
Quali vicende segnarono la vita di Maria Antonietta?
Innanzitutto il fatto di essere rimasta presto orfana ed essere diventata una sorta di cenerentola a casa del patrigno. Poi il fortunato incontro con Eugenio Torelli Viollier, che l’aiuta a scappare dalla provincia e a cercar fortuna a Milano. Dove, prima di dedicarsi completamente alla scrittura, insieme ad Anna Maria Mozzoni si impegna nella battaglia per l’emancipazione delle donne attraverso l’educazione. Altro personaggio importante nella sua vita è il poeta Giosuè Carducci che le dedica una poesia romantica. Un anno di svolta è il 1875: sul «Giornale delle donne» del primo agosto Maria Antonietta annuncia che d’ora in poi si firmerà Marchesa Colombi: «La Marchesa può essere più facilmente di parere contrario», spiega. E nell’ottobre dello stesso anno sposa l’amico, mentore e collega Eugenio Torelli Viollier. Un matrimonio che andrà a pezzi una decina d’anni dopo a causa di una tragedia familiare. Gli ultimi 20 anni della sua vita li passa a Torino o nel buon rifugio di Cumiana.
Sotto il nom de plume di «Marchesa Colombi», Maria Antonietta conquistò un successo solido e duraturo: quale diffusione ebbero i suoi romanzi?
Ebbe un notevole successo – sia di critica sia di pubblico – non solo in Italia ma anche all’estero.
In Italia anche dopo aver smesso di pubblicare libri rimase molto popolare. Per esempio, nel 1906 il “Corriere della Sera” riporta che, secondo un sondaggio della Società bibliografica italiana sui libri più letti, le signore milanesi colte amano leggere la Marchesa Colombi, insieme a Fogazzaro, Serao, Neera e Anna Vertua Gentile.
All’estero sono tradotti – in inglese, francese e tedesco – alcuni dei suoi principali romanzi: “Un matrimonio in provincia”, “In risaia”, “Tramonto di un ideale”. E ricevono lusinghiere recensioni.
La rivista inglese «Blackwood’s Magazine» all’inizio del 1885 pubblica un lungo articolo, «Gli scrittori leader dell’Italia moderna», comprendendo in questa rosa solo quattro autori: Salvatore Farina, Matilde Serao, la Marchesa Colombi e lo Giovanni Verga. «Nel campo del romanzo gli italiani possono misurarsi con i loro contemporanei europei e non essere trovati inferiori», si legge sul magazine. Sempre nel gennaio 1885, altre due recensioni positive arrivano da oltreoceano. A New York l’editore William Gottsberger ha pubblicato The Wane of an Ideal (Tramonto di un ideale) e l’autorevole quotidiano «The New York Times» gli dedica un articolo di un’intera colonna. «È una storia notevole, potente e con un particolare fascino dovuto alla sua semplicità e naturalezza» si legge. «La Marchesa Colombi ha una grande capacità di raccontare la povertà. Presenta un quadro vero della vita italiana. L’autrice ha un potere di scrittura drammatico, con un certo humor caustico e secco, combinati con una conoscenza precisa dell’arte letteraria.» Anche il giornale letterario «The American» ne parla con entusiasmo, superando i propri pregiudizi misogini: «È un libro notevole, sorprendente in particolare perché è l’opera di una mano femminile». E ancora: «I personaggi sono tratteggiati in modo così potente da sembrare veri. Specialmente la serva La Matta ha un pathos che richiama le pagine dello scrittore russo Ivan Turgenev».
Una “seconda vita” poi le opere della Marchesa Colombi la sperimentano dopo la riscoperta di “Un matrimonio in provincia” nel 1973 ad opera di Natalia Ginzburg, che lo fa ristampare da Einaudi. «Mi sembra che non accada di frequente trovare, nell’Ottocento, un romanzo minore così destituito di conformismo, così acre, faceto e malinconico» spiega Natalia Ginzburg nell’introduzione a quella edizione. «Mi rendo conto tuttavia che il mio giudizio non è per nulla spassionato, perché io amo questo libro non nel modo come si amano i libri, ma nel modo come si amano le persone: anzi nel modo come usiamo amare certi nostri famigliari o stretti parenti, le figure e i visi che hanno vegliato sulla nostra infanzia (…): visi da cui abbiamo imparato moltissimo di tutto quel che sappiamo.» Da allora si è riaccesa l’attenzione sulla Marchesa Colombi e molte sue opere sono state ristampate in Italia, in Europa e anche negli Stati Uniti.
