
La Roma di tre o quattromila anni fa aveva proprio queste caratteristiche. Ovviamente nella regione vi sarebbero stati luoghi ancora più sicuri; ma la colonizzazione di rilievi elevati e impervi era ovviamente sconsigliabile per la scarsa produttività agricola, per il clima ostile, la penuria d’acqua; in altre parole, ambienti più sicuri erano quasi sempre ambienti inospitali per l’uomo e le sue attività.
Si potrebbe obiettare che di piccoli colli dai fianchi ripidi nel Lazio ve n’erano a migliaia; perché proprio il Palatino, il Capitolino, il Quirinale e gli altri furono preferiti? È probabile che l’acqua abbia giocato un ruolo fondamentale: la ricchezza di sorgenti, di piccoli ruscelli, e lo stesso Tevere, che rappresentava anche un’importante via di comunicazione, oltre che fonte di cibo e di acqua, a quei tempi potabile.
Ma c’è un’altra peculiarità.
Campidoglio e Palatino si trovavano proprio di fronte al Tevere, che dominavano esattamente là dove passava un’antichissima via commerciale fra il Nord, colonizzato da un’avanzata civiltà quale quella etrusca, e il Sud della penisola, dove si andavano espandendo civiltà altrettanto fiorenti (Greci, Fenici e altri).
Questa via commerciale d’importanza “europea” attraversava il fiume più grande dell’Italia peninsulare proprio sotto il Capitolino e il Palatino. Da lì, si poteva sorvegliare questo traffico di uomini e merci, commerciare, probabilmente imporre dazi.
E infine ci si potrebbe chiedere: perché questa via di commerci attraversava il Tevere proprio di fronte al Capitolino? Ovviamente, perché era più facile il guado. Perché c’erano bassi fondali, addirittura a tratti emergenti dal fiume.
Forse è proprio per questi motivi che le leggende sulla nascita di Roma sono così indissolubilmente legate al Tevere, all’acqua, all’Isola Tiberina. Un connubio inestricabile di situazioni ambientali favorevoli, nel quale le caratteristiche geomorfologiche potrebbero essere risultate determinanti.
Quali processi generarono le colline affacciate sul Tevere?
Nel corso dell’ultima età glaciale, le acque marine si ritirarono dalle terre emerse di tutto il globo, assestando la loro superficie intorno a circa 120 m sotto alla quota attuale dei mari. In questo periodo, nell’area romana, si svilupparono una serie di valli fluviali più o meno grandi, in molti casi vere e proprie forre e canyons con pareti sub-verticali.
Nella successiva età post-glaciale, che stiamo ancora vivendo, la progressiva risalita globale del livello del mare comportò l’innalzamento progressivo del livello di base fluviale, che indusse a sua volta fenomeni di deposizione fluviale. Le valli precedentemente approfondite cambiarono progressivamente la loro forma: divennero a fondo piatto, come possiamo osservarle in molti casi ancora oggi, nonostante le modifiche apportate dall’uomo nei tempi storici.
In sintesi, i rilievi corrispondenti ai Sette Colli e alle altre colline limitrofe derivano da processi di erosione fluviale del Tevere e dei suoi affluenti, che li scolpirono in forma di dorsali emergenti tra valli più o meno ampie nel corso dell’ultima età glaciale, durata circa centomila anni; e poi, parzialmente rimodellati da processi naturali e antropici nel corso degli ultimi diecimila anni.
Il Circo Massimo rappresenta un chiaro esempio dell’influsso della geomorfologia sulle scelte urbanistiche; quali altri esempi si possono addurre al riguardo?
Si potrebbero fare molti esempi. Ne citiamo solo un paio, per non svelare tutto in anticipo ai Lettori del volume.
L’Isola Tiberina, che fu scelta fin dai tempi antichi per ospitare i malati. Essa fu certamente connessa all’isolamento (scusate il gioco di parole) dell’unica isola fluviale del centro cittadino, il che garantiva una minor contagio per la popolazione sana. Di conseguenza, il Tempio di Esculapio e – molto tempo dopo – l’ospedale Fatebenefratelli furono edificati qui.
E poi il Castro Pretorio: la sporgenza verso Est delle Mura Aureliane, che in questo settore descrivono alcuni angoli retti, fu quasi certamente dovuta alla scelta di seguire gli orli delle scarpate sovrastanti alcune valli fluviali, oggi scomparse, drenanti verso l’Aniene. È evidente che costruire alte mura difensive su un altopiano che sovrasta profonde depressioni naturali abbia costituito un vantaggio tattico verso eventuali eserciti nemici. La configurazione geomorfologica naturale fu perciò a suo tempo abilmente utilizzata dagli ingegneri romani per stabilire il perimetro delle Mura Aureliane.
Qual è la configurazione attuale della superficie topografica romana?
Essa risente profondamente dalle modifiche apportate dall’uomo alla forma originale.
I maggiori rilievi naturali sono ancora ben visibili nel panorama di Roma. Altri rilievi naturali elevati soltanto poche decine di metri rispetto al fondovalle tiberino sono più difficilmente osservabili, in quanto si trovano a quote modeste, inferiori a quelle raggiunte da molti edifici. Soltanto percorrendo qualche strada più ripida (per esempio, Via del Tritone) si percepisce la salita che porta alla sommità di questi colli, a partire dalla sottostante pianura alluvionale del Tevere.
Oggi la superficie topografica del centro storico presenta, in estrema sintesi, una fascia sub-pianeggiante che segue il corso del Tevere, da cui si eleva, a Ovest, la dorsale Monte Mario-Gianicolo, solcata da alcune valli tuttora visibili, mentre a Est si trovano molti colli, dal piccolo Campidoglio a quelli più vasti, come l’Esquilino e il Pincio. Questi ultimi presentano un’altezza modesta ma versanti a tratti anche molto ripidi: un esempio fra i tanti, la famosissima scarpata passata alla Storia con il nome di Rupe Tarpea.
Quali modifiche ha subito nel corso dei secoli la configurazione della superficie topografica?
Molte valli fluviali del centro cittadino sono state parzialmente colmate o completamente sepolte. Alcuni colli sono stati del tutto eliminati, sparendo dal panorama romano: perfino uno dei leggendari Sette Colli su cui fu fondata la città. Altri colli furono modificati nella loro forma e nelle loro dimensioni; altri ancora creati dalle attività umane, e dunque non esistevano affatto nel panorama originario.
L’uomo ha modificato così profondamente la superficie topografica nei secoli da invertire, in alcuni casi, la configurazione del rilievo presente al tempo dei Re di Roma.
Quali le conseguