti. Il sistema partitico oggi è più complesso perché oltre ai 5 partiti della Repubblica Federale (CDU, CSU, SPD, FDP e Verdi) si sono aggiunti prima Die Linke e poi Alternative für Deutschland. C’è stato dunque un processo di frammentazione del consenso e di riduzione dell’influenza dei partiti di massa, da una parte della CDU-CSU e dall’altra dell’SPD. Si tratta però di una trasformazione assolutamente normale in quanto con la riunificazione è cambiato il corpo elettorale ed, inoltre, le notevoli trasformazioni legate alla globalizzazione economico, sociale, culturale e politica degli ultimi vent’anni hanno modificato la composizione sociale. In questo contesto emerge chiaramente la crisi dei socialdemocratici. Alla società tedesca ed alla politica tedesca manca tremendamente un forte partito socialdemocratico così come è sempre stato nella storia della Germania. Il vero grande problema e il vero grande dilemma della Germania di oggi è la crisi della SPD.

Quale nuovo ruolo culturale ha assunto la Germania riunificata?
Luca Renzi: Ha assunto un ruolo guida in Europa, ruolo che probabilmente prima spettava alla Francia, per i motivi che ho cercato di illustrare nel mio contributo. Un ruolo nella politica culturale, ma anche nella diplomazia e nell’iniziativa politica internazionale, ma per fermarci alla prima ciò è evidente nelle molte iniziative di compartecipazione, di partenariato, di diffusione culturale e – soprattutto – nei centri di eccellenza internazionale, che vedono fra l’altro proprio Berlino all’avanguardia, ma in generale tutta la Bundesrepublik: non dimentichiamo poi le università, le eccellenze mediche, delle tecnologie. Vi è stata fra l’altro la capacità di portare alcune di queste aree di grande capacità di sviluppo e ricerca ad Est, con interessanti esperimenti nei nuovi Länder. Tutto ovviamente richiede tempo, per certi versi tre decenni sono ancora pochi – benché la ‘divisione’ sia durata ‘solamente’ quattro decenni – se si parte dall’Anno Zero della capitolazione del 1945: la Germania dell’Est perse infatti tutti quegli ‘steps’ che servirono alla maturazione della giovane democrazia dell’Ovest: Adenauer, Willy Brandt, la Ostpolitik, il Sessantotto, la lotta al terrorismo, la semplice “re-education” imposta dalle potenze vincitrici occidentali, l’educazione alla democrazia, insomma, la cui mancanza nelle generazioni di mezzo si riverbera sugli esiti estremistici di alcune componenti – minoritarie – dello scenario politico tedesco di oggi. Esiti che tuttavia in Europa rappresentano fenomeni di minor rischio rispetto a realtà di altri paesi…

Come ha reagito il modello socio-economico tedesco alle sfide della Riunificazione?
Ubaldo Villani-Lubelli: Come dicevo prima non tutto è andato bene nella riunificazione. Ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre problemi legati alle differenze tra le regioni della ex Germania Ovest e la ex Germania Est. Non sarà mai possibile che i Länder dell’Est siano economicamente tanto sviluppati quanto quelli dell’Ovest perché i primi hanno una storia differente e il punto di partenza è stato ovviamente diverso. I Länder dell’Est hanno un modello di crescita e di sviluppo differente che non può e non deve essere necessariamente paragonato con quelli dell’Ovest. In altri termini è l’idea stessa dell’equiparazione che rischia di essere sbagliata. Quanto al modello sociale, ricordo che in Germania sono state fatte riforme importanti e politicamente molto difficili come quelle del Governo Schröder nei primi anni Duemila. Ricordo, ancora, che ancora oggi i cittadini dell’Ovest pagano un contributo di solidarietà a cittadini dell’Est. È una cifra che viene tolta dalla busta paga di ogni cittadino occidentale. In questo senso, nel complesso, il sistema ha reagito molto bene. Mi chiedo: se una cosa del genere fosse realizzata in Italia, dal Nord al Sud, cosa succederebbe?

