“La mente delle piante. Introduzione alla psicologia vegetale” di Umberto Castiello

Prof. Umberto Castiello, Lei è autore del libro La mente delle piante. Introduzione alla psicologia vegetale edito dal Mulino: le piante hanno una qualche forma di cognizione?
La mente delle piante. Introduzione alla psicologia vegetale, Umberto CastielloI comportamenti delle piante descritti nel mio libro sono molto simili a quelli che si osservano negli animali. Se quei comportamenti ci convincono che gli animali posseggono processi mentali, perché dovremmo pensare che le piante non li posseggano? La domanda, piuttosto, è cosa produca i sorprendenti (e affascinanti) comportamenti delle piante che ho descritto in questo testo. Le piante non hanno un cervello o, meglio, non hanno un sistema nervoso centrale. Se i processi che chiamiamo cognitivi, o che assomigliano a quelli che chiamiamo processi cognitivi, dipendono, negli animali, dalla presenza di un sistema nervoso centrale, come è possibile osservarli nelle piante? Questa è la domanda cruciale alla quale si dovrà trovare una risposta. Non la troverete in questo libro. Il mio libro vi farà, però, capire perché quella domanda è ineludibile.

Ciò che propongo è di considerare le piante come un sistema a-neurale in grado di contribuire alla comprensione dei meccanismi fondanti della cognizione, se come definizione di cognizione adottiamo la capacità di percepire i segnali provenienti dall’ambiente circostante, elaborarli e mettere in atto risposte e strategie necessarie alla sopravvivenza. In altre parole, le piante sono cognitive nella scelta delle soluzioni da adottare, per far fronte alle difficoltà legate alla loro esistenza. Esse sono estremamente consapevoli del mondo che le circonda: distinguono e reagiscono con diverse modalità a differenti tipi di luce (ad esempio rossa, blu, raggi uv etc.) percepiscono i profumi e codificano piccolissime quantità di sostanze chimiche disperse nell’aria così come possono distinguere tra diversi tipi di contatto quando toccate. Inoltre sono consapevoli della gravità come dimostra il fatto che possono modificare la loro crescita affinché i germogli crescano verso l’alto e le radici verso il basso. In aggiunta ricordano eventi del loro passato quali le infestazioni e le intemperie che hanno esperito e alle quali sono state sottoposte così da proteggersi quando questi si ripresenteranno.

Le piante, quindi, si comportano in maniera adattiva e flessibile ed evidenziano un comportamento pianificato e mirato a raggiungere un determinato obiettivo. Pertanto, le piante posseggono tutte le caratteristiche per essere considerate agenti cognitivi a tutti gli effetti. Tuttavia non voglio affermare che le piante possano essere utilizzate al posto degli animali per comprendere il funzionamento del sistema nervoso. Piuttosto che lo studio della cognizione affrontato sia dalla prospettiva animale che vegetale possa fornire una visione più integrata dell’evoluzione dei processi cognitivi. In altre parole, non vi è l’intenzione di antropomorfizzare il mondo vegetale o di assegnare un significato animistico al comportamento delle piante. Possiamo antropomorfizzare il comportamento delle piante, ma solo per questioni di chiarezza espositiva, tenendo bene a mente, che tale terminologia è assegnata ad un organismo privo di cervello. A tal proposito nel mio testo sono utilizzati termini quali – “vede”, “annusa”, “sente”, “decide” – pur sapendo che l’esperienza sensoriale delle piante e quella degli animali è qualitativamente diversa pur essendoci una nota di similarità: gli animali e le piante condividono parte del loro patrimonio genetico. Le piante e gli animali sono due adattamenti evolutivi che si distinguono per tipo di cellule, tessuti e organi, ma espletano funzioni simili.

Come avviene la percezione nel mondo vegetale?
Raramente prestiamo attenzione all’apparato sensoriale incredibilmente sofisticato delle piante che popolano il nostro giardino. Per la maggior parte degli animali è naturale scegliersi l’ambiente nel quale vivere, ripararsi dalle intemperie, procurarsi cibo e un partner; mentre le piante devono sopravvivere e adattarsi continuamente ai mutamenti ambientali, ai soprusi dei vicini e agli attacchi dei parassiti che le invadono senza avere possibilità di spostarsi in un ambiente migliore. Per questo, le piante hanno sviluppato complessi apparati sensoriali e regolatori che consentono di modulare la propria crescita in risposta a condizioni sempre differenti. Le piante sono organismi estremamente sensibili e seppur sviluppati in modo “vegetale” possiedono tutti e cinque i sensi comunemente conosciuti: vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Le piante monitorano continuamente il loro ambiente visibile. Ovviamente, le piante non “vedono” per immagini, come accade a noi, ma vedono la luce in modi e colori che noi possiamo soltanto ipotizzare. Vedono la luce ultravioletta che scotta e quella a raggi infrarossi che, invece, ci riscalda. Sono in grado di percepire una luce fioca, come quella che proviene da una candela, oppure quando è pieno giorno.

