
Ogni lingua è geniale a modo suo perché, attraverso le parole, esprime l’idea del mondo di coloro che la parlano. Ho scelto nel mio libro di raccontare il greco perché è una lingua molto umana ovvero, attraverso le sue particolarità, permette al parlante di fare i conti prima di tutto con se stesso e poi di dire. Quasi tutte le stranezze di cui parlo nel libro non sono obbligatorie nella lingua greca ‘per grammatica’: ogni essere umano era libero di scegliere, tra un’immensità di parole, quella più onesta per spiegare se stesso e il suo sentire agli altri. Il greco possiede un modo verbale per esprimere il desiderio e la fatica necessaria a renderlo realtà, l’ottativo; un numero per esprimere la relazione esclusiva che esiste tra due esseri umani che si amano, il duale; una categoria, l’aspetto, che permette di andare oltre il tempo e di riflettere su ciò che siamo diventati, al presente, grazie a tutti i passati che siamo stati. E tutto questo lo racconto in italiano, con la consueta ironia che mi contraddistingue!
Sempre nel Suo testo Lei sostiene che una lingua è anche un modo di pensare e vedere il mondo: quali sono le peculiarità del greco antico?
Uno degli aspetti che più amo della civiltà greca è il fatto che i Greci non sono mai stati uno Stato politico fino al 1832. Sono però sempre stati un popolo, da Omero a Kafavis, uniti dalla stessa lingua, dagli stessi testi in cui specchiarsi, dagli stessi valore e dalla stessa visione del mondo, anche e soprattutto attraverso la loro lingua, che non si è mai evoluta in altro da sè (come il latino che è diventato italiano), ma sempre dentro di sè. Per due millenni i Greci si sono sentiti Greci senza bisogno di un confine tratteggiato sulle mappe geopolitiche del mondo.
Virginia Woolf diceva che “è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza e della confusione della nostra epoca”. E oggi siamo ancora più confusi, spersi in un mondo che fatichiamo a comprendere. Oggi siamo sempre più Stato e sempre meno popolo: l’Europa esiste, ma gli Europei non vedono l’ora di andarsene (vedi Brexit) o di innalzare muri contro il diverso, lo straniero. La parola stessa “xenofobia” sembra di origine greca, ma non lo è affatto: è stata inventata da noi moderni (e dice molto di noi e delle nostre paure).
Provi a spiegarci in poche righe l’aoristo
Servono pochissime righe per spiegare l’aoristo: è il tempo indefinito. Proprio questo significa la parola ‘aoristo’, senza limiti, senza inizio né fine. L’azione espressa è puntuale e irripetibile, astratta dall’oggi e dal domani. I verbi “vivere” e “morire”, in greco, hanno solo il tema dell’aoristo, perché non esistono due azioni più slegate dal tempo dell’orologio: vivere o perdere la vita.
In Italia si studiano latino e greco per 5 anni per poi, al termine di questo intenso ciclo, stentare una traduzione di poche righe con l’ausilio pure di un dizionario: cosa c’è che non va?
Mi piacerebbe che a questa domanda potessero rispondere gli oltre seimila ragazzi che ho incontrato nei tanti licei di Italia che ho incontrato in questi tre mesi dall’uscita del libro, l’esperienza umana più bella della mia vita. Ai miei tempi (antichi, mi dicono alcuni ragazzi, come se fossi vecchissima!) non ho avuto la fortuna di avere insegnanti vivi e appassionati come quelli che sto incontrando ora: quando io frequentavo il liceo ogni materia, dal greco alla matematica, si imparava a memoria ed era finalizzata al compito in classe. Il risultato è che di chimica ricordo solo H20! Pensateci, anche nella vita umana: amereste qualcuno (un ragazzo, una ragazza) se foste obbligati a farlo? Io no! Oggi non è più così, la ricerca di senso e di significato nell’insegnamento del greco è profonda: gli insegnanti per primi hanno voglia di mettersi in gioco e di vedere illuminata da una luce nuova una lingua che è stata definita morta per millenni e che invece vive nella mente dei ragazzi che oggi la studiano (e la sanno tradurre molto meglio di me, mentre intanto studiano anche il cinese!).
In un mondo sempre più informatizzato e anglofono, ha ancora senso studiare il greco antico?