Luca Renzi: Concordo anche qui con il collega: la storia delle regioni dell’Est è stata sempre caratterizzata da uno sviluppo diverso (non diseguale) e con realtà differenti: va ricordato che nel ‘700, ad esempio, le maggiori università e i centri culturali erano quelli dell’Est (soprattutto se nell’Est si include Berlino) e le scuole di pensiero, i centri di elaborazione, spesso ebbero a che fare con quelle realtà. È vero anche che le prime realtà di rivoluzione industriale passarono per quelle terre, ma è il dato relativo alla cultura che a quanto pare è stato volutamente rivalutato dopo la riunificazione: se si pensa al grande sforzo di ricostruzione e riabbellimento dei centri (la parte del leone ovviamente l’ha fatta Berlino, la città ‘ferita’) come Dresda, ma anche Weimar, Jena, Halle, le città del Baltico, oltre agli esperimenti interculturali come l’università europea Viadrina di Francoforte sull’Oder. La concentrazione di sforzi ha dato i suoi migliori frutti proprio nella classe politica: ad un certo punto – fino a tre anni fa – la Germania era governata da una cancelliera che veniva dall’Est ed era rappresentata da un presidente ugualmente orientale (fra l’altro lei figlia di un pastore e il presidente Joachim Gauck lui stesso pastore evangelico – e qui si potrebbe portare anche tutto il tema della Riforma, del Luteranesimo, che fu fenomeno della Sassonia e della Turingia). Ovviamente, come ho spesso sostenuto, dove sono stati avviati progetti culturali questi non sono potuti prescindere da un modello socio-economico a monte forte e stabile: dove vi sono centri di eccellenza e di ricerca, questi nascono su un terreno fatto di investimenti e floride realtà; d’altronde è la ricerca che porta valore aggiunto alla conoscenza e allo sviluppo tecnologico e quindi i due aspetti si alimentano vicendevolmente e questo vale non solo per la ricerca di base o applicata, ma anche per l’architettura, la musica, il design, gli eventi culturali a vasto raggio, come le mostre librarie (indicativa è la fiera di Lipsia che sta superando Francoforte) o fenomeni simili.

Quale giudizio si può tracciare del lungo cancellierato di Angela Merkel?
Luca Renzi: In uno specifico contributo il corrispondente dell’autorevole settimane “Zeit” di Amburgo, Ulrich Ladurner, ha offerto nel nostro libro un quadro a tutto tondo, io direi quasi un ritratto psico-biografico, della cancelliera Merkel, che si avvia ora sulla strada del compimento del suo lungo cancellierato, una strada tutt’altro che segnata dal tramonto, poiché molto probabilmente senza di lei, in collaborazione con la Francia del presidente Macron, non si sarebbe giunti all’individuazione di quel Recovery Fund che presumibilmente passerà alla storia – nel bene e nel male (nel senso di chi saprà utilizzarlo al meglio e chi lo dissiperà) – come un nuovo Piano Marshall dell’Europa. Anche in questo caso dopo una guerra, peraltro neppure terminata, che però non è stata condotta sui campi di battaglia ma negli ospedali. Quindi un’altra medaglia si aggiungerà al medagliere di questa politica che a mio avviso ha interpretato al meglio la definizione di Max Weber di “Politik als Beruf”, politica come professione, nel senso di vocazione, che ben definisce quel concetto richiamato da Ladurner di ‘potere della ragione’, che è qualcosa di più di pragmatismo.

Ubaldo Villani-Lubelli: Angela Merkel rimarrà alla storia come la Cancelliera delle crisi. Nessun cancelliere ha dovuto affrontate tante crisi, di portata storica unica, quante Angela Merkel. In alcuni casi sono stati fatti degli errori, penso alla fase iniziale con la crisi economica in Europa, nel 2009, eppure il giudizio è complessivamente positivo. Nel nostro libro Ulrich Ladurner parla di potere della ragione, ed effettivamente è proprio così. È stata una cancelliera che ha contribuito a salvare il progetto europeo in almeno quattro occasioni: dopo il fallimento del Trattato costituzionale, con la crisi economico-finanziaria, con la crisi migratoria del 2015 e recentemente con il Recovery Fund. Ha preso delle posizioni molto nette a favore dei diritti umani e a difesa della democrazia occidentale ed ha sempre escluso qualunque collaborazione con l’estrema destra di AfD. In futuro ritengo che il suo testamento politico verrà considerato un discorso tenuto da Merkel il 9 novembre del 2018 in occasione dell’ottantesimo anniversario della notte dei cristalli quando il nazista Goebbels ordinò di bruciare quasi 1500 sinagoghe. Qualche giorno prima c’era stato l’attentato alla sinagoga di Halle. In quel discorso Merkel sottolineò l’importanza e l’impegno di difendere con forza la nostra società plurale, lo stato di diritto e la nostra democrazia. Tutti valori che non possono più essere dati per scontati.