È stata anche avanzata l’ipotesi che le piante posseggano una forma di visione resa possibile da cellule localizzate nell’epidermide delle foglie (chiamate ocelli). Queste cellule agirebbero come lenti in grado di permettere alle piante non solo di percepire la luce, ma anche di costruire una rappresentazione abbastanza definita delle forme che caratterizzano l’ambiente visibile.

Al contrario di quello visivo, assai ampio, l’input olfattivo è limitato, ma anche altamente sensibile, e comunica all’organismo una notevole mole di informazioni. Che le piante siano in grado di rispondere a stimolazioni olfattive è un argomento alquanto controverso. Quindi è opportuno definire l’accezione del termine “olfatto” considerato nel mio testo: con il termine olfatto intendo un fenomeno ampiamente dimostrato, ovvero la capacità della pianta di reagire a molecole chimiche volatili dette VOCs (Volatile Organic Compounds). Le piante emettono odori che attirano gli animali e gli esseri umani, ma percepiscono anche i loro stessi odori e quelli delle piante vicine. Le piante annusando sanno quando il loro frutto è maturo, quando la loro vicina è danneggiata oppure attaccata da un insetto. Negli esseri umani e altre specie animali l’olfatto e il gusto sono intimamente connessi. La bocca e le cavità nasali sono connesse, ed in questa maniera il naso può catturare gli odori rilasciati durante la masticazione. Anche nelle piante i due sensi sono fortemente connessi. È stato notato come le piante carnivore abbiano preferenze e quindi gusti alimentari verso gli insetti che cacciano: prediligono prede come ragni, afidi e farfalle con maggiori quantità zuccherine nel corpo e se la preda è poco “gustosa” la loro trappola si riapre in poco tempo dopo la cattura. Attraverso le radici le piante assaggiano nitrati, fosfati e potassio che possono essere localizzati anche in piccolissime concentrazioni e a lunga distanza. Se le radici “assaggiano” sostanze ritenute tossiche per la pianta, tenderanno ad allontanarsi quanto più possibile.

Le piante sono anche equipaggiate per percepire il suono, anche se tale capacità non è confinata ad un unico organo, l’orecchio, come nell’uomo e altre specie: la percezione dei suoni avverrebbe attraverso milioni di cellule che fungono da “micro orecchie”, sopra e sottoterra. A studiare i sensi delle piante presi in esame fino a questo momento hanno contribuito varie e rigorose ricerche scientifiche. Invece, a proposito della reazione di una pianta al suono, di credibili e conclusive ne esistono ben poche. Nel complesso, la comprensione dei meccanismi mediante i quali questa si realizza è ancora limitata e le ipotesi a riguardo richiedono ulteriori verifiche empiriche. L’ipotesi di una percezione acustica nel mondo vegetale è affascinante, ma la vera sfida è quella di comprendere se le piante percepiscono forme del suono unicamente vibratorie oppure se sono in grado di creare vere e proprie rappresentazioni basate su stimoli sonori anche complessi.

Le piante sono esposte a molteplici sollecitazioni tattili prodotte sia da eventi atmosferici che dall’interazione con elementi del regno animale, come per esempio gli insetti. Per questo motivo le piante nel corso della loro evoluzione hanno investito molto nella percezione e interpretazione di stimoli tattili.

Nelle piante, la capacità di discriminazione tattile sarebbe talmente sviluppata da poter riconoscere se uno stimolo meccanico, quale il tocco di un insetto ad esempio, ha un effetto positivo o negativo sulla loro esistenza. La pianta modifica drasticamente la sua reazione a seconda del tipo di insetto con il quale avviene il contatto: solo se l’insetto è un erbivoro che si nutre delle loro foglie allora la pianta, una volta toccata, attiva la produzione di sostanze dal sapore sgradevole o tossiche per l’insetto e ricorderà quel tipo di tocco.

Le piante si muovono?
Ad un primo sguardo, le piante possono sembrare immobili, strutture rigide fermamente radicate alla terra. Ma se l’umanità fosse avvezza a vedere la natura ingrandita 100 o 1000 volte o a percepire ciò che accade nel corso di settimane o mesi nell’arco di un minuto questa idea apparirebbe in realtà completamente sbagliata. In altre parole, se il movimento delle piante fosse ricondotto ad una scala temporale più famigliare agli esseri umani ci apparirebbe visibile in tutte le sue forme. Le piante si muovono per garantirsi la fotosintesi, la loro risorsa primaria. Il movimento delle piante è intimamente legato alla loro crescita ed è estremamente utile per esplorare l’ambiente circostante. E il movimento che compiono le radici, apparentemente casuale, sembrerebbe quasi pianificato per evitare ostacoli e dirigersi in zone ricche di umidità ed elementi minerali. In altre parole, se una pianta smettesse di muoversi, morirebbe.

Le piante compiono una varietà di movimenti quali i movimenti spontanei, movimento di fusti e rami che, orientando le loro estremità, descrivono un’ellisse o un cerchio e i movimenti causati da uno stimolo, il movimento di una o più parti della pianta può avvenire a seguito di uno stimolo esterno. Il meccanismo fondamentale è sempre quello dell’allungamento o accorciamento di un organo flessibile.

La pianta raccoglie informazioni dall’ambiente, le combina con le informazioni relative al suo stato interno e si muove, così da riconciliare la crescita con l’ambiente nel quale si sviluppa. Questo tipo di comportamento ci potrebbe far pensare che la pianta si muova in maniera anticipatoria. In altre parole, che la pianta pianifichi il movimento in base all’obiettivo da raggiungere e che quindi le piante abbiano la capacità di rappresentarsi lo stimolo e pianificare una sequenza di eventi motori adeguati in reazione ad esso. L’idea di una programmazione del movimento in base all’obiettivo da raggiungere, e la dimostrazione quantitativa che questo sia effettivamente il caso ci proviene da una serie di studi condotti nei nostri laboratori. Questi esperimenti si sono avvalsi dell’analisi cinematica, la descrizione in termini di una funzione matematica del movimento, che permette di analizzare i movimenti indipendentemente dalle cause che li provocano. In questi studi si è indagato come le piante di pisello (Pisum sativum L.) siano in grado di percepire un elemento presente nell’ambiente, e di eseguire un movimento verso di esso in funzione delle sue proprietà intrinseche quali, per esempio, la dimensione. Il movimento delle piante è stato registrato attraverso una coppia di telecamere ad infrarosso posizionate parallelamente e perpendicolari alla direzione di crescita della pianta, permettendo la registrazione giornaliera della crescita, dalla germinazione del seme fino all’afferramento dello stimolo. Lo stimolo poteva variare di dimensione ed era posizionato davanti alla pianta. L’analisi tridimensionale del movimento ha evidenziato una differenza nelle caratteristiche cinematiche del movimento in base alla dimensione dello stimolo. Non solo le piante sembrano essere consapevoli della presenza dello stimolo, ma si preparano ad afferrarlo in maniera diversa a seconda della sua dimensione. Questa diversa programmazione a seconda della dimensione dello stimolo suggerisce che la pianta possa essere in grado di calcolare la dimensione dello stimolo, e di aprire i cirri in base alla dimensione dello stesso per afferrarlo in maniera appropriata. In altre parole, la pianta non si “prepara” in maniera arbitraria all’afferramento e soprattutto non ha bisogno di toccare lo stimolo per farlo, ma anticipa tale movimento con una programmazione accurata.

Le piante ricordano e imparano?
Memoria e apprendimento sono processi che caratterizzano fortemente le piante, manifestandosi attraverso un’alterazione dello stato fisiologico e metabolico in risposta ad una esperienza precedente. Le piante quindi sembrano capaci di formare dei “ricordi”, ossia di tenere traccia delle loro precedenti esposizioni a siccità, calore, freddo prolungato, agenti patogeni, oltre che della lunghezza del giorno. La memoria di questi eventi permette alla pianta di distinguere, per esempio, l’improvviso crollo della temperatura di una sola nottata dalla prolungata esposizione al freddo invernale e dunque, in funzione di questa informazione, stabilire o meno se promuovere la fioritura.

Se pensiamo alla memoria come la capacità di immagazzinare informazioni, e di recuperarle dopo un periodo di tempo variabile, allora la risposta è sorprendentemente affermativa.

Prendiamo come esempio una pianta comune: la Malva (Malva silvestris L.). Una pianta le cui foglie durante il giorno seguono il movimento del sole e, durante la notte, si posizionano in maniera tale da anticipare la provenienza dei raggi solari del giorno che verrà. Si potrebbe dire che la Malva, quindi, ricorda quando e dove sorgerà il sole. Questo comportamento ha stimolato l’interesse dei ricercatori che, attraverso una serie di esperimenti, hanno dimostrato come la Malva sia effettivamente in grado di apprendere e ricordare la provenienza di una sorgente luminosa.

