“La nausea” di Jean-Paul Sartre: riassunto trama

La nausea (La nausée) è un «romanzo dello scrittore francese Jean-Paul Sartre (1905-1980, premio Nobel per la letteratura 1964), pubblicato a Parigi nel 1938. Dopo alcuni racconti e un saggio di critica della psicologia tradizionale, in cui manifestava la propria adesione al metodo fenomenologico (L’Imagination, 1936), Sartre affronta ora la narrativa di ampio respiro nella forma del diario, nominalmente non personale, ma in realtà autobiografico.

L’opera è in gran parte un’analisi di percezioni e stati affettivi nei quali si svela il carattere assurdo che l’esistenza, nello spazio e nel tempo, assume per la coscienza, quando questa giunga a vivere il mondo come un puro “apparirle”, una volta spogliate le cose e gli uomini della loro quotidianità di “utensili”. Lo smarrimento dell’uomo in una realtà priva di solidità, di ordine, di significato univoco è “Nausea”: esperienza della gratuità dell’esistente nel suo originario manifestarsi come tale senz’altra aggiunta.

Antoine Roquentin – il protagonista – dopo lunghi viaggi in Europa, in Africa e in Oriente, si è stabilito da tre anni a Bouville per completare una ricerca storica sul marchese di Rollebon: il diario copre le ultime settimane di soggiorno nella cittadina. La stanza d’albergo, la piccola biblioteca, i caffè e le strade (con le loro creature ambigue e sfuggenti) sono i luoghi in cui Roquentin scopre, mano a mano, i molteplici aspetti dell’esistenza, vivendola come Nausea.

Un giorno Roquentin sente, all’improvviso, che gli oggetti intorno a lui hanno cominciato a prendere, senza posa, volti nuovi e imprevedibili, sottraendosi ai consueti rapporti, stabili e precisi, con la sua coscienza: la paura delle cose, inafferrabili e “innominabili”, perché fattesi mutevoli e autonomamente viventi, avvelena le sue giornate. Egli tenta di rifugiarsi nel lavoro storico e trascorre assonnati pomeriggi sui documenti che dovrebbero permettergli di ricostruire la vita del marchese di Rollebon, ma qui ha una seconda rivelazione: il passato “storico” non esiste, l’ordine che egli tenta di dare agli eventi resta loro esteriore. Roquentin ha scoperto di non “avere” un passato, di non possedere che il proprio corpo; ciò che è stato gli sfugge, reale è solo ciò che “appare” nel presente, e dietro questo apparire non c’è nulla: come sperare di riuscire a salvare il passato di un altro? Lo spazio e il tempo gli si sono sciolti tra le mani e fondono in un coagulo informe.

E gli altri uomini? Essi vivono insieme, mettono al bando i tipi “strani” come Roquentin (per difendersi), si riuniscono in gruppi per sentirsi solidi, per non pensare all’esistenza: l’incoscienza beata e canagliesca dei borghesi di Bouville è l’altra faccia della loro malafede e del loro deliberato autoinganno: imbalsamano il proprio passato e lo spacciano sotto l’etichetta di Esperienza e di Saggezza, così si illudono che non sia andato perduto. Nell’agglutinato palpitante della realtà (cadute le abitudini e i comodi schemi logici), la coscienza si coglie come un vuoto doloroso e stupito: solo a tratti essa riesce a riconquistare l’identità col mondo e a dimenticarsi come “coscienza dell’esistenza”: “Tutto s’è fermato; la mia vita s’è arrestata: questo vetro, quest’aria greve, azzurra come l’acqua e io stesso formiamo un tutto immobile e compatto: sono felice”.

Roquentin vorrebbe andarsene in un posto che fosse “suo”, ma il suo posto non è da nessuna parte ed egli “si sente di troppo”: è la Nausea. Un giorno, per sfuggirle, si rifugia in un giardino pubblico, ma anche là è travolto dalla “gelatina” dell’esistenza: gli alberi lo assalgono, lo penetrano; perduta la loro individualità astratta e inoffensiva, restano “delle masse mostruose e molli, in disordine – nude, d’una spaventosa e oscena nudità”. “Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto… ecco la Nausea… io ero la radice del castagno. O meglio io ero, tutt’intero, la coscienza della sua esistenza”.

L’esistenza è senza senso, ma necessaria: il nulla è un’idea e, come tale, nasce nell’esistenza e viene “dopo” di essa. Anny (un antico amore perduto di vista) si rifà viva all’improvviso, scrivendogli di raggiungerla a Parigi: Roquentin sente che c’è ancora possibilità di scampo alla Nausea; forse con Anny potrà ricominciare una vita. Ma quando la incontra, scopre di aver a che fare con un’altra persona, tanto lontana dall’immagine che egli ne
conservava quanto egli è lontano dal “vecchio” Roquentin.

Anny viveva un tempo nell’attesa di “situazioni privilegiate” in cui realizzare “momenti perfetti”; Roquentin la irritava con la sua concreta e sensata goffaggine, incapace di comprendere ciò che si doveva fare al momento giusto per non “rovinare tutto”. Ora Anny non ha più l’illusione che ci si possa sottrarre alla quotidianità: i momenti perfetti non esistono. Si separano senza promesse: il tentativo di evadere nell’amore è fallito, la coscienza dell’esistenza costringe alla solitudine. Roquentin decide di trasferirsi a Parigi, dove vivrà – senza scopo – della sua piccola rendita: “Sono libero: non mi resta più nessuna ragione di vivere… Il mio passato è morto. Il signor di Rollebon è morto. Anny è tornata soltanto per togliermi ogni speranza. Sono solo… e libero. Ma questa libertà assomiglia un poco alla morte”.

L’esistenza, priva di ogni giustificazione, è diventata senso di peccato, dal quale ci si può lavare, un poco, vivendo in rapporto agli altri: è questa la tenue speranza con cui si chiude La nausea. Al momento di abbandonare Bouville, Roquentin è colto da un’idea timida e confusa: scrivere un libro, forse così potrà salvarsi. Scrivere una storia “come non possono capitarne, un’avventura. Dovrebbe essere bella e dura come l’acciaio, e che facesse vergognare le persone della propria esistenza”. Sarebbe, nel futuro, un punto di riferimento per osservare e ordinare il passato, per dargli un senso: “… sentirei il mio cuore battere più in fretta e mi direi: quel giorno a quell’ora è cominciato tutto. E arriverei – al passato, soltanto al passato – ad accettare me stesso”.

La nausea, che sembrerebbe concludere con il più integrale e irrimediabile scetticismo, può essere considerata il punto di partenza negativo verso quell’umanesimo tragico e ottimista insieme che è, per definizione dell’autore, il suo esistenzialismo.

La nausea si presta alla facile critica (costantemente rivolta a tutte le opere letterarie di Sartre) di essere nient’altro che l’esemplificazione e l’illustrazione forzata di una tesi precostituita. In effetti, può venir considerata come un condensato narrativo – a livello di esperienza interiore – della tematica sartriana in via di formazione e trova evidenti complementi teoretici in L’immaginazione (L’Imagination), in Schizzo di una teoria delle emozioni (Esquisse d’une théorie des émotions, 1939) e in L’essere e il niente (L’être et le néant, 1943). La nausea offre soprattutto un “clima”, che produce nella coscienza del lettore degli stati vissuti i quali, schematizzati ed espressi in termini concettuali, pongono “il problema dell’esistenza”: è evidentemente impossibile riassumere questo clima, che è, peraltro, costitutivo del significato filosofico dell’opera.

L’elemento stilistico-formale non è, pertanto, accessorio e autonomo rispetto alla tesi, ma si identifica con essa. La predilezione di Sartre per la narrativa e il teatro corrisponde appunto alla sua concezione della filosofia come “impegno” e, di conseguenza, al proposito di farla scendere dalla torre specialistica sulla pubblica piazza.»

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link