
Quali sono le sue peculiarità concettuali?
La giustizia sembra far parte dell’area della moralità e tuttavia sembra conservare anche una propria autonomia; sembra in modo particolare essere parte della moralità senza tuttavia esaurirla. Quando noi invochiamo la giustizia, non stiamo semplicemente avanzando osservazioni sulla bontà o meno di una certa situazione, ma stiamo segnalando che a qualcuno spetta (o non spetta qualcosa). La mia tesi, allora, è che la giustizia è un sottoinsieme della moralità ed è quel sottoinsieme che possiamo descrivere ricorrendo all’idea di diritti soggettivi: la giustizia è un giudizio di attribuzione con cui stabiliamo che qualcuno ha diritto a una certa cosa. Ciò è molto evidentemente nell’ambito giuridico, anche se la connessione concettuale tra giustizia e diritti che difendo vale indipendentemente dal fatto che questi diritti siano riconosciuti o meno dall’ordinamento giuridico.
Che rapporto intrattiene col diritto?
Abbiamo ministeri della Giustizia, tribunali in cui si svolgono attività che hanno come fine quello di fare giustizia e in linea generale rispettare o applicare le regole giuridiche è un modo per realizzare la giustizia. Il legame tra diritto e giustizia è dunque un legame molto stretto e un diritto che smettesse di fare giustizia avrebbe poco senso (che lo si consideri ancora diritto o meno; non voglio prendere qui posizione sulla diatriba tra giusnaturalisti e giuspositivisti). In un senso ancora molto approssimativo, quindi, noi possiamo dire che la giustizia ha a che fare col rispetto della legge e dunque coincide con la legalità; e tutte le volte che entrano in gioco funzionari, apparati e strumenti volti a ripristinare la legalità, ecco che si sta facendo giustizia. Tuttavia, il rapporto della giustizia col diritto può essere anche un rapporto di tipo critico: si può infatti utilizzare l’idea di giustizia per contestare un certo assetto di diritto positivo e il contenuto di alcune regole di diritto positivo, prendendo atto che il diritto prevede una certa cosa e al contempo contestando su basi di giustizia (quindi, invocando diritti, per quel che abbiamo osservato prima) ciò che prevede il diritto. In occasioni come queste possiamo affermiamo che legalità e giustizia divorziano, poiché ciò che è giustizia secondo il diritto non è giustizia da un punto di vista extra giuridico e anzi è un’idea di giustizia extra giuridica che ci motiva a richiedere una modifica delle regole giuridiche.
Quali elementi costituiscono un giudizio di giustizia?
Ogni giudizio che esprimiamo nella sfera pratica riguarda qualcuno in relazione a qualcosa sulla base di una qualche variabile. Se noi formuliamo un giudizio di giustizia, noi stiamo dicendo che a qualcuno spetta qualcosa in ragione di un certo requisito. Un giudizio di giustizia appartiene alla sfera delle prescrizioni, non a quella delle descrizioni; le descrizioni, detto in maniera molto sintetica, riguardano giudizi di fatto su come il mondo è, mentre le prescrizioni esprimono invece giudizi su come il mondo dovrebbe essere e sono quindi giudizi di valore. Se io dico che il mio corso di Filosofia del diritto è seguito da 60 persone, sto descrivendo un fatto; se dico (un po’ da mitomane) che il mio corso dovrebbe essere seguito da tutti gli studenti della mia Università, sto esprimendo un giudizio di valore. E, ricollegandomi a quel che ho osservato in precedenza, un giudizio di valore diventa un giudizio di giustizia quando io vi associo dei diritti individuali che ritengono siano da attribuire a qualcuno.
In quali modi si dà giustizia nella vita associata?
Nella nostra vita associata spendiamo molte volte la parola giustizia; possiamo anzi dire che abbiamo l’aspirazione di regolare le nostre società secondo giustizia. Questo non sempre ci riesce, naturalmente, ma il nostro desiderio è questo: vogliamo vivere in una società giusta. Come provo ad argomentare nel mio libro, in realtà noi utilizziamo l’idea di giustizia per diverse aree della vita associata che nell’insieme ci danno una società giusta. Una distinzione molto approssimativa e che però secondo me può funzionare è quella che faccio tra attribuire qualcosa, tipicamente un bene, a qualcuno e correggere un certo stato di cose perché è ingiusto. Nel primo ambito ricadono la giustizia allocativa, la giustizia distributiva o sociale e la giustizia commutativa; nel secondo ambito troviamo la giustizia rettificatrice, la giustizia retributiva e la giustizia di transizione. Nel primo ambito ciò che è in gioco è un’assegnazione di beni secondo giustizia, si tratti di beni specifici, dell’insieme degli assetti economico-sociali o di ciò che è oggetto di uno scambio o di una transazione commerciale tra due parti. Nel secondo ambito ci preoccupiamo invece di correggere assegnazioni sbagliate ripristinando lo status quo ante, irrogando sanzioni penali o risolvendo le varie questioni che vanno risolte nel passaggio da dittatura a democrazia (quando bisogna fare i conti col passato). Ciascuno di questi ambiti ha le proprie peculiarità, ma in tutti questi ambiti, non casualmente, continuiamo a usare l’idea di giustizia perché ci sono sempre di mezzo diritti da riconoscere o da ripristinare.
Corrado Del Bò è professore ordinario di Filosofia del diritto all’Università degli Studi di Bergamo