
Un altro elemento di rilievo è che la letteratura egiziana antica ci è stata trasmessa in tutti i sistemi scrittorî in uso nell’Egitto antico (geroglifico, ieratico e demotico) ed è espressa attraverso tutte le fasi linguistiche che si sono succedute e talvolta anche soprapposte (antico egiziano, medio egiziano – la lingua “classica” –, neo egiziano e demotico, rappresentando quest’ultimo sia un sistema scrittorio che una fase linguistica), in una complessa interazione di rappresentazioni grafiche ed evoluzioni stilistico-linguistiche. C’è persino un’opera letteraria di tipo profetico, l’Oracolo del vasaio, che ci è giunta in greco, ma che certamente deve essere stata anch’essa originariamente composta in egiziano (demotico).
In quale contesto maturarono e vennero recepite le opere della letteratura egiziana antica e quali ne erano i destinatari?
I contesti di produzione, così come quelli di ricezione, mutarono sensibilmente nel corso del tempo, ma nell’Antico Regno (2700-220 a.C. circa.) e per buona parte del Medio Regno (2160-1785 a.C. circa) la cultura rimase appannaggio di una minoranza assai ristretta, anche se in progressiva espansione.
La questione dell’identificazione dei destinatari della letteratura egiziana resta in un ogni caso una delle più dibattute. Non sembra si possa parlare di una vera produzione letteraria – almeno non nei termini sopra esposti – prima del Medio Regno. L’Antico Regno ha certo visto la nascita dell’autobiografia monumentale, ma è solo nel tardo Primo Periodo Intermedio (2200-2040 a.C. circa) che questa forma testuale, inizialmente autoreferenziale e autocelebrativa – vale a dire destinata alla commemorazione del singolo defunto e all’esaltazione della famiglia di appartenenza e dunque rivolta a un “pubblico” assai limitato, anche in virtù del supporto scrittorio utilizzato (le pareti delle tombe) –, passa dal livello funzionale a quello finzionale, dando origine nel Medio Regno ai generi letterari veri e propri. Se un compiuto sviluppo della letteratura avviene dunque solo con il Medio Regno, periodo a cui si datano gli esempi più alti della letteratura egiziana, è proprio in tale fase storica che va cercata l’audience dei primi testi letterari. Ci sono pochi dubbi ormai che questa fosse rappresentata dall’alta élite dei funzionari e della casta scribale. La cosiddetta Satira dei mestieri o Insegnamento di Kheti, uno dei capolavori della letteratura egiziana antica, fa esplicito riferimento ai privilegi degli scribi, anche attraverso un’iperbolica denigrazione di tutti gli altri mestieri. Certamente autori e fruitori dovevano appartenere al ristretto gruppo di alfabetizzati, sebbene non si possa escludere una circolazione, parziale e mediata, anche per via orale.
Finalmente dal Nuovo Regno (1550-1070 a.C. circa) si può essere più precisi almeno su certi ambienti produttivi e ricettivi, grazie ad alcuni ritrovamenti di manoscritti riferibili a contesti archeologici sicuri. Dal celebre villaggio degli artigiani di Deir el-Medina, situato sulla riva ovest di Tebe – un contesto, è bene precisarlo, del tutto eccezionale –, provengono copie uniche di alcune opere letterarie che certamente devono essere state lette (e in alcuni casi forse anche prodotte) in quell’àmbito. Il Nuovo Regno porta dunque con sé, grazie a una più diffusa alfabetizzazione, un pubblico più variegato, anche se talvolta dal palato meno esigente rispetto alle fasi storiche precedenti. Un fenomeno questo che si accentuerà nell’Età Tarda e ancora in età tolemaico-romana.
Quali forme artistico-espressive adottarono le opere letterarie egiziane?
Gli Egiziani distinguevano all’interno della propria produzione letteraria diverse forme artistico-espressive, che, un po’ forzatamente, definiremmo oggi generi letterari, non essendo tuttavia rare le contaminazioni tra una forma espressiva e l’altra.
