
Il nostro si produce in erudite dissertazioni di filologia e critica testuale neotestamentaria, a cominciare dall’attribuzione del libro: il Giovanni del quarto Vangelo o uno sconosciuto presbitero efesino? Vexata quaestio ancora irrisolta.
Alvi rivendica un’interpretazione teologica del testo giovanneo, contro ogni riduzione letteraria o tentazione ‘sociologizzante’, e, sulla scia di Antonio Rosmini, stigmatizza la «cattolicità in rincorsa altruista» e l’uomo che, «obbedendo all’Onu e al progresso […] si concede facoltà di stabilire il regno ideale per arbitrio, senza Dio; ma divinizzando.»
Il commento al testo apocalittico ne rivela la natura iniziatica tanto che l’Autore riconosce che «la lettura dell’Apocalisse è atto di ascesi»: la lunga teoria di «chiosatori», coi loro «commenti e vite apocalittiche» che scorre nel libro, lo testimonia. Come Sergej Nikolaevic Bulgakov, che si dedicò a scrivere, «con devozione totale e per molti anni, il suo commentario al libro dell’Apocalisse» morendo però prima di poterlo finire. Tentativi di decifrare misteri insondabili, «vite [che] confermano l’urgenza degli apocalittici e la necessità dell’Apocalisse, che ci travolge all’impronunciabile», uomini «le cui esistenze sono commento dell’Apocalisse migliore di ogni altro mai scritto, essendone stati il vivente sacrificio.»