La bellezza della lingua greca sta nell’avere un modo preciso per esprimere tutte le sfumature della vita, anche le più minuscole, e affidarlo alla libera scelta degli uomini. E io nel libro sostegno con convinzione che nei testi Greci oggi leggiamo noi stessi. È vero, il mondo è sempre più informatizzato, io non scrivo certo su una pergamena, utilizzo ogni social network: abbiamo a disposizione un’infinita gamma di mezzi di comunicazione, ma ci mancano sempre più spesso le parole per dire cosa proviamo. Siamo meno liberi, fatichiamo a trovare un modo di dire il nostro mondo. Confondiamo mezzo e senso. Siamo sempre più connessi a qualcosa e sempre meno a qualcuno. La nostra lingua si sta facendo sempre più ristretta, i fraintendimenti aumentano: non abbiamo, come in greco, un modo di raccontarci che ci spinga a fare i conti con noi stessi, in quanto esseri umani, attraverso ogni nostra parola. Così le perdiamo, abbiamo ‘amici, su FB e ‘seguaci’ su Twitter, inviamo per la fretta le emoji, che io chiamo scherzosamente moderni pittogrammi, per non fare la fatica di spiegarci – prima di tutto a noi, poi agli altri.
Il greco antico è davvero una lingua morta?
Secondo ogni manuale di linguistica, una lingua si definisce morta quando nessuno la parla più: certamente i marmi del Partenone sono muti e non ci sarà mai nessun Greco antico che parli con noi in greco antico. È stata Virginia Woolf, nel suo splendido saggio intitolato “Del non sapere il greco” a scrivere che «è strano il fatto di voler sapere il greco, sforzarci di sapere il greco, sentirci attratti dal greco, e stare sempre lì a farci un’idea del significato del greco, magari sulla base di chissà quali incongrui dettagli, e di chissà quale vaga somiglianza con il significato reale del greco (…) perché nella nostra ignoranza saremo sempre gli ultimi della classe, visto che non sappiamo che suono avevano le parole greche, o dove di preciso dovremmo ridere». Fin dalla prima pagina del mio libro anch’io mi definisco strana, perché non solo mi sono ostinata a sforzarmi di sapere il greco, ma persino a raccontarlo in una grammatica tutt’altro che convenzionale come è La Lingua Geniale. Il greco, secondo me, è vivo, perché ha abitato nella mente e nei pensieri (non solo nelle paure!) di chi l’ha studiato e ora vive ancora di più nella curiosità dei 50mila lettori del mio libro!
La Grecia è la culla del teatro e della democrazia: vi è a Suo avviso un nesso tra le due?
Sì, certo, proprio per quella visione del mondo di cui parlavo poco fa. E proprio per la stessa ragione per cui considero il greco una lingua viva nei ragazzi che ho incontrato e che la stanno studiando oggi: insegna prima a pensare con la testa, poi a fare con le mani. Trovo difficile che chiunque abbia seguito la logica stringente di un qualunque dialogo di Platone si faccia oggi abbindolare dalle poche righe del politico di turno. Sorrido con amarezza e ironia insieme, pensando alla Grecia di oggi: cito Nikos Dimou, quando scrive che “chiunque discendesse dagli antichi Greci sarebbe automaticamente infelice, per l’impossibilità di dimenticarli. O di superarli”.
Lei è (poco) nota per aver svolto anche la professione di ghost writer per l’ex-premier Matteo Renzi: come valuta quell’esperienza?
È stata una parte del mio percorso che mi ha condotta ad essere la scrittrice che sono. In fondo, lo storytelling non è che l’arte omerica di raccontare storie che esprimano un’identità umana: Iliade e Odissea non sono solo la narrazione delle vicende di Elena, Paride e Ulisse, ma soprattutto l’enciclopedia della politica greca – nel senso più ampio e più puro e più rispettoso del termine politica.
Qual è il Suo sogno nel cassetto?
Quando ho terminato questo libro, ho promesso alla professoressa Maria Grazia Ciani, che mi ha sempre sostenuta in questi anni, di non tradire mai me stessa e di continuare a scoprire il mondo attraverso il greco. Sogno di tener sempre fede a questa promessa, di continuare a fare la scrittrice (non di greco!), di vivere sempre di più a Sarajevo e di costruire una famiglia tutta mia.