“La metapsicologia di Freud. Inconscio e destino” di Francesco Tomasoni

Prof. Francesco Tomasoni, Lei è autore del libro La metapsicologia di Freud. Inconscio e destino edito da Morcelliana. Quello della metapsicologia fu, per il padre della psicanalisi, «un progetto coltivato fin dagli inizi, un compito perseguito per quasi trent’anni, una realizzazione mai definitiva»: quale significato aveva, per lui, la metapsicologia?
La metapsicologia di Freud. Inconscio e destino, Francesco TomasoniCome per gli antichi la metafisica, così per Freud la metapsicologia avrebbe dovuto fornire il quadro generale, in cui inserire i risultati delle indagini e stabilire un rapporto con l’insieme della cultura. Espose questo suo progetto all’amico Wilhelm Fliess ancor prima dell’Interpretazione dei sogni, quando cominciava a parlare di psicoanalisi. L’intento era duplice: da un lato delineare la struttura della psiche e le prospettive sotto cui considerarla, dall’altro circoscrivere l’ambito della nuova scienza rispetto alle altre scienze e, più in generale, alla civiltà umana. In un percorso che durò quasi tutta la vita Freud propose schemi famosi e prese posizioni che ebbero eco in tutta la cultura. Dopo aver suddiviso la psiche in inconscio, preconscio e conscio, poi preferì parlare di Es, Io e Super-Io, una modifica avvenuta all’interno della riflessione metapsicologica. Egli propose anche di considerare la psiche secondo il punto di vista economico, dinamico e topico, ma anche qui egli oscillò nell’assegnare la preminenza all’uno o all’altro. Significativi cambiamenti egli dimostrò anche in rapporto alle altre scienze, in particolare alla biologia e alla filosofia. Alla prima egli talvolta si appoggiò per garantire la scientificità delle sue tesi, ma insistette anche nel rivendicare l’autonomia del suo metodo. Dalla seconda egli fu attratto sia in gioventù, sia nella maturità, ma nello stesso tempo cercò di frenare questa sua tendenza temendo che nuocesse alla ricerca rigorosa. Nell’orizzonte della metapsicologia si profila dunque un cammino segnato da tensioni e mutamenti, che il libro mette in rilievo. Freud li giustificò presentando i suoi concetti come strumenti al servizio dell’indagine e definendo le sue tesi come ipotesi di lavoro. I colleghi in competizione più o meno aperta con lui, ma anche talvolta i discepoli lo accusarono di scarsa scientificità e dogmatismo, un’accusa che è riaffiorata in tempi successivi, fino a noi. Famosa è stata la critica di Popper. La metapsicologia chiamava in causa la scienza, ma anche la civiltà umana nelle sue origini e nel suo destino. Tale problema si fece sempre più assillante per Freud di fronte all’esplodere della violenza collettiva e al trionfo di nuove mitologie e illusioni. Al riguardo si interrogò sul senso della morale e della religione. Anche a questo proposito le sue risposte sono state spesso ritenute insoddisfacenti. L’insoddisfazione aleggia però su tutto il cammino della metapsicologia, rivolto a una sintesi che sempre sfuggiva, come Freud stesso confessò ai suoi più stretti discepoli, in particolare a Lou Andreas-Salomé. Qui sta forse la sua grandezza, quella di una ricerca mai conclusa, come il libro cerca di illustrare facendo riferimento all’ampia rete di relazioni personali ed epistolari, intrecciata dal padre della psicanalisi.

In quale contesto culturale Freud maturò la sua nozione di inconscio?
Il concetto freudiano di inconscio affonda le sue radici in una lunga tradizione di pensiero che Freud assimilò in gioventù e dalla quale anche nella maturità attinse spunti e orientamenti, dall’eros platonico alle petites perceptions di Leibniz fino all’irrompere del termine “inconscio” alle soglie del romanticismo. Quanto questo movimento abbia influito su Freud risulta, in particolare, dal secondo capitolo di questo libro. Agli inizi dell’Ottocento da un lato i tentativi terapeutici col magnetismo e con la suggestione, dall’altro le riflessioni sul fondo oscuro e misterioso della natura portarono alla esaltazione dell’inconscio come assoluto. Da Schelling furono influenzati medici come Carl Gustav Carus che vide l’inconscio come chiave per comprendere e curare la psiche o come Gotthilf von Schubert che si soffermò sul simbolismo dei sogni, un’indagine ben presente a Freud. Mentre si affermava sempre più il positivismo, rimase anche la percezione di un lato psichico che sfuggiva all’intelletto, come è documentato dallo studioso che Freud avrebbe chiamato “il grande” Fechner, indagatore delle soglie percettive e dei ritmi vitali, ma anche propenso a speculazioni sulle sfere ultraterrene. Questo lato oscuro in Schopenhauer e Nietzsche assunse una valenza sempre più irrazionale e virulenta. Freud fu a contatto con le loro suggestioni fin dalla gioventù non tanto attraverso letture dirette, quanto attraverso contatti, conversazioni e conferenze. La sua frequentazione delle lezioni di Franz Brentano dovette fargli conoscere le critiche all’uso biologico o metafisico del concetto di inconscio, presente nei positivisti o in Eduard von Hartmann. Anche le posizioni di Pierre Janet dovettero renderlo consapevole delle difficoltà connesse a quel concetto. Da qui lo sforzo di Freud per precisare in senso funzionale l’inconscio. Ne sono venuti gli schemi che abbiamo già ricordato, ma anche la loro problematicità in rapporto al contenuto filosofico che implicavano e che nel corso dell’esposizione emerge.

Quali scritti dedicò il medico viennese alla sua riflessione metapsicologica?
Dei dodici scritti che aveva progettato Freud ne pubblicò soltanto cinque durante la prima guerra mondiale: “Pulsioni e loro destini”, “La rimozione”, “L’inconscio”, “Integrazione metapsicologica alla teoria del sogno” e “Lutto e melanconia”. Un sesto scritto è stato rinvenuto in tempi recenti e reca il titolo: “Prospetto delle nevrosi di transfert”. Alla loro analisi è dedicato il terzo capitolo del libro. Il concetto di pulsione radicato nel pensiero idealistico, soprattutto in Fichte, aveva poi subito importanti sviluppi in Schopenhauer, Fechner e Hartmann. Esso viene collegato da Freud al termine “destino”. La pulsione ha infatti un orientamento, che però finisce spesso per essere ambivalente e sfiorare la tragedia. L’amore diventa odio, ma anche l’attività si converte in passività. A queste trasformazioni si rivolge con particolare attenzione l’indagine di Freud mostrando come spesso la superficie nasconda strati dalla valenza opposta. Così il melanconico che rivolge l’aggressività contro di sé mira in realtà a colpire l’altro.

Quali sviluppi successivi ebbe la metapsicologia in Freud?
All’interruzione degli scritti propriamente definiti metapsicologici seguì il saggio, Al di là del principio di piacere (1920), indicato da Freud come una loro continuazione. In verità conteneva una radicale modifica. Mentre prima il principio del piacere era stato assunto come basilare per spiegare i sogni e il funzionamento dell’inconscio, ora esso veniva ridimensionato. Accanto ad esso si riconosceva il principio del dispiacere, che si rivelava nella coazione a ripetere e si fondeva con la pulsione di morte, di annullamento di sé. Il destino delle pulsioni assumeva un aspetto più tragico trovandosi fra vita e morte. Da qui l’invito rivolto all’uomo perché accettasse il proprio limite. La riflessione metapsicologica seguita ne L’Io e l’Es (1923) circoscriveva l’Io in uno spazio intermedio fra un Es “amorale” e un Super-Io “ipermorale” rendendo precaria ogni prospettiva di autodominio. Infine ne L’avvenire di un’illusione (1927) Freud attaccava la religione come un’illusione pericolosa, un dolce veleno. Tuttavia non troncava il suo dialogo col pastore protestante Oskar Pfister, tanto divergente da lui nella visione dell’etica e della religione e, forse anche per questo, da lui molto apprezzato.

