“La morte dei Giganti. Il batterio Xylella e la strage degli ulivi millenari” di Stefano Martella

Dott. Stefano Martella, Lei è autore del libro La morte dei Giganti. Il batterio Xylella e la strage degli ulivi millenari edito da Meltemi: quale dramma ha colpito il Salento?
La morte dei Giganti. Il batterio Xylella e la strage degli ulivi millenari, Stefano MartellaNel Salento è in corso la maggiore emergenza fitosanitaria del mondo, stando alle parole di Joseph Marie Bové – uno dei più importanti botanisti a livello internazionale, membro dell’accademia delle scienze di Parigi. Praticamente, è in corso la più grave epidemia delle piante. Nel Salento è stata riscontrata, nel 2013, la presenza del batterio xylella fastidiosa, che ha provocato una grave fitopatologia sull’albero di ulivo, con la conseguente distruzione di un paesaggio secolare nelle province di Lecce e Brindisi. Adesso, gradualmente, il patogeno minaccia il resto della Puglia e del Mezzogiorno, con effetti drammatici sia dal punto di vista agricolo, sia sociale e culturale. Basti pensare che nel periodo in cui iniziarono a prendere forma i ceppi originari di moltissimi degli ulivi della Puglia (parliamo di milioni di esemplari), il Vesuvio seppellì la città di Pompei; l’imperatore di Roma, Nerone, si suicidò pugnalandosi alla gola. Accanto a questi alberi è passata quasi l’intera storia dell’Europa e della civiltà occidentale. Riflettere sul passare del tempo, sui secoli che quest’albero ha vissuto e pensare che stia morendo proprio nella nostra epoca, mi ha dato la percezione di essere testimone di un evento di portata eccezionale nel corso della storia e mi ha imposto, da salentino, di mettere nero su bianco la morte di questi alberi e le reazioni della popolazione.

Quale particolarissimo rapporto esiste tra l’ulivo e la popolazione pugliese e quali conseguenze, dal punto di vista umano, sta producendo la moria degli alberi?
La moria degli ulivi ha aperto un solco nella popolazione, rivelando isterie collettive e conflitti, e creando un mosaico umano in cui si muovono personaggi che incarnano psicosi, rassegnazione, strenui tentativi di salvare le piante e voglia di ricostruzione. L’arrivo del batterio ha creato un clima di sospetto che ricorda le peggiori faide familiari, in cui ognuno rinfaccia all’altro i suoi interessi come disonesti. Ed è proprio in questo sottobosco emozionale che ha iniziato a serpeggiare la teoria del complotto, della cospirazione. Una reazione che non si può comprendere se non si analizza il rapporto simbiotico tra questa pianta e la popolazione pugliese, un rapporto che valica i confini dell’agricoltura e si addentra nelle profondità culturali e antropologiche. La storia di questa pianta è la storia dei salentini. Il sacrificio delle madri e delle nonne raccoglitrici di olive, le loro lotte per l’emancipazione. I frantoi scavati nelle viscere della terra, le navi cariche di olio e le narrazioni mitiche di questo mondo lontano. Gli sforzi per il sostentamento della famiglia, i figli mandati a scuola con i proventi dell’olio. Le feste nei campi. I primi baci all’ombra delle chiome. Gli scrittori e i poeti che hanno versato litri di inchiostro in onore di questa pianta. La tradizione orale che ha vissuto nel suo mito. Non esiste una famiglia salentina che non abbia ricordi legati all’albero di ulivo.

Quali fasi hanno portato alla quasi desertificazione del Salento?
Solo nel febbraio 2015, sedici mesi dopo l’identificazione di xylella, fu dichiarato lo stato di emergenza e venne nominato un commissario che organizzò un piano secondo i dettami dell’Ue. La scelta cadde su Giuseppe Silletti, comandante del Corpo Forestale pugliese, che organizzò un piano di interventi secondo le indicazioni europee. Oltre alle eradicazioni, il piano obbligava l’utilizzo di erbicidi, tra cui il glifosato, e insetticidi neonicotinoidi neurotossici per le api e altri insetti impollinatori. Il Salento, a discapito della narrazione commerciale da cartolina esotica, è già terra martoriata da tassi tumorali tra i più alti d’Italia, ospita la centrale a carbone e il cementificio più grandi del paese, l’acciaieria più grande d’Europa e il terminale di depressurizzazione del gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline). Non si può comprendere il caso xylella in Salento e l’isteria di massa che ha provocato, se non si scava nelle ferite più profonde di questa terra, se non si conoscono i demoni che sono penetrati nelle mente e nel corpo della popolazione. Il territorio, sotto il profilo dell’impatto ambientale, è saturo e i drammi sanitari hanno prodotto paura, scetticismo, una costante percezione di insalubrità ambientale. Il piano di Silletti è stato considerato come diffusore di nuovi veleni e ha alimentato l’ostilità verso il provvedimento. Iniziarono manifestazioni e cortei, molti attivisti si legarono agli alberi per impedirne l’eradicazione. Il fronte delle proteste si allargò agli agricoltori biologici (che non avrebbero mai potuto utilizzare i trattamenti fitosanitari previsti), ai medici dell’Isde, della Lilt e dell’Ordine. Il piano non partì mai, perché ripetutamente bloccato da una serie di ricorsi al Tar. In un quadro già fosco si addensarono nuove nubi: intervenne la Procura di Lecce, che indagava sugli esposti presentati dagli attivisti, ordinando il sequestro degli ulivi destinati all’abbattimento e rinviando a giudizio dieci persone: ricercatori, professori universitari, dirigenti della Regione, tra cui Silletti. Quest’ultimo si dimise e il piano fu definitivamente accantonato. A dicembre 2015 la malattia aveva già invaso tutta la provincia di Lecce.