Facciamo un altro esempio: La Dionea o Venere acchiappamosche, una pianta insettivora, ha bisogno di sapere quando un cibo adatto a lei si sta muovendo lungo le sue foglie. Serrare la trappola comporta un enorme dispendio di energia, e riaprirla può richiedere ore, così la Dionea vuole chiudersi soltanto quando è certa che l’insetto sia abbastanza grande da valerne la pena. Le grandi ciglia nere presenti nei suoi lobi consentono alla Dionea di percepire la preda, e si comportano come detonatori che fanno scattare la trappola quando al suo interno penetra una preda adeguata. Se l’insetto tocca soltanto una delle ciglia, la trappola non scatta; ma un insetto abbastanza grande verosimilmente tocca due ciglia entro venti secondi l’una dall’altra, e questo segnale mette in azione la Venere acchiappamosche. Possiamo considerare questo sistema come un analogo della memoria a breve termine con una durata molto limitata.

Memoria e apprendimento sono fenomeni strettamente connessi. Infatti, non può esservi memoria se non vi è stata, precedentemente, un’esperienza e quindi un apprendimento e non può esservi apprendimento senza possibilità di memoria.

Un modo semplice per capire se le piante hanno la capacità di apprendere è quello di metterle in situazioni che non hanno mai esperito durante la loro evoluzione e osservare come si adattano.

Per esempio, piante di Mimosa pudica che venivano fatte cadere da una certa altezza (un evento che la pianta non ha mai esperito nella sua storia evolutiva) evidenziavano la reazione iniziale di serrare le foglie. Tuttavia, dopo parecchie “prove di volo” le foglie della pianta rimanevano immobili, come a testimoniare il fatto che la pianta apprendeva che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

In che modo le piante comunicano?
Il fatto che le piante ci appaiano silenziose non significa che non comunichino tra di loro e con l’ambiente. Lo fanno sia in superficie attraverso messaggi cifrati di forme, colori, suoni e odori, sia sottoterra attraverso l’apparato radicale e l’associazione simbiotica tra funghi e radici. Grazie alle nuove tecnologie la ricerca sta iniziando a decifrare la grammatica di questi linguaggi e ad individuare gli elementi che caratterizzano queste forme di comunicazione. Per comunicare le piante utilizzano migliaia di molecole chimiche volatili. Questa forma di linguaggio chimico è estremamente sofisticata e una singola “parola” può avere significati diversi a seconda di chi la ascolta. Un dato interessante è che questa forma di comunicazione chimica sembra essere più efficace tra piante geneticamente simili, per esempio quelle con discendenza diretta, cioè tra individui che hanno in comune la quasi totalità del loro patrimonio genetico. Tuttavia, in certi casi anche piante di specie diversa possono intercettare questi messaggi ma non è ancora stato chiarito come alcune piante abbiano acquisito la capacità di decodificare con successo il codice utilizzato da altre specie.

Come si sviluppa la vita sociale delle piante?
Essendo ancorate al suolo, le piante sono ovviamente limitate nella scelta dei loro “vicini di casa” e per questo motivo hanno sviluppato una vasta gamma di meccanismi che permettono loro di acquisire informazioni sulle piante attigue e giudicarle contestualmente all’ambiente nel quale si sviluppano e si riproducono. Tali informazioni determinano l’attitudine sociale che una pianta può assumere: se competere, cooperare, evitare, o tollerare le piante accanto alle quali cresce.

I fattori che determinano e modulano l’attitudine sociale delle piante sono essenzialmente due: la distinzione del sé dal non-sé ed il riconoscimento del legame parentale. Che le piante siano in grado di discriminare componenti provenienti dal proprio organismo (il sé) da componenti provenienti da altri organismi (il non-sé) è testimoniato dalla capacità di molte specie vegetali di evitare l’autofecondazione. Se distinguere il sé dal non-sé consente di vedere sotto una luce diversa eventi tanto disparati quali la scelta del partner sessuale o il funzionamento del sistema immunitario, saper distinguere i propri familiari dagli estranei offre una serie di vantaggi a livello comportamentale, ecologico ed evolutivo. Innanzitutto, gli organismi in grado di riconoscere i propri parenti tendono ad evitare la competizione con essi e dunque a regolamentare l’accesso alle risorse attraverso meccanismi meno dispendiosi e più cooperativi. Le piante estranee che crescono le une vicine alle altre, sono spesso più basse perché gran parte della loro energia viene destinata alla crescita delle radici, mentre nel caso di piante sorelle, che non cercano di crescere l’una a scapito dell’altra, le radici sono spesso più superficiali e le loro foglie si toccano e intrecciano, cosa che difficilmente avviene fra le piante non imparentate, che tendono invece a crescere dritte verso l’alto e senza contatti fra loro.

Umberto Castiello è professore ordinario di Psicobiologia e Psicologia fisiologica presso il Dipartimento di Psicologia generale dell’Università di Padova

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