“La letteratura bizantina” di Andreas Rhoby

La letteratura bizantina, Andreas RhobyLa letteratura bizantina. Un profilo storico
di Andreas Rhoby
traduzione ed edizione italiana a cura di Anna Gioffreda
Carocci editore

«La letteratura bizantina ha goduto per lungo tempo di una pessima reputazione. In particolare, in relazione ai testi retorici, essa è stata oggetto di giudizi quali «nullità della retorica secolare, scienza retorica fasulla», «svuotamento e irrigidimento» […]. Queste e altre simili considerazioni non provengono unicamente da famosi filologi e – sorprendentemente – bizantinisti del primo periodo, ovvero quando la disciplina muoveva i suoi primi passi nel XIX secolo, ma si protraggono fino alla seconda metà del XX secolo.

Per molto tempo la letteratura bizantina è stata apprezzata per la rilevanza storica delle fonti e il suo valore intrinseco è stato stimato in relazione all’emulazione (mimesis) più o meno raffinata del modello antico. Negli ultimi decenni, tuttavia, si è verificata una decisa inversione di rotta: l’accento si è spostato sulla letteratura bizantina stessa e sulle problematiche relative al rapporto tra l’autore dei testi e il suo pubblico. L’“uomo bizantino” è definito come creatore, consumatore e oggetto della creazione letteraria, di cui si cerca di illuminare il contesto di produzione e il ruolo socio-culturale. La letteratura bizantina non è più vista come lo «specchio deformante» che nasconde, più che riflettere, la realtà del tempo e persino la mimesis non è più considerata come una rigida ripresa, bensì come un confronto abile con l’eredità letteraria (antica e patristica) in una dialettica tra innovazione e imitazione.

Prima di offrire in quel che segue un panorama della letteratura bizantina nel quadro della storia dell’Europa sud-orientale, è opportuno chiarire alcune questioni fondamentali.

È necessario innanzitutto specificare che cosa sia compreso nel termine “letteratura”. Generalmente – soprattutto oggigiorno – questa definizione si identifica con le “belle lettere”, ovvero con ogni composizione artistica, che differisce dalle cosiddette opere tecniche/specialistiche. Anche nel campo degli studi bizantini molti ricercatori, anche tra i più rinomati, hanno negato l’etichetta di “letteratura” a quei testi che forniscono solo informazioni “pratiche”, come trattati di strategia militare o testi giuridici. La riduzione della denominazione alle sole “belle lettere” lascia pertanto aperto l’interrogativo di come debbano essere descritti i testi ibridi, quali ad esempio i documenti della cancelleria, che hanno di certo scopi pragmatici, ma sono corredati al contempo di proemi retoricamente elaborati.

O ancora le iscrizioni su oggetti, che spesso non si limitano a offrire informazioni “pratiche” sull’oggetto stesso, ma intrecciano un dialogo raffinato con il lettore o l’osservatore. Resta altresì da chiarire come debba essere considerata l’imponente letteratura teologica di Bisanzio che ci è stata tramandata: i trattati dogmatici o esegetici sono “letteratura” o comunicazione scientifica?

Definire il concetto di “opera letteraria” è un compito che deve essere affrontato e risolto non soltanto nell’ambito degli studi bizantini. Ma, poiché negli studi letterari esistono molteplici approcci e, soprattutto, non è stata ancora raggiunta una definizione univoca di quel che è “letteratura”, la presente rassegna includerà testi di ogni genere, anche i cosiddetti trattati tecnici. Ciò peraltro rispecchia l’usus dei Bizantini, che con logoi (o grammata) intendevano ogni opera scritta, vale a dire tutto quello che aveva a che fare con cultura e scienza. […]

Per poter comprendere la letteratura bizantina è necessario fare un’ulteriore premessa: gli autori bizantini scrivevano in primis su commissione e soltanto poche opere derivano da una riflessione personale o sono dettate da un impulso interiore.

Restano, infine, da stabilire gli estremi cronologici. Se, infatti, la data con cui si fa concludere la letteratura bizantina, segnata dalla caduta di Costantinopoli nel 1453 – nonostante il famoso Byzance après Byzance –, non ha sollevato finora molte discussioni, la data di inizio è piuttosto controversa. La questione va inserita nel contesto della più ampia discussione sulla nascita di Bisanzio.

Mentre alcuni fanno cominciare l’impero bizantino dall’ufficiale inaugurazione di Costantinopoli avvenuta il 1° maggio del 330 ad opera di Costantino I il Grande, altri ritengono che si possa parlare di civiltà bizantina – distinguendola dalla tradizione della tarda antichità che ancora si allineava alla temperie ideologica e culturale dell’imperium Romanum – solo a partire dal VI o VII secolo. Per la letteratura bizantina la situazione è analoga.

