“La giustizia del Vescovo. I tribunali ecclesiastici della Liguria Orientale” di Marco Cavarzere

Prof. Marco Cavarzere, Lei è autore del libro La giustizia del Vescovo. I tribunali ecclesiastici della Liguria Orientale edito da Pisa University Press: quali erano le prerogative dei tribunali ecclesiastici?
La giustizia del Vescovo. I tribunali ecclesiastici della Liguria Orientale Marco CavarzereParlare di tribunali ecclesiastici ci ricorda che prima della Rivoluzione francese, ovvero prima della redazione di codici legislativi e dello stabilimento di un monopolio statale della violenza, non esistevano solo i tribunali degli stati. Molte istituzioni – le corporazioni di mestiere, le università, la Chiesa – godevano di giurisdizione propria, esercitavano cioè una giustizia indipendente, organizzata con propri giudici e tribunali.
Tribunali ecclesiastici erano tutti quei tribunali che avevano competenza di giudicare su materie ecclesiastiche ratione personarum, ratione materiae e ratione peccati. In altre parole, i tribunali avevano diritto di giudicare su tutte le persone legate alla Chiesa che avevano commesso reati; oppure istruire cause riguardanti beni della Chiesa o che andavano a detrimento di ecclesiastici (se un laico picchiava o uccideva un chierico, per esempio). Infine, in modo molto diverso da quanto ci aspetteremmo oggi, i tribunali ecclesiastici intervenivano nel caso di tutti quei peccati, come l’adulterio oppure la bestemmia, che venivano considerati “crimini” nel mondo di Antico regime per il loro carattere di offesa a Dio e alla società.
Per farla breve, in un mondo permeato dal sacro, i tribunali ecclesiastici potevano vantare il potere di stabilire il diritto in un numero impressionante di casi, che andavano ben al di là della sfera spirituale.

Come si articolava la giustizia ecclesiastica?
La giustizia di Antico Regime era molto più complessa e labirintica della giustizia odierna, dove esistono gradi di giudizio fissati in maniera rigorosa e procedure severe per passare da un tribunale all’altro. Questo sistema verticistico non esisteva in Antico regime. Coesistevano diversi tribunali, spesso con competenze non chiaramente definite, e vi erano continue possibilità di concorrenza e conflitto.
I tribunali della Chiesa non facevano eccezione. Stabilitisi nel corso dei secoli sotto la pressione di diversi eventi storici, non costituirono mai un sistema gerarchicamente organizzato. Esistevano i tribunali diocesani, gestiti dai vescovi, che potremmo definire “di primo grado”, anche se in realtà, soprattutto al di fuori d’Italia, erano esistiti in età medievale anche tribunali minori, amministrati da arcidiaconi e decani. Inoltre, i membri del clero regolare e delle congregazioni religiose – i monaci e i frati, per intenderci – avevano la possibilità di farsi giudicare dai tribunali del proprio ordine religioso. Questi tribunali avevano competenze di carattere sia penale sia civile sia amministrativo, in maniera piuttosto indistinta.
Il Concilio di Trento (1545-1563) stabiliva che, se il tribunale diocesano non giungeva a sentenza entro due anni, si apriva la possibilità di appello a un giudice superiore. Il problema era che molti e diversi erano i giudici di appello. Ci si poteva rivolgere al tribunale della provincia ecclesiastica cui faceva parte la diocesi; oppure presentare querela al tribunale del nunzio, laddove lo stato in cui si svolgeva la disputa ospitasse un tribunale di questo genere. Infine, se la diocesi non faceva parte di alcuna provincia ecclesiastica, ma era direttamente soggetta alla Santa Sede, si offriva ovviamente la soluzione romana. Soprattutto a partire dal Cinquecento, la nuova riorganizzazione delle congregazioni romane, molte delle quali dotate di propria giurisdizione, attirava a Roma un numero consistente di cause.
Infine, vi erano “tribunali speciali”, come quello dell’Inquisizione, che aveva giurisdizione sui casi contro la fede: l’eresia ideologica – persone che non credevano quello che sosteneva la Chiesa; ma anche “reati” che non parevano avere a che fare direttamente con il pensiero teologico. Gli inquisitori trattavano per esempio di bigamia o sollecitazione in confessionale (i sacerdoti che inducevano le fedeli a rapporti sessuali, approfittando del rapporto di fiducia instaurato in confessione). In questi casi il reato era di natura morale, ma la pertinenza era dell’inquisitore in quanto questi reati pervertivano sacramenti come il matrimonio e la confessione: l’immoralità nasceva da una debole fiducia nel valore soprannaturale dei sacramenti.
Insomma, come si può già vedere da questa rassegna sommaria, le possibilità erano tante e la giustizia ecclesiastica un sistema complesso e molto sfaccettato.