Un posto di primo piano tra tali “generi letterari” è occupato dagli insegnamenti o ammonizioni o letteratura sapienziale, forma espressiva dall’elevato valore morale che attraversa l’intera produzione egiziana fino alle fasi più recenti.
Le lamentationi sono tutto sommato affini agli insegnamenti, ponendosi come scopo la conservazione dell’etica, ma assumendo talvolta un sapore tra il profetico e l’apocalittico.
La più antica forma espressiva è certamente la già citata autobiografia, sempre in bilico tra la funzionalità della celebrazione e la finzionalità del racconto.
Quanto a quest’ultimo, sebbene già dal Primo Periodo Intermedio divenga uno dei generi di maggior successo, è nel Nuovo Regno e poi ancora nell’Età Tarda e tolemaico-romana che esploderà in forme narrative sempre più avvincenti e creative, anche se talvolta a scapito dello stile.
E poi ancora vanno annoverati gli inni, le liriche amorose, gli oracoli. La letteratura egiziana antica è insomma estremamente variegata e alcune su forme espressive si protrarranno fino alla prima età cristiana.
Quali sono i testi più significativi composti tra l’Antico Regno e il periodo tolemaico-romano?
I “capolavori” della letteratura egiziana antica universamente riconosciuti come tali sono molto numerosi. Molti di essi sono riferibili al Medio Regno. Oltre alla già citata Satira dei mestieri, occorre menzionare il Racconto del naufrago che, attraverso la tecnica del racconto nel racconto, narra del prodigioso incontro, su di un’isola incantata, di un uomo con un gigantesco serpente il quale, a dispetto dell’inquietante aspetto, si rivela essere una benevola divinità.
Non si può poi non menzionare il celeberrimo Racconto di Sinuhe, la cui fama è giustificata da un insieme di elementi: la credibilità storica della narrazione, ambientata all’epoca dell’assassinio di Amenemhat I (1962 a.C.), la rocambolesca fuga del protagonista, che lascia l’Egitto per ragioni che non verranno mai chiarite, fino alla lirica della nostalgia della patria, unico luogo in cui un Egiziano può pensare di far riposare il proprio corpo. La conclusione è a lieto fine: Sinuhe verrà riaccolto dal nuovo sovrano, Sesostri I, che gli restituirà la sua dignità di Egiziano, cancellando dal suo corpo i segni dei molti anni di esilio. Il Racconto di Sinuhe è ambientato in un’epoca in cui l’Egitto è un paese forte e i suoi funzionari sono stimati e temuti dai popoli vicini, al punto da aver modo di fare fortuna anche al di fuori dei propri confini. Ciò tuttavia non lenisce il dolore per la patria lontana: il tema della nostalgia per l’Egitto è il leitmotiv di molte opere letterarie egiziane, non riducendosi mai tuttavia a un mero topos letterario, ma rappresentando il più profondo e sincero sentire: in Egitto occorre sempre tornare, non fosse altro che per morire.
Tutt’altro scenario è quello descritto dal Racconto di Unamon, opera composta nel tardo Nuovo Regno e ambientato all’epoca di Ramesse XI (fine dell’XI secolo a.C.), che tuttavia, significativamente, non viene mai menzionato. L’opera narra del viaggio intrapreso in Libano dal sacerdote Unamon, al fine di reperire il legno di cedro necessario alla fabbricazione della barca di Amon-Ra. Derubato da un membro della propria ciurma, chiede al principe della località in cui la nave era ormeggiata, di risarcirlo, senza però ottenere soddisfazione.
Trasformatosi a sua volta in un ladro per necessità, allo scopo di recuperare quanto perso, non ottiene aiuto neppure dal re di Biblo, che non solo non lo accoglie nella propria reggia, ma gli intima più volte di lasciare il suo regno. Al termine di molte umiliazioni, Unamon riuscirà a rientrare in patria con il prezioso legno, ma certo il suo Egitto è ormai molto diverso da quello di Sinuhe.
Quale rilevanza assumono i testi funerari nell’ambito della produzione letteraria dell’Egitto antico?
I testi funerari hanno un ruolo importantissimo in una civiltà che, come quella egiziana, ha fatto della riflessione sulla morte, in tutti i suoi aspetti – dalla necessità della conservazione del corpo, alle prove che il defunto deve superare per raggiungere la Duat, ovvero l’aldilà, fino ai nemici che deve affrontare in questa dimensione spazio-temporale al tempo stesso agognata e temuta –, un vero e proprio cardine.
Essi sono tuttavia essenzialmente funzionali e dunque, a rigore, non appartengono alla letteratura propriamente detta. Nonostante ciò, il volume include un capitolo a essi dedicato, a cura di Angelo Colonna, sia perché essi rappresentano forse la produzione testuale più nota dell’Egitto antico (si pensi ad esempio al cosiddetto Libro dei Morti), sia perché, chiarendone le differenze rispetto alla letteratura vera e propria, se ne potrà apprezzare più compiutamente la finalità. Infine, essendo dei testi molto complessi, si auspica di poter accompagnare il lettore verso una più chiara fruizione del loro contenuto.
Per mezzo di quali supporti scrittorî e canali culturali circolavano le opere letterarie?
Si potrebbe credere che il papiro – e il rotolo di papiro, in particolare – fosse il principale supporto scrittorio in uso per la produzione e circolazione delle opere letterarie egiziane, ma non è propriamente così. Naturalmente dobbiamo immaginare che copie “ufficiali” delle opere più importanti, soprattutto sapienziali, dovevano essere depositate presso le biblioteche templari. Ciò equivaleva più o meno a una “pubblicazione” del testo, in quanto in questo modo si preservava il modello di un’opera, da cui si potevano poi ricavare altre copie fedeli. Occorre rammentare, infatti, che la biblioteca del mondo antico non è un luogo di consultazione, ma una sorta di deposito ufficiale, che ha tra i suoi scopi quello di salvaguardare l’autorevolezza e l’integrità di un testo.
Alcune opere, tuttavia, al di là della ragione e dell’ambiente per cui erano state originariamente composte, divennero dei “classici” e, come accade a tutti i classici, furono utilizzate anche per la formazione scolastica. Il Racconto di Sinuhe, ad esempio, ci è giunto attraverso numerosi ostraca, lacerti di coccio o calcare che rappresentano il supporto scrittorio più comunque, perché ovviamente a buon mercato (bastava chinarsi e raccoglierlo da terra!). Non si deve credere però che gli ostraca fossero necessariamente dei supporti di poca dignità: in età tardoantica abbiamo interi archivi vescovili, in copto (l’ultima fase della lingua egiziana, l’unica a essere stata vocalizzata e quindi utilissima per ricostruire le fasi più antiche), che ci sono stati trasmessi su ostraca.
Alcuni generi letterari poi, come ad esempio le autobiografie, le leggende divine o i cosiddetti “canti degli arpisti”, liriche etico-sapienziali di altissimo valore stilistico, hanno come naturale supporto scrittorio le pareti tombali, anche se può accedere che vengano trasmesse anche su papiro.
In breve, anche da questo punto di vista la storia della letteratura egiziana antica si rivela complessa, almeno tanto quanto le forme, i temi e gli stili in cui si è espressa nel tempo.
Paola Buzi è Professore ordinario di Egittologia e Civiltà Copta presso la “Sapienza” Università di Roma, dove dirige il Corso di Alta Formazione in Egittologia, e Professore onorario delle medesime discipline presso l’Università di Amburgo. È Principal Investigator del progetto finanziato dallo European Research Council, con un Advanced Grant, “Tracking Papyrus and Parchment Paths: An Archaeological Atlas of Coptic Literature” (paths.uniroma1.it) e condirettrice, con Enrico Giorgi (Università di Bologna), della missione archeologica a Bakchias (Fayyum, Egitto). Ha inoltre da poco ripreso le attività di ricerca sul campo della “Sapienza” in Nubia (Sudan). Agli interessi di tipo storico-letterario e storico-religioso unisce da sempre quelli per la ricerca archeologica, dall’età faraonica al Tardoantico.