
Come si è evoluta storicamente la lettura?
La periodizzazione della storia della lettura è uno dei problemi con i quali ho dovuto confrontarmi, e dipende da che cosa si intende con il termine “lettura”. Nella sua accezione più ampia il termine può essere riferito alla attività di decodifica ed interpretazione di tutti i segni esteriorizzati dalla mente umana, ed impressi su una superficie comunicativa: la parete di una caverna, una pietra, la pagina di un rotolo o di un libro gutenberghiano. Nella sua accezione più specifica la lettura, nella nostra tradizione culturale, è studiata come pratica storica secondo le periodizzazioni canoniche: mondo greco-latino, medioevo, età moderna, età contemporanea. Uno dei principali mutamenti avvenuti è quello che riguarda il passaggio dalla lettura ad alta voce, praticata prevalentemente nelle culture antiche, alla lettura prima “borbottante” dei monaci ed infine silenziosa, effettuata secondo una modalità interiorizzata ed intima. Infine, oggi, le metamorfosi più significative riguardano la riconfigurazione della lettura in ambiente digitale, nel suo essere riferita non più a “testi” ma a “ipertesti”, a cui corrisponde un nuovo modello di comprensione definito da alcuni “iperlettura”. L’iperlettura è reticolare, e non sequenziale, ed è quella che effettuiamo quando “leggiamo” ogni giorno i contenuti del Web.
Quali riflessioni hanno elaborato intorno alla lettura grandi autori come Marcel Proust, Virginia Woolf e Primo Levi?
La scelta di questi tre grandi scrittori dipende essenzialmente da opzioni soggettive, dal momento che ci sono moltissimi altri approfondimenti sull’argomento, altrettanto interessanti ed importanti. Il fatto è che questi tre autori hanno avuto un rilievo notevole nella mia esperienza di lettore, e formano un tutt’uno inscindibile con l’insieme delle mie letture. Marcel Proust ha scritto (Sulla lettura) pagine indimenticabili su ciò che sta intorno all’esperienza della lettura in quanto tale: il ricordo degli ambienti in cui la lettura veniva praticata. Virginia Woolf (Il lettore comune) ha legittimato in modo forte le esperienze di lettura delle persone comuni, che leggono in modo “sgangherato” e che pure non rinunciano alla volontà di definire un proprio modello di appropriazione del contenuto dei testi. Primo Levi, nelle poche pagine della Ricerca delle radici propone considerazioni di grande lucidità e profondità, conformi alla sua sensibilità di grande scrittore. La cosa che più mi ha impressionato è che alla fine di questa breve nota Levi elabora una sorta di semplice grafo con il quale cerca di rappresentare il senso dell’insieme delle sue letture. Ed i due poli del grafo sono costituiti da un lato dalla figura biblica di Giobbe, e dall’altro dai buchi neri, collegati tra loro dagli itinerari effettuati seguendo quattro percorsi: La salvazione del riso, i cui autori sono tra gli altri Rabelais e Belli; L’uomo soffre ingiustamente (Eliot, Celan, Rigoni Stern); Statura dell’uomo (Marco Paolo e Saint-Exupéry); La salvazione del capire (Lucrezio, Darwin, Clarke).
Come è cambiato nel corso del tempo il lettore?
Il lettore delle origini preistoriche e mitiche era un lettore esclusivamente orale, che ascoltava la parola espressa ad alta voce e talvolta recitata. A partire dall’invenzione della scrittura, nel quarto/terzo millennio avanti Cristo, il canale sensoriale della lettura ha iniziato ad essere anche l’occhio, oltre all’orecchio. Oggi la lettura delle interfacce dei computer e degli smartphone sta ripristinando, secondo alcuni, un rinnovato primato della visività. In ogni caso il lettore ha modificato, nei diversi contesti storici, i caratteri della propria esperienza di lettura, modificando la propria psiche in relazione al modificarsi della configurazione dei testi e dei libri. In tal modo, come ha scritto l’antropologo e filosofo Jack Goody (L’addomesticamento del pensiero selvaggio), ha “addomesticato” il proprio pensiero, attraverso la relazione fondativa con le parole, i testi ed i libri.