Quali erano i rapporti tra magistrature laiche ed ecclesiastiche?
Se la divisione di competenze tra tribunali ecclesiastici era spesso opaca, anche il confronto con le altre autorità non era sempre chiaro. La questione si faceva cogente nella vita quotidiana. Che fare quando la “polizia” statale trovava un sacerdote, magari in abiti laicali, mentre faceva a botte in una taverna? Oppure come comportarsi con un criminale che si rifugiava in una chiesa protetta dal diritto d’asilo? E ancora, come trattare quei casi, relativi perlopiù a interessi economici di vario genere, che di ecclesiastico avevano solo il nome? Spesso gli storici si concentrano sui conflitti che generarono da questi attriti. Bisogna però essere consapevoli che si tratta spesso di una distorsione prospettiva, dettata più dalla documentazione a nostra disposizione, sempre abbondante quando si arriva allo scontro, che dalla realtà storica. Ovviamente, eventi come la disputa dell’Interdetto a Venezia nel 1606 lasciarono dietro di sé una scia di scritti e pamphlets che non potevano mancare di suscitare l’interesse degli storici. Tuttavia, erano, questi, casi sporadici ed eclatanti in un contesto normalmente pacifico.
In realtà, esisteva una sostanziale cooperazione tra autorità laiche ed ecclesiastiche. Visto che i chierici non potevano infliggere la morte, i condannati alla pena capitale erano trasmessi alle autorità dello stato, il cosiddetto “braccio secolare”, che si prendeva carico della pena. Così spesso gli sbirri del bargello laico aiutavano ad arrestare i rei perseguiti dai tribunali ecclesiastici. Naturalmente, come in ogni buon matrimonio, i conflitti erano la norma, ma erano conflitti a cui facevano seguito sempre nuove forme di accordo e di pacificazione. Dopo l’Interdetto a Venezia le cose continuarono come prima; inoltre, bisogna ricordare che anche durante questa fase di conflitto, che prevedeva la mancata celebrazione dell’eucarestia in città, molte altre istituzioni ecclesiastiche, tra cui l’Inquisizione, funzionarono come sempre.

Nel Suo testo Ella esamina due casi specifici, quello dei tribunali delle diocesi di Brugnato e Luni-Sarzana nella Liguria orientale: quali peculiarità ha riscontrato nelle vicende giudiziarie e storiche di queste diocesi?
La maggiore peculiarità di Sarzana e Brugnato è per l’appunto la loro normalità. Due diocesi periferiche, insediate negli Appennini, parevano il caso ideale per indagare il “grado zero” della giustizia ecclesiastica. Alcuni tratti istituzionali di queste diocesi hanno permesso di coniugare un’attenzione minuta alle pratiche sociali con l’analisi di alcuni aspetti procedurali – per esempio, Sarzana è una diocesi immediatamente soggetta alla Santa Sede, mentre Brugnato fa parte della provincia ecclesiastica genovese.
A parte queste caratteristiche, che peraltro appartengono alla normalità di Antico regime, tutta fatta di eccezioni e particolarità, non era intento del lavoro quello di indagare eventi straordinari per il loro carattere evocativo o per la loro attualità. La scelta è stata quella di porre domande generali a microcontesti, in modo da poter decifrare una realtà opaca non solo perché cronologicamente lontana, ma soprattutto perché fondata su mentalità, costumi, norme profondamente diversi dai nostri. Il libro non ha voluto indagare il ruolo svolto dalla Chiesa italiana nel controllo dei comportamenti italiani, secondo una lunga tradizione storiografica. Al contrario ha cercato di studiare questi tribunali in primo luogo come espressione di un contesto sociale concreto.
Perché molti si rivolgevano ai tribunali ecclesiastici per dirimere i propri conflitti? Perché certe denunce comparivano solo in determinate occasioni? Quanto era strumentale il ricorso alla Chiesa? Riducendo lo sguardo a situazioni storiche analizzabili in dettaglio, si riesce a capire come sia riduttivo leggere l’opera dei tribunali solo come frutto di repressione. Oggi come allora le componenti che andavano a influenzare l’azione giudiziaria erano molteplici. Il mondo dei tribunali non è dunque solo quello paludato dei tecnicismi giuridici, controllato dal potere, ma costituisce un ulteriore ambito della società, in cui il gioco di ruoli sociali prende nuova forma, nascondendosi sotto il linguaggio particolare del diritto. Alcuni esempi per chiarire. Se esisteva un problema con un prete per questioni di terre, potevo sì rivolgermi alla Curia per avere giustizia nella mia disputa di proprietà, ma potevo anche cercare di colpire il sacerdote per i suoi comportamenti immorali, ritenuti particolarmente gravi dopo le critiche della Riforma protestante. Molti processi che riguardano la creazione di nuove chiese o la partecipazione a processioni danno modo di dare espressione alle tensioni interne alla Chiesa: non partecipare a una processione organizzata dal vescovo indicava in primo luogo la mancata accettazione della sua autorità.

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