Come aveva fatto Maria Antonietta a fare fortuna a Milano, riuscendo a sopravvivere da giornalista freelance?
Quando Maria Antonietta arriva a Milano nel 1868, Milano è «il posto» dove stare per chi sogna una carriera di scrittore o giornalista: è la capitale italiana dei media dell’epoca, sede di una folta schiera di editori, oltre a Sonzogno: Treves, Corona e Caimi, Hoepli, Giacomo Agnelli, Ricordi, Civelli, Politti, Vallardi. Sono centinaia i giornali pubblicati, dai quotidiani ai settimanali ai mensili. Maria Antonietta all’inizio è aiutata dall’amico Eugenio Torelli Viollier, direttore dell’«Illustrazione Universale» e de «L’Emporio Pittoresco» dell’editore Sonzogno. Ma è una donna intraprendente, piena di energia e di voglia di fare e presto è capace di ottenere incarichi di collaborazione con diverse testate e di farsi pagare.
Quanto era forte in lei il desiderio di maternità e di farsi una famiglia?
Il cruccio di non aver avuto figli l’ha tormentata tutta la vita. È uno degli aspetti del carattere di Maria Antonietta – sempre in equilibrio instabile fra mantenere la sua femminilità e mostrarsi determinata abbastanza per poter essere «di parere contrario» – che la rende così vicina alla nostra sensibilità moderna.
A un certo punto Maria Antonietta cerca di riempire il vuoto della mancata maternità “adottando” la nipote Eva. Ma purtroppo quel tentativo è finito in tragedia. Più avanti nella vita ha trovato consolazione nella famiglia Carutti di Cantonio, a cui era legata attraverso il fratellastro: i nipoti e nipotini acquisiti rallegrano gli ultimi anni della sua vita.
Qual era il contesto della Milano ottocentesca in cui operò Maria Antonietta Torriani?
Milano era la “capitale morale” d’Italia, un modello – spiegava Eugenio Torelli Viollier sul suo “Corriere della Sera” nel 1877 – opposto a quanto succedeva nelle altre città italiane, in particolare a Roma, dove imperversavano frodi elettorali a vantaggio delle speculazioni finanziarie ed edilizie. Nel 1881 Milano è anche in pieno boom economico e ospita la prima Expo italiana, la prima vera fiera del Made in Italy. Sono molto divertenti le cronache “alternative” che la Marchesa Colombi fa dell’esposizione milanese.
Quanto sono attuali la storia e la figura di Maria Antonietta Torriani?
Sono molto attuali perché la storia di questa donna forte, indipendente, spiritosa, femminista ante litteram è fonte di ispirazione anche per noi oggi. A me ha tenuto e continua a tenere compagnia, mi fa sorridere e mi commuove, mi incoraggia con il suo esempio di piccola provinciale che ce l’ha fatta con le sue gambe. Ed è una storia utile per capire quanta strada abbiamo fatto da allora e quanto sono “care” le conquiste ottenute dalle donne.
Maria Teresa Cometto è nata a Novara, come la Marchesa Colombi. Dal 2000 vive a New York dove scrive per il “Corriere della Sera”. Ha pubblicato diversi libri tra cui Due Montanari (Corbaccio), premiato da Mario Rigoni Stern con il Cardo d’Argento al premio Itas per la letteratura di montagna. Nel 2017 ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per la sua attività di promozione della lingua e cultura italiane in America. Si è laureata in Filosofia all’Università di Milano. È sposata con il giornalista Glauco Maggi e ha una figlia, Francesca.