Quali nuove evidenze riguardo al processo della lettura hanno svelato le più recenti ricerche nel campo delle neuroscienze?
Si tratta di un campo in forte espansione, ed a mio parere di grandissimo interesse. Tra gli esiti più significativi individuerei la teoria del cosiddetto riciclaggio neuronale, elaborata da Stanislas Dehaene e descritta in I neuroni della lettura. Secondo questi studioso la nostra specie non ha avuto il tempo di sviluppare, evoluzionisticamente, gruppi di neuroni che si occupassero in modo specifico della decodifica dei segni che l’invenzione della scrittura aveva imposto alla attenzione della nostra specie. Per questo sono stati “riciclati”, affidando loro nuove funzioni, neuroni che lungo l’asse evolutivo avevano sviluppato altre caratteristiche, e si occupavano originariamente della elaborazione di input visivi connessi al controllo dell’ambiente, in particolare in situazioni di pericolo, In questo modo è stata precisata la capacità di riconoscere le “protolettere” e poi le frasi, i testi, i libri, grazie all’azione integrata di gruppi di pochi neuroni fortemente specializzati nella specificità della propria azione.
Nel Suo libro Lei si occupa anche della dimensione pragmatica della lettura: esiste un modo migliore di leggere?
Sì, nel libro si parla anche di “ragion pratica” della lettura, volendo riferirsi all’insieme delle culture e della attività che si occupano della lettura dal punto di vista della sua produzione (il mondo dell’editoria), della didattica (la scuola), della distribuzione (le librerie), della gestione e comunicazione (le biblioteche), della promozione (festival ed eventi): l’insieme di quella che spesso è definita “filiera del libro”. Uno degli obiettivi di La lettura è infatti quello di offrire, della lettura, una rappresentazione “panoramica”, che tenga conto tendenzialmente di tutti i diversi punti di vista, disciplinari e gestionali, che di essa si occupano. Nel merito specifico non credo che si possa definire, in astratto, un modo di leggere migliore di altri. Si può leggere “bene” un pessimo libro e leggere malissimo un capolavoro.
Quali sfide pongono alla lettura le nuove tecnologie?
Il problema principale è costituito dalla rapidità dei cambiamenti in atto, che stanno modificando incessantemente la configurazione del testo e delle pratiche di lettura ad esso riferite. Le sfide principali che riguarda tutte le diverse comunità che si occupano di lettura per questo sono, secondo me, di due ordini principali, e riguardano da un lato la comprensione, e dell’altro la comunicazione, promozione e gestione. Questi ambiti naturalmente sono comunicanti, ma ognuno di essi utilizza principi e metodi di natura diversa e peculiare, che a volte non facilitano i rapporti di collaborazione. In ogni caso ciò che si può dire è che la quantità di lettori esclusivamente digitali è molto limitata, e che prevalentemente esistono lettori “ibridi”, che leggono libri cartacei e libri digitali, documenti ipertestuali, emoticon, like, messaggi WhatsApp. Non è certamente facile orientarsi in questa babele di segni, di codici e di linguaggi. Il punto di arrivo credo che consista nel trovare un equilibrio nella “dosatura” dei vari dei vari canali e strumenti mediatici utilizzati.
I dati Istat evidenziano come oltre il 60% degli italiani non legga: quali a Suo avviso le cause e quali le possibili soluzioni?
