“La letteratura ci salverà dall’estinzione” di Carla Benedetti

Prof.ssa Carla Benedetti, Lei è autrice del libro La letteratura ci salverà dall’estinzione edito da Einaudi: quale scenario disegna il futuro dell’Antropocene?
La letteratura ci salverà dall’estinzione, Carla BenedettiLo scenario lo hanno già disegnato gli scienziati del clima, gli oceanografi, i biologi, gli epidemiologi (persino la pandemia odierna era stata prefigurata, come ci racconta David Quammen, nel suo libro Spillover, pubblicato nel 2012, e che aveva come sottotitolo Animal Infections and the Next Human Pandemic”). Stiamo andando incontro a modificazioni dell’habitat dalle conseguenze catastrofiche: l’aumento della temperatura ha già iniziato a sciogliere i ghiacciai e i ghiacci polari; molte zone abitate saranno sommerse dalle acque, mentre altre diventeranno desertiche. Le migrazioni acquisteranno proporzioni bibliche. Alle masse già numerose che oggi fuggono dalle zone di guerra o di estrema povertà, si aggiungeranno anche i profughi del clima. E se continueremo a distruggere le foreste e a dissestare il territorio terrestre, rompendo gli equilibri formatisi in milioni di anni, anche le pandemie si faranno più frequenti. Per non parlare della diminuzione drastica della biodiversità, che fa scomparire a ritmo rapidissimo specie viventi necessarie al mantenimento della vita sul pianeta. Si parla di una sesta estinzione di massa. La quinta cancellò dalla faccia della Terra i dinosauri, la sesta cancellerebbe anche la specie umana, e sarebbe la prima ad essere provocata dalla specie stessa. Tutto questo ci è noto da tempo. Non c’è bisogno di disegnarlo di nuovo.

Quello di cui mi occupo nel mio libro è un’altra cosa, altrettanto enorme e spaventosa. Come mai gli uomini del nostro tempo, pur avvertiti della catastrofe che si prospetta, fanno così poco per evitarla? Sembrano dei sonnambuli diretti verso il precipizio, incapaci di svegliarsi e di modificare la propria corsa suicida. La grande quantità rapporti scientifici e di testi divulgativi sulla crisi ambientale non riescono a provocare un senso di emergenza planetaria e a farci correre ai ripari, finché si è ancora in tempo. Che cosa impedisce di cambiare rotta all’essere che si ritiene il più intelligente tra tutte le specie terrestri? Certamente, a frenare ci sono anche strutture economiche e di potere. Ma non sono le sole. Ci sono anche fattori di ordine mentale, morale e di sensibilità, che ostacolano un’azione proporzionale al rischio che la specie umana sta correndo. Ci sono strutture di pensiero che si sono calcificate nei tempi moderni, che occultano parti di realtà, forme culturali e abitudini che intorpidiscono il sentire, rendendoci persino insensibili all’agonia a cui stiamo condannando le future generazioni. Questo è il punto di partenza del mio libro, da cui si sviluppa tutta la riflessione.

Quale metamorfosi si rende necessaria per l’uomo contemporaneo?
Metamorfosi è la parola giusta. Non bastano piccole misure, occorre una mutazione profonda nel nostro modo di pensare e di sentire. Se siamo arrivati a questo punto è anche con il contributo di visioni limitate della complessità del mondo, ad esempio ragionare di crescita economica e di sviluppo senza tener conto dei limiti fisici del pianeta e delle sue risorse. C’è un aforisma attribuito a Albert Einstein che ho scelto come esergo del libro: “Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”. Non c’è soluzione alla catastrofe più grande che l’uomo abbia mai provocato in tutta la sua storia, se non si cambia la grammatica della nostra comprensione del mondo. Molti di questi schemi di pensiero che hanno permesso, o che addirittura hanno creato il danno, sono profondamente radicati nella modernità occidentale e anche nei suoi saperi specializzati.

In che modo la parola può generare tale metamorfosi?
Non la parola in generale, ma la forza suscitatrice della parola poetica e narrativa, quando è capace di dare forma e corpo a un nuovo modo di pensare e di far crescere una nuova sensibilità. Ad esempio, sentirsi cittadini non più solamente di questa o quella nazione, ma di una comunità di specie che vive su questo pianeta grazie alla sottile fascia d’atmosfera che lo protegge dal buio, dal freddo e dalle radiazioni del cosmo. Prima che italiani, europei, occidentali, cinesi o asiatici, mussulmani o cristiani – identità che spesso generano conflitti, noi siamo terrestri in mezzo ad altri terrestri, animali, piante, batteri, perché tutti quanti contribuiscono a mantenere questo incredibile e irripetibile habitat. Prima di ogni altra cosa siamo cittadini della Terra, e lo siamo assieme a tutti i viventi non umani a cui la nostra vita è interconnessa.

Le grandi opere del passato e anche molte odierne ci fanno sentire questa condizione della vita umana. Prendiamo Omero. Nell’Iliade i mari, i fiumi e gli altri elementi naturali sono delle forze agenti con cui l’uomo interagisce e deve negoziare: i moderni invece hanno fatto sparire questa percezione dal loro modo di vedere e dai loro calcoli, considerando la “natura” circostante come una specie di fondale inerte per le loro azioni. O prendiamo Leopardi, quel suo bellissimo e ultimo canto dedicato alla ginestra che cresce sulle pendici del Vesuvio, il vulcano più pericoloso d’Europa che può cancellare in un momento intere città. Percepire questa condizione di fragilità della vita, spinge alla solidarietà, a una confederazione di specie, invece che al conflitto.

