“La lingua degli antichi Persiani” di Maria Carmela Benvenuto e Flavia Pompeo

La lingua degli antichi Persiani, Maria Carmela Benvenuto, Flavia PompeoLa lingua degli antichi Persiani
di Maria Carmela Benvenuto e Flavia Pompeo
Hoepli Editore

«Il persiano antico è la lingua iranica di più antica attestazione diretta e ha svolto un ruolo chiave nella decifrazione del cuneiforme. Questa varietà ha suscitato e suscita tuttora la curiosità di quanti sono affascinati dalle lingue e dalle culture dell’Antichità e, a livello universitario, è di notevole importanza per gli studiosi interessati alle lingue iraniche, per coloro che si occupano di linguistica indoeuropea in prospettiva comparativo-ricostruttiva e per tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati al Vicino e Medio Oriente.

Preliminarmente è opportuno precisare che lo scopo di questo libro non è quello di fornire una grammatica storica (dall’indoeuropeo al persiano antico), bensì quello di offrire una descrizione sincronica della situazione linguistica che ragionevolmente può essere desunta dal corpus testuale disponibile. D’altra parte, in alcuni casi il riferimento alla comparazione indoeuropea e interlinguistica è indispensabile per la corretta comprensione dei fatti linguistici del persiano antico.

Coerentemente con il fine del volume, dopo una breve sezione introduttiva dedicata alla storia dell’impero achemenide, multilingue e multiculturale, e al ruolo svolto dalla scrittura cuneiforme, la presentazione della lingua segue un modello di descrizione grammaticale tradizionale che, tuttavia, non si limita all’esposizione aggiornata di un sapere consolidato, ma vuole anche offrire per un verso il riesame critico delle conoscenze cristallizzatesi nel tempo e per un altro la presentazione in una prospettiva nuova dei problemi emergenti dall’esame del corpus testuale che si è andato ampliando e consolidando negli anni. Per le lingue come il persiano antico, infatti, che non hanno una lunga tradizione di studio – come le lingue classiche – e il cui studio comprende anche testi rinvenuti o pubblicati molto recentemente, gli strumenti grammaticali e lessicali possono essere esposti a un certo grado di “invecchiamento” descrittivo e interpretativo, specialmente se accompagnato dal proporzionale incremento (quantitativo e qualitativo) del materiale documentario, che può portare significative acquisizioni con conseguenti mutamenti di prospettiva generale. In questo volume, pertanto, per dare una visione aggiornata dello stato delle conoscenze sul persiano antico si tenta di tenere presente le acquisizioni documentarie e, più ancora, i problemi posti dagli approcci linguistici contemporanei, in particolare per gli aspetti (morfo)sintattici e sociolinguistici. Ciò nondimeno non può mancare il rinvio a quei saggi che costituiscono “pietre miliari” per lo studio di questa lingua (Meillet e Benveniste, Kent, Brandenstein e Mayrhofer, Schmitt, Skjærvø ecc.), senza i quali – vogliamo sottolinearlo – questo libro non sarebbe stato possibile. Non sfuggirà a chiunque abbia un po’ di familiarità con essi quanto grande sia il nostro debito nei loro confronti. Naturalmente la bibliografia considerata nel volume non ha la pretesa di essere esaustiva. Per quanto ampia, essa tende principalmente a dar ragione dei contributi sui quali in positivo o negativo si è basata la trattazione.

La Crestomazia, a sua volta, intende fornire un’antologia rappresentativa dei testi persiani antichi in traduzione italiana che offra al lettore non solo un saggio della lingua, ma anche uno spaccato della cultura e della storia di una grande dinastia dell’Antichità: quella degli Achemenidi. A tal fine, non solo sono stati selezionati i testi di alcune delle iscrizioni più significative sotto il profilo sia storico sia culturale, ma sono stati inclusi anche testi legati all’amministrazione dell’impero nelle varie provincie, come quelli dei sigilli o quello dell’unica tavoletta amministrativa in persiano antico.

Date tali premesse, a questo punto è necessario un caveat. Il corpus limitato delle iscrizioni achemenidi (a livello sia qualitativo sia quantitativo), infatti, influisce inevitabilmente sulla ricostruzione del persiano antico a tutti i livelli linguistici. Parimenti, la presenza di numerose convenzioni a livello grafico comporta una serie di difficoltà e limiti non indifferenti. Basti pensare al fatto che, nel cuneiforme achemenide, in posizione finale di parola sono scritte solo alcune delle consonanti del sistema linguistico, o alla frequente mancanza di distinzione grafica tra vocali lunghe e vocali brevi. Sono questi elementi che rendono difficoltosa una ricostruzione esatta delle desinenze del persiano antico, soprattutto nell’eventualità che si tratti di innovazioni di questa lingua prive di continuanti nella fase del mediopersiano. Si noti, infine, che quello attestato nelle iscrizioni achemenidi da Serse in poi – soprattutto nelle iscrizioni più recenti – è verosimilmente uno stadio di transizione della lingua persiana antica, una fase “tarda”, intermedia tra il persiano antico e il mediopersiano. Tale fase, che si potrebbe chiamare “proto-mediopersiano” o “tardo persiano antico”, è solo parzialmente riflessa nelle iscrizioni e, conseguentemente, solo in parte conoscibile per gli studiosi di oggi. In conclusione, il quadro che abbiamo della lingua persiana antica non può che essere parziale e, per taluni aspetti, incerto.»

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