Il problema è annoso, di difficile comprensione e rispetto al quale non esistono secondo me soluzioni miracolistiche; e certamente, nel contesto culturale della post-verità, infarcito di fake-news, le persone sono stimolate a seguire la china della ipersemplificazione e della banalizzazione. Basti pensare, in tal senso, all’uso dei social che sta effettuando gran parte della nostra classe politica, affidando a messaggi comunicativamente molto efficaci, ma culturalmente di grande povertà, la elaborazione di contenuti, che poi vengono “letti”, che riguardano questioni cruciali per la nostra identità etica e civica, primo tra tutti quello dei migranti. La politica, anziché fornire esempi di stimolo alla elaborazione del pensiero critico, si sta preoccupando di parlare alle emozioni profondo delle persone, evocando la paura primordiale di nemici che in realtà non ci sono. La lettura è esattamente l’antidoto che serve per evitare questa catastrofica deriva. Credo poi che, sul piano delle politiche culturali, sarebbe indispensabile partire da un lato dalle istituzioni fondamentali per la lettura, le scuole e le biblioteche, e dare origine a piani pluriennali di valorizzazione ben strutturati, come ad esempio il Plan de Fomento de la Lectura spagnolo. Credo anche che i grandi eventi comunicativi non servano a costruire nuovi lettori, ma che si rivolgano a segmenti di pubblico costituiti in modo pressoché esclusivo da lettori “forti”, e da persone che apprezzano, più che la lettura in quanto tale, le molte forme spettacolarizzate che di essa vengono proposte.
È possibile educare alla lettura? Se sì, come?
Educare alla lettura è possibile, certamente, e di ciò dovrebbero occuparsi in primo luogo le scuole di ogni ordine e grado, le biblioteche, le librerie, soprattutto quelle indipendenti, e le famiglie, che però non è detto che dispongano di attitudini e competenze adeguati. Io personalmente sono convinto che un grande impulso potrebbe venire da un “orientamento” lungo l’asse della lettura del sistema delle biblioteche italiane, che sono di fatto la più grande e consistente infrastruttura esistente in questo campo. Le biblioteche dovrebbero sviluppare specifici “servizi di lettura”, che si costruiscono a partire dall’organizzazione degli spazi e degli arredi, dalle modalità di acquisizione e gestione delle collezioni bibliografiche, dalla indipendenza dei vincoli posti dal mercato. Le biblioteche, se si occupassero più di “libri” che di “informazioni” potrebbero rappresentare una leva di grande efficacia.
Quali provvedimenti e iniziative bisognerebbe adottare, a Suo avviso, per favorire la diffusione dei libri e della lettura?
In primo luogo credo che sia essenziale promuovere lo studio, la ricerca, la comprensione di come la lettura stia cambiando. Insieme con una collega della Sapienza di Roma, Chiara Faggiolani, abbiamo curato un altro libro (Le reti della lettura) in cui abbiamo approfondito l’analisi di come la lettura viene praticata all’interno delle piattaforme di social reading, ed in particolare di aNobii. Saper analizzare gli effetti delle politiche di promozione della lettura, valutarne l’impatto è preliminare a qualunque azione politica ed istituzionale, che non voglia limitarsi a sterili evocazioni retoriche e vacue del “valore” del libro. Su questa base, valorizzando l’insieme integrato dei soggetti che si occupano di lettura, andrebbe definita una strategia generale, che poi, localmente, potrebbe trovare organizzazione nei Patti per la lettura che sono stati sottoscritti di recente a Milano, Torino, Udine, Roma. Ma la lettura, come scrivo nelle pagine finali del libro, è un’entità mutevole e fluida, che si modula nei più diversi modi nei diversi contesti, dando origine a reti di fenomeni complessi. Ecco secondo me si tratta, di volta in volta, con pazienza, di costruire rappresentazioni di specifiche reti della lettura, e di cercare all’interno di ognuna di esse qual è l’elemento da promuovere in senso più specifico: e questo elemento potrà essere ora una scuola, ora una biblioteca, ora una libreria, ora un autore particolarmente rappresentativo. Il problema è trovare l’equilibro ed il dosaggio, la “pesatura” dei vari elementi. Secondo me vale la pena di provarci, dal momento che la lettura è uno degli elementi fondativi della nostra memoria e della nostra tradizione culturale, ed è una attività essenziale per collocarsi consapevolmente in questa inquieta e molto problematica società postmoderna.