
Eterogenea è infatti la natura dei saggi raccolti nel volume, in cui trova tuttavia molto spazio la riflessione sulla microstoria: «la microstoria viene spesso identificata con una prospettiva analitica che cerca di strappare dall’oblio definitivo le vite dimenticate di individui marginali, o addirittura sconfitti.» Si tratta dunque di «costruire dei casi, che potranno fondare delle generalizzazioni»: «Una vita scelta a caso può rendere «concretamente visibile» il tentativo di unificare il mondo, e le sue implicazioni.» Citando Marcel Proust, «gli sciocchi si immaginano che le vaste dimensioni dei fenomeni sociali siano un’ottima occasione per penetrare più addentro nell’animo umano: dovrebbero invece comprendere che solo discendendo in profondità nell’interno di un individuo abbiamo qualche probabilità di capire la natura di quei fenomeni».
Sempre trattando di microstoria: «come scegliere, di fronte all’immensità della documentazione, i casi che vale la pena di analizzare?» Viene in soccorso un motto di Warburg: «Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi». È dunque necessario leggere la storia contropelo: «Se la produzione delle testimonianze storiche, e soprattutto di quelle volontarie, rispecchia in larga misura i rapporti di produzione (e più in generale i rapporti di forza) all’interno di una società determinata, leggere la storia contropelo significa cercare, in quelle testimonianze, le tracce dell’oppressione. Per fare questo, è necessario ricostruire, da un lato, l’ottica in cui le testimonianze storiche sono state prodotte; dall’altro, i loro effetti, che sono il risultato di intenzioni esplicite o implicite – anche se, nel lungo periodo, si tratta quasi sempre di effetti non voluti né previsti.»
Tuttavia, «limitarsi a questo, non basta. In un mondo come il nostro, inondato dalle fake news, l’invito a leggere le testimonianze tra le righe, per coglierne le «rivelazioni involontarie», è più che mai attuale: insegna a riconoscere la forza dei miti e delle menzogne, e a smascherare gli uni e le altre.»
«Da vari anni i casi sono diventati l’oggetto di un’attenzione crescente, in parte legata alle discussioni in corso sulla microstoria: un termine il cui prefisso – «micro» – allude, come è stato ripetutamente sottolineato (ma forse non abbastanza), al microscopio, allo sguardo analitico, non alle dimensioni, reali o simboliche, dell’oggetto. Eppure la microstoria, basata su una ricerca analitica (dunque di prima mano), mira alla generalizzazione […]. In uno spirito analogo, Marc Bloch sostenne che la storia locale deve partire da domande che abbiano implicazioni di carattere generale.»
Non manca, nel libro, una riflessione sul mestiere di storico, oggi: «qual è, dal punto vista dello storico, il rapporto tra le parole – le parole della documentazione – e la realtà?» Afferma Ginzburg: «Nella risposta di Bloch a questa domanda s’intrecciano elementi diversi. Prima di tutto, un senso d’inadeguatezza delle parole di fronte a ciò che le ha generate: passioni, sensazioni, pensieri, bisogni. […] «Perché qui sta, in ultima analisi, il grande ostacolo. Nulla è più difficile per un uomo che esprimere se stesso … I termini più comuni non sono mai altro che delle approssimazioni». Queste parole, nate dall’esperienza di ricerca di Bloch, non erano dettate da scetticismo – al contrario. La consapevolezza che ogni parola, detta o scritta, è di per sé inadeguata aveva ispirato strategie indirette grazie alle quali Bloch era riuscito a leggere le fonti medievali contropelo. […] Ma la stessa consapevolezza aveva rafforzato in Bloch l’impulso verso la storia comparata, basata, come nel caso di I re taumaturghi, su categorie e termini inevitabilmente distanti da quelli usati nella documentazione.»
È dunque nel relativismo metodologico la lezione di Ginzburg per le giovani generazioni di storici: «Non voglio certo finire queste riflessioni con un elogio della microstoria. Le etichette non m’interessano; la cattiva microstoria è cattiva storia. Nessun metodo può proteggerci dai nostri limiti, e dai nostri errori. Quando ci rivolgiamo alle giovani generazioni e descriviamo quello che, nonostante tutto, abbiamo cercato di fare, dobbiamo ammettere limiti ed errori. I più giovani staranno a sentire e faranno qualcosa di diverso, come è sempre successo. «Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro» diceva Leonardo.»