Quale atteggiamento ebbe, Freud, verso la morte?
La morte rappresentò un riferimento costante in Freud, come attestò il medico Max Schur che lo ebbe in cura negli ultimi dieci anni. Impressa nella mente infantile attraverso le raffigurazioni del viaggio dei morti e di divinità egizie, presenti nella Bibbia paterna, essa gli si presentò come evento decisivo e ambivalente nella scomparsa del padre. Su tale ambivalenza si sofferma ampiamente l’Interpretazione dei sogni. Da un lato la morte rappresenta il debito che dobbiamo alla natura. Dall’altro lato provoca sentimenti contrastanti: timore, ma anche desideri reconditi, dolore, ma anche sollievo e perfino gioia. Il contrasto si riflette nei sensi di colpa. Sull’ambivalenza insistono gli scritti metapsicologici. In Lutto e melanconia il problema è dato dal vuoto lasciato dalla perdita di una persona cara. Come affrontare la situazione senza soccombere? Realisticamente Freud suggerisce una sorta di sostituzione con un oggetto alternativo. La precarietà di tale soluzione apparirà però anche a lui, quando improvvisamente morirà sua figlia Sophie e, due anni dopo, il nipotino Heinerle, figlio della stessa Sophie. Il vuoto apparirà incolmabile. Negli stessi mesi della morte di Heinerle Freud scoprirà di avere un cancro maligno e di dover fare i conti con una realtà sempre più aggressiva. Come affrontarla? Nel libro, soprattutto nel capitolo quarto, si mette in luce l’impegno di Freud per dare una risposta. Già nel breve saggio, di poco precedente agli scritti metapsicologici, Il motivo della scelta degli scrigni (1913), Freud aveva posto l’uomo di fronte alla morte e suggerito che la accettasse trasformando la necessità in un atto di libertà. Durante la guerra aveva criticato l’uomo moderno per la sua propensione a rimuovere la morte dal proprio orizzonte. Le orrende stragi lo richiamavano drasticamente alla realtà. Come poteva l’uomo, così attaccato alla vita, dare un senso alla morte? Freud riecheggiò, anche con i termini originari, il pensiero greco sul destino. In qualche modo conveniva distinguerlo dal caso. Questo era di per sé irrazionale, quello poteva anche non esserlo. Poteva assumere un significato, anche se questo era assolutamente personale. Freud si adoperò per questo significato personale continuando ad occuparsi della psicanalisi e della civiltà umana fino alla fine. Fu tutto merito suo? Sicuramente no ed egli lo riconobbe. Nella figlia Anna che lo accompagnò continuamente e lo sorresse nella sua debolezza egli vide una novella “Antigone”. Sapeva pure che, come diventava sempre più difficoltoso il suo parlare, avrebbe potuto anche perdere il bene dell’intelletto, un’eventualità che lo terrorizzava, come spaventa tutti noi. L’uomo è limitato e dipende da una natura che dalla nascita lo porta pian piano alla corruzione. Egli non può trasformare interamente la necessità in libertà, né dare un senso a tutto quanto gli capita. Questa consapevolezza si impose a Freud portandolo in qualche momento significativo allo svenimento. Furono però soprattutto le sue riflessioni metapsicologiche a rinviarlo al limite non solo dei concetti psicanalitici, ma anche dell’essenza umana. Entro tale limite bisognava muoversi, conferire la propria impronta e trovare il proprio oggetto, secondo il verso dell’Eneide (VII, 312) posto a esergo dell’Interpretazione dei sogni: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo (Se non posso piegare i Celesti, muoverò l’Acheronte)».

Francesco Tomasoni ha insegnato Storia della filosofia contemporanea all’Università del Piemonte Orientale. Ha pubblicato, fra gli altri, i libri: Ludwig Feuerbach e la natura non umana (La Nuova Italia, Firenze 1986, edizione tedesca, Fromman-Holzboog, Stuttgart 1990); Christian Thomasius (Morcelliana, Brescia 2005, edizione tedesca, Waxmann, Münster 2009); La modernità e il fine della storia. Ebraismo e antigiudaismo da Kant ai giovani hegeliani (prima edizione Morcelliana, Brescia 1999, seconda edizione 2019, edizione inglese Kluwer, Dordrecht 2003); Ludwig Feuerbach. Biografia intellettuale (Morcelliana, Brescia 2011, edizione tedesca, Waxmann, Münster 2015). Ha anche tradotto e curato di Feuerbach: L’essenza del cristianesimo (Laterza, Bari 1997), Abelardo ed Eloisa (Le Lettere, Firenze 1999), L’uomo è ciò che mangia (Morcelliana, Brescia 2015, 20222).

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