Quale ruolo internazionale vi sarà, a Vostro avviso, per la Germania del prossimo futuro?
Ubaldo Villani-Lubelli: Il ruolo internazionale della Germania è tradizionalmente un tema molto discusso. Le interpretazioni oscillano tra coloro che vedono un’egemonia tedesca e chi invece rimprovera alla Repubblica Federale di essere troppo riluttante. Nel nostro libro cerchiamo di interpretarlo per quello che realmente è. La Germania è il più grande paese europeo in ascesa e con una chiara e definita global strategy in un contesto in cui molti stati europei invece mancano di un chiaro disegno geopolitico. Ciò nonostante la Germania non avrà, credo, un ruolo di guida, non sarà mai un paese dominante, non eserciterà mai una leadership forte così come spesso la si intende in Italia – sul modello degli Stati Uniti per intenderci. A trent’anni dalla riunificazione la Germania è, tra i Paesi fondatori dell’UE, lo stato che meglio di tutti ha saputo investire nel progetto ‘Unione Europea’. In questa UE intergovernativa la Germania sarà sempre la prima della classe perché è il paese più popoloso ed è l’economia più forte. Ha una sfera d’influenza enorme nelle aree geografiche del centro, dell’est e del sud-est Europa per ragioni storiche, economiche e geografiche di lunga durata. Nonostante questa sua egemonia-di-fatto la Repubblica Federale non incarna una leadership politica, almeno non una leadership così come la si intende in Italia. La Repubblica Federale tedesca non incarnerà mai una leadership politica, non sarà mai quello che sono (o forse sono stati) gli USA perché non ha la stessa forza economica, non è nella sua natura volta al normativismo, non ha una cultura così dominante all’estero e non ha una lingua franca come l’inglese. La Repubblica Federale sarà una forza gentile (per usare un’espressione usata in passato per l’Europa) che investirà nel progetto europeo per rafforzare il ruolo internazionale della stessa Germania ma anche dell’Unione Europea, con vantaggi per tutti gli Stati Membri.

Luca Renzi: La Germania di oggi, e a maggior ragione quella di ieri, cioè la Bundesrepublik prima della caduta del Muro nata dopo la fine del Terzo Reich nel 1949, ha sempre oscillato – a giudizio di molti commentatori autorevoli – fra intendimenti di un protagonismo attivo (attenzione: non di egemonia) e quelli di una sua attiva volontà di autolimitazione e chiusura (la “grande Svizzera” come è stato detto), entrambi ruoli che non possono competerle nello scenario di oggi, per tutti quei motivi sopra menzionati. La nuova struttura mondiale, anche a seguito del dichiarato (forse non attuabile) disancoraggio della politica degli Stati Uniti rispetto all’Europa nonché a seguito dell’evento epocale in ambito sociale ed economico e del rapporto fra stati segnato dall’era Coronavirus, non potrà prescindere da un ruolo sempre più importante della Germania in Europa e nel mondo. La prospettiva di una Europa che diventi un Commonwealth a guida tedesca non è, a nostro avviso, una prospettiva deprecabile e neppure da sottovalutare. Come ha di recente affermato un uomo di cultura come il direttore d’orchestra (israeliano di origine argentina) Daniel Berenboim, la Germania ha fatto i suoi compiti rispetto alla storia, mentre altri no, o non ancora. Io amo molto a questo riguardo le tesi di un filosofo della politica quale Angelo Bolaffi (che fra l’altro siede nel comitato scientifico della collana che accoglie il volume) che ha parlato sovente di una Germania “modello”, e questo a dispetto di qualsivoglia propaganda antitedesca di stampo più o meno demagogico, abbastanza di voga ovunque di questi tempi.

Luca Renzi, germanista, insegna all’Università di Urbino. Fra i suoi ambiti di ricerca vi sono gli studi culturali tedeschi. Ha tradotto e curato l’edizione italiana di diversi volumi dell’antropologo Hermann Bausinger fra i quali Cultura popolare e mondo tecnologico (ETS, Pisa, 20202), con il proprio saggio Alcune riflessioni sulle analogie fra la Volkskunde tedesca postbellica e il pensiero di Gramsci riguardo al folklore (ivi) e il volume Tipico tedesco. Quanto tedeschi sono i tedeschi (ETS, Pisa, 20192). Organizza un convegno che si terrà nel prossimo mese di ottobre sui 100 anni del Sudtirolo italiano.
Ubaldo Villani-Lubelli è storico delle istituzioni politiche. Insegna all’Università del Salento ed è DAAD Fellow. I suoi temi di interesse riguardano la storia politica tedesca del XX secolo e la storia dell’integrazione europea. Ha pubblicato
Unità Diritto e Libertà. Il fattore Weimar e l’identità costituzionale in Germania (Jouvence 2018) ed è stato uno dei curatori di Features and Challenges of the EU- Budget. A multidisciplinary Analysis (Edward Elgar 2019) e Italien, Deutschland und die europäische Einheit. Zum 30-jährigen Jubiläum des Berliner Mauerfalls, Franz Steiner 2019). Scrive di politica tedesca per Huffington Post Italia.

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