Quale insostituibile funzione svolge, nella nostra società, la letteratura?
Non solo nella nostra società, ma da sempre, nei secoli, nei millenni. Quella cosa che noi oggi chiamiamo letteratura e che gli antichi greci chiamavano poiesis (da poiein, fare, creare dal nulla), ha sempre avuto un ruolo cruciale nella vita di una civiltà. Nel nostro tempo ce l’ha ancora, anche se facciamo fatica a percepirla, perché l’abbiamo ricoperta di altre funzioni, più secondarie, “estetiche”. Ma la letteratura resta una zona di contatto intimo e profondo tra individui della stessa specie, anche quando si trovano a distanza nello spazio e nel tempo. Questo strumento stupefacente si è sviluppato nel corso dell’evoluzione umana grazie all’elaborazione di una parola potente e memorabile, orale o scritta che sia, recitata, cantata o letta. Nella lunga storia dell’uomo questo canale non ha trasportato solo conoscenze ma anche sogni, emozioni, sentimenti; non solo pensiero ma anche cellule staminali di ulteriore pensiero, e ha sempre avuto una sua specifica forza di prefigurazione e di rigenerazione. Quella di cui abbiamo ancora più bisogno oggi, in questa fase drammatica e assolutamente nuova della civiltà umana.

La letteratura è capace di raggiungere non solo le menti ma anche i cuori delle persone, che altri saperi e altri mezzi di comunicazione non raggiungono. E può risvegliare facoltà che si sono addormentate nell’uomo moderno, fossilizzate da quelle stesse strutture di pensiero che hanno favorito il tipo di società che ora ci sta portando alla catastrofe. I referti scientifici che ci informano sulla crisi ambientale non bastano a farci cambiare rotta, perché sapere non basta. Occorre smuovere altre energie dentro l’uomo: non solo l’intelletto, la ragione strumentale, la capacità di progredire nella conoscenza, ma anche l’immaginazione, la sensibilità, la capacità di prefigurare il futuro, di provare empatia per quelli che verranno dopo di noi.

Quale contributo possono offrire le opere del presente e del passato?
È vero, non ci sono solo le opere del presente, ma anche quelle del passato. Di solito, quando si pensa alla letteratura e al suo ruolo in relazione all’emergenza planetaria, ci si rivolge alla produzione odierna, scritta in questo nuovo clima di consapevolezza. Ma anche le grandi opere del passato possono aprirci altri orizzonti, con le loro visioni dell’uomo così diverse da quelle che si sono attestate nella modernità, e con il loro modo – quasi inconcepibile per i moderni – di vedere gli elementi naturali come dotati di una capacità di azione.

Ma per tornare al presente, c’è bisogno di immaginare e di dar vita a qualcosa di diverso dall’esistente, di creare altre possibilità rispetto al corso odierno della vita e della storia. Come scrive Amitav Ghosh, «se c’è una cosa che il surriscaldamento globale ha perfettamente chiarito è che pensare al mondo solo così com’è equivale a un suicidio collettivo». Mai come oggi si è avvertita la necessità di una grande invenzione, cioè di qualcosa che non riusciamo a immaginare a partire dall’esistente. E cosa può suscitare un altro modo di pensare al mondo, e all’uomo dentro al mondo, se non la letteratura e l’arte? Il mondo come è oggi ci sembra immodificabile, abituati come siamo a pensarlo come l’unico possibile, governato da un unico sapere, l’economia, dagli indicatori della crescita economica e dall’ idolo del PIL. Per sciogliere quegli schemi mentali calcificati e astratti non bastano le ideologie, le ingegnerie sociali, i calcoli, le teorie politiche, che parlano solo all’intelletto, alla ragione strumentale e non anche all’immaginazione e alla sensibilità. Cosa possa fare la grande letteratura, ognuno di noi lo sa bene, se ripensa a quando adolescente si avvicinava con fervore alla lettura, scosso profondamente dalle parole che leggeva, e sentendosene come ingrandito e vivificato. Leopardi diceva che le grandi opere, persino quando parlano di disperazione, danno nuova vita all’anima grande che le avvicina e fanno sì che chi legge acquisti maggiore coscienza di sé.

Carla Benedetti, saggista, insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Pisa. È stata Fellow dell’Italian Academy alla Columbia University e Chair of Italian Culture alla Berkeley University. Ha fondato il blog “Nazione indiana” e la rivista “Il primo amore”. Tra i suoi libri: Pasolini contro Calvino (Bollati Boringhieri, 1998), The Empty Cage. Inquiry into the Mysterious Disappearance of the Author (Cornell University Press, 2005), Disumane lettere. Indagini sulla cultura della nostra epoca (Laterza, 2011); Oracoli che sbagliano. Un dialogo sugli antichi e sui moderni, con Maurizio Bettini (Effigie, 2015); La letteratura ci salverà dall’estinzione, Einaudi 2021.

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