In quali fazioni contrapposte si è divisa la popolazione salentina?
Sulle possibili cure di contrasto alla xylella la scienza ha litigato a lungo (come è accaduto anche per l’epidemia da coronavirus), e soprattutto si è fatta trascinare nell’agone politico, cadendo così in due diktat esageratamente semplicistici: “La malattia è incurabile!”; “Falso! L’albero si può salvare!”. E così l’opinione pubblica si è divisa in due blocchi che non hanno mai dialogato tra loro. Da un lato le associazioni contrarie alle eradicazioni e favorevoli alle cure degli alberi, dall’altro un mosaico di comitati, tutti più o meno collegati alle associazioni di categoria, che chiedeva eradicazioni e procedure rapide per i reimpianti con nuove cultivar. Un mondo litigiosissimo. Uno rinfacciava all’altro di fare business con la xylella. Gli ambientalisti contro gli scienziati che hanno scoperto il batterio e contro gli imprenditori favorevoli ai reimpianti; quest’ultimi, insieme ad alcuni politici e scienziati, contro altri scienziati che studiavano protocolli per curare le piante; poi ancora imprenditori contro altri imprenditori accusati di fare politica e affari. Si sono fatti la guerra anche le associazioni di categoria e gli stessi olivicoltori. La popolazione si è così spaccata in due fazioni contrapposte: chi è convinto che la pianta si può salvare e chi crede che sia spacciata. Chi crede che il batterio sia arrivato secondo le tesi spiegate dalla scienza e chi crede che sia stato ordito un complotto diabolico.

Quali motivazioni hanno spinto la magistratura a porre sotto inchiesta gli stessi scienziati che hanno scoperto il microrganismo patogeno?
Sul caso xylella la Procura ha accolto alcuni esposti presentati dagli attivisti contrari alle eradicazioni degli alberi e ai trattamenti fitosanitari imposti dal piano Silletti. In tutto sono state indagate 10 persone, tra scienziati e funzionari della Regione Puglia, per diffusione colposa di una malattia delle piante, inquinamento ambientale colposo, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, getto pericoloso di cose, distruzione o deturpamento di bellezze naturali. L’inchiesta giudiziaria fu archiviata a maggio 2019.

Quale futuro, a Suo avviso, per l’ulivocultura e l’economia e la società salentine?
Il futuro è torbido. Le speranze dell’olivicoltura pugliese sono concentrate su due cultivar, le uniche attualmente resistenti (ma non immuni) al batterio: Leccino e Favolosa. In queste due cultivar sono riposte speranze importanti, che però poggiano su pilastri ancora troppo fragili. Nessuno scienziato metterebbe la mano sul fuoco per garantire che fra qualche anno queste due varietà non mostrino sintomi di disseccamento. Inoltre, manca ancora una strategia per riforestare il Salento, che attualmente ha un paesaggio desertificato. La monocoltura dell’ulivo è stato un errore e il Salento lo sta pagando ora. Ma questa esperienza può essere una grande lezione da cui poter ricominciare. Forse partendo da produzioni diversificate e da una biodiversità diffusa, in grado di proteggere le economie dai possibili attacchi, che siano climatici o parassitari. Per rispondere alle sollecitazioni delle fitopatologie, del mercato aperto, del cambiamento climatico, lo scenario indicato è quello di un sistema agricolo e quindi di un paesaggio resiliente, in grado di modificarsi ogni qualvolta una nuova variabile rientra nel sistema ecologico

Stefano Martella è un giornalista pluripremiato che collabora con varie testate giornalistiche e case cinematografiche. È coautore di Vento di soave, un documentario che analizza il rapporto tra grandi industrie a combustibili fossili e territorio. Per Besa Editrice, nel maggio 2017, ha pubblicato I segreti della Lupa. Il lato oscuro di Lecce, una raccolta di cinque inchieste narrative sulla sua città di origine: prostituzione e tratta delle donne; condizione abitativa dei migranti; nuove povertà; periferie tra criminalità e riscatto; massoneria e potere occulto.

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