
Quali idee sbagliate allignano intorno a questa disciplina?
L’idea che si tratti di una inutile cappa sovrapposta alle lingue, fatta solo per tormentare i bambini a scuola e a rendere difficile la vita a chi parla o scrive. La grammatica è invece un potente filtro per dare forma ai significati che vogliamo esprimere. Per esempio, l’italiano (più di altre lingue) impiega una costruzione che chiamiamo causativa: la zia ha fatto fare i compiti ai ragazzi. Questa serve a introdurre due agenti: uno che esegue (i ragazzi) e uno che dà disposizioni (la zia). Il primo agente ha meno responsabilità del secondo, anche se il secondo non esegue nulla. La causativa non è dunque una banalità, ma potente un mezzo grammaticale per eseguire una piccola, formidabile, “messa in scena”. Non per caso, quando uno vuole scagionarsi da un’accusa, si nasconde dietro una causativa: non ho rotto io il vaso, me l’ha fatto rompere Luigi.
Che funzione svolge, all’interno di una lingua, la grammatica e come vengono stabilite le norme grammaticali?
Le norme grammaticali sono mutevoli di momento in momento, fissate silenziosamente dalla classe dei colti e imposte al resto dei parlanti attraverso la scuola, i media ecc. Manzoni, per esempio, usava varie soluzioni che per noi sarebbero errori (la famosa frase Questo matrimonio non s’ha da fare, per esempio, oggi non sfuggirebbe alla matita rossa), ma che ai suoi tempi erano corrette. Le violazioni delle norme costituiscono errori, un terreno di solito guardato con sospetto, ma che i linguisti, al contrario, osservano con grande interesse. Gli errori infatti si verificano solitamente nei punti in cui la grammatica è troppo carica di opzioni e di scelte. Quindi segnalano i nodi che le lingue presentano ai parlanti e che prima o poi dovranno essere sciolti. La distinzione tra gli e le (pronomi personali dativi), troppo sottile per la maggior parte degli italiani, è ormai risolta nel solo gli (esattamente come hanno fatto secoli fa il francese e lo spagnolo). Quando un “errore” si impone, vuol dire che la norma è cambiata. Per questo gli errori sono una sorta di laboratorio di innovazioni possibili e vanno osservati con grande cura.
In che modo, sulla grammatica, si incontrano la linguistica, le scienze cognitive, l’informatica e persino la teoria dell’evoluzione?
La risposta si evince da quel che ho detto finora. La linguistica studia le lingue e i loro meccanismi, quelli comuni come quelli specifici. Ma la grammatica serve a esprimere il contenuto della mente, lo costringe a prendere una forma e non un’altra e crea categorie e filtri a questo scopo. Può essere che alcune di queste categorie derivino da vincoli imposti dalla mente e non dalla grammatica, cioè che sia la mente a determinare le grammatiche e non inversamente. Per esempio, come mai le lingue (quasi tutte quelle note) hanno “nomi di agente”, specificamente designanti la “persona che fa una data cosa in modo regolare”? L’agente è una categoria delle lingue oppure una rappresentazione mentale obbligata, sorta per esempio per motivi evolutivi? La risposta giusta è probabilmente la seconda. E perché le lingue possono sostituire il nome dell’agente con un pronome indefinito: Luigi ha spostato l’automobile → qualcuno ha spostato l’automobile? E finanche fare sparire l’agente usando una costruzione passiva: l’automobile è stata spostata? È chiaro che il motivo non sta nella grammatica, ma nella mente che si serve di essa per dare espressione ai significati, così come nel bisogno sociale di evitare conflitti, che spinge a rendere sfocato il responsabile di un’azione fino a farlo scomparire dietro un indefinito.
Esistono lingue che sono prive di grammatica?
Questo è un tema di dibattito tra i linguisti, soprattutto quelli che studiano le lingue di società isolate e non evolute. Le lingue creole, per esempio, parlate dagli abitanti di paesi anticamente sedi di sfruttamento schiavistico, nate dalla fusione rapida e violenta della lingua dei dominatori e di quella degli schiavi, hanno grammatiche enormemente semplificate – eppure funzionano! Questo fatto suggerisce che le lingue abbiano “troppa grammatica”, e che potrebbero funzionare tranquillamente anche riducendone il peso. Anche lingue con un’immensa storia alle spalle presentano fenomeni di semplificazione grammaticale: basti pensare che in cinese le “parti del discorso” a cui siamo tanto affezionati praticamente non si distinguono, non ci sono segni di genere, numero e tempo e la subordinazione delle frasi è quasi inesistente.
Come evolve la grammatica?
La grammatica evolve per la pressione dei parlanti: dal basso, perché gli incolti impongono i loro usi “scorretti”; dall’alto, perché i colti stabiliscono le norme (anche se sempre meno). Per lo più i cambiamenti si verificano nelle zone più fitte. Si pensi al sistema verbale italiano: pieno di forme diverse, spesso morfologicamente astruse (ruppi è una forma di rompere; bevvi di bere ecc.), con molti modi e tempi. I parlanti lo hanno semplificato: il passato remoto è ormai praticamente scomparso, sostituito nell’uso dal passato prossimo – un processo che in francese aveva avuto luogo già alcuni secoli fa.
In che modo le nuove tecnologie sono destinate a influenzare la grammatica?
Più che le nuove tecnologie, a influenzare la grammatica sono gli influencer che delle nuove tecnologie si servono. Chi avrebbe mai detto che a un certo punto sarebbe diventato normale dire ne sono capitate di ogni, cancellando il nome che dovrebbe accompagnarsi a ogni? È un assurdo dal punto di vista della sintassi e delle predizioni della linguistica. Eppure, è così. Oggi non sono più i colti e i grandi scrittori o scrittrici a stabilire norme e modelli, ma i nuovi influencer, coi loro tormentoni e le loro trovate. Questo fenomeno, di cui i linguisti non si sono ancora resi conto, è di straordinaria importanza e produrrà cambiamenti profondi in tutte le lingue principali del mondo.
Raffaele Simone, linguista di reputazione internazionale, membro di più accademie, è anche autore di saggi di vasta risonanza, editi in Italia e all’estero. Il prossimo, intitolato Divertimento con rovine, che uscirà in autunno presso l’editore Solferino, esamina il problema del divertimento (e del turismo) come fonte di degradazione del pianeta.