Recenti trattazioni ne pongono il principio o a partire dal dominio di Giustiniano, nel 527, o subito dopo l’epoca di Eraclio, a metà del VII secolo. Per quanto riguarda i Bizantini medesimi, essi non sentivano interruzione alcuna nel flusso ininterrotto della tradizione: autori come Sofocle, Gregorio di Nazianzo e Michele Psello venivano messi sullo stesso piano. L’appena ricordato Gregorio di Nazianzo fu così apprezzato a Bisanzio da poter essere annoverato a buon diritto fra gli autori più citati accanto alla Bibbia. Anche agli altri due padri cappadoci, Basilio il Grande e suo fratello Gregorio di Nissa, non si può negare una componente bizantina, come pure a Eusebio di Cesarea, panegirista di Costantino il Grande e autore di una storia della Chiesa, o a Romano il Melodo, innografo i cui scritti furono commissionati da Giustiniano, o a Giorgio Piside, poeta alla corte dell’imperatore Eraclio. D’altra parte, autori come i teorici pagani di retorica tardoantichi quali Aftonio, Ermogene e lo pseudo-Menandro di Laodicea, benché autorità indiscusse per i letterati bizantini di tutte le epoche, difficilmente possono essere considerati autori bizantini.

La questione dei limiti cronologici – se debba essere scelto come inizio il IV o il VI o il VII secolo – non è dunque risolvibile in modo definitivo: si trovano infatti argomenti a favore sia dell’uno che dell’altro secolo. La scelta di prendere qui come punto di partenza e di arrivo per la letteratura bizantina le date “fatali” del 330 e del 1453 è determinata non da motivi ideologici, ma da ragioni di completezza. Questa storia della letteratura segue l’ordine cronologico della storia bizantina non unicamente per motivi pratici; se è, senz’altro, indubbio che alcuni autori hanno avuto importanza e successo ben oltre il periodo in cui hanno operato, sono comunque gli eventi della storia politica, sociale ed economica di un’età a favorire lo sviluppo di un certo tipo di letteratura. Alcune date considerate chiave possono di certo apparire discutibili, ma non risultano completamente obsolete per una collocazione cronologica dell’opera letteraria dei Bizantini.

Per concludere, occorre valutare un’ultima questione, quella della lingua: durante o, al più tardi, subito dopo l’era di Giustiniano, il greco era diventato indiscutibilmente la lingua dell’impero. Non si deve dimenticare, infatti, che inizialmente, in continuità con l’impero romano, anche in Oriente si scriveva in latino. Ricordo qui brevemente Lattanzio (ca. 250-325), proveniente dal Nord Africa, che compose, ad esempio, una storia universale del cristianesimo in latino. La sua vicinanza alla corte imperiale è documentata dalla nomina a tutore di Crispo, figlio di Costantino il Grande, che risiedeva allora in Gallia (probabilmente presso Treviri).

Anche Ammiano Marcellino (ca. 330-400), originario di Antiochia in Siria, ma vissuto a Roma, scrisse un’opera storica in latino che prosegue quella di Tacito e abbraccia il periodo da Nerva (96 d.C.) a Valente (378 d.C.). In essa, lode e biasimo per i cristiani si mescolano. Sebbene non cristiano, Ammiano critica la superstizione e i sacrifici reintrodotti dall’imperatore Giuliano (361-363), che aveva tentato una restaurazione pagana. Sempre dall’Oriente, probabilmente da Alessandria, proviene anche Claudiano, l’ultimo significativo poeta profano latino, la cui opera ignora del tutto il cristianesimo. L’imperatore Giustiniano I (527-565) fece allestire in latino una grossa compilazione della legislazione esistente, il Corpus iuris civilis; soltanto le Novelle da lui emanate furono redatte in gran parte in greco. Sempre nel VI secolo il poeta Corippo, originario del Nord Africa, scrisse un epos in latino sulla lotta di un condottiero di Giustiniano contro i Mauri; si tratta di un altro wandering poet, come Claudiano: anch’egli giunse a Costantinopoli, dove nel 566/568 compose e recitò un poema epico in forma di panegirico per l’imperatore Giustino II (565-578)35. Dopo di lui il latino perse gran parte della sua influenza a Bisanzio e nei secoli successivi non fu più prodotta altra letteratura latina a Bisanzio.

Nel territorio dell’impero bizantino e nelle regioni vicine originariamente bizantine si produsse letteratura non solo in latino, ma anche in siriaco, arabo, armeno, georgiano, slavo ecc. Poiché non è possibile includere in un breve compendio della letteratura bizantina tutte queste specificità, nelle pagine seguenti ci si soffermerà esclusivamente sulla letteratura redatta in greco, tanto su quella composta nell’ambito territoriale dello Stato bizantino, quanto su quella realizzata al di fuori dei suoi confini. Lontano da Bisanzio scrivono in greco anche autori famosi come Giovanni Damasceno o una cerchia di poeti attivi nell’Italia meridionale nei secoli XI e XII nell’ambito della corte normanna di Palermo. […]

Di grande importanza per lo sviluppo della letteratura neogreca è anche la produzione letteraria fiorita a Creta durante la dominazione veneziana (1211-1669), che ha raggiunto un notevole rigoglio grazie al contatto con la letteratura italiana tardo-rinascimentale.

Nel presente lavoro non si distinguerà tra letteratura profana e teologica, giacché molti autori bizantini (come Fozio, Michele Psello, Teodoro Prodromo) furono impegnati su entrambi i fronti. Allo stesso modo, i testi non saranno classificati a seconda del registro – alto o basso – della lingua impiegata; del resto, una tale distinzione sarebbe del tutto artificiale, visto che la maggior parte dei testi bizantini è scritta nella cosiddetta koinè, un livello linguistico misto che evita elementi sia del registro nettamente basso sia di quello apertamente atticista (ovvero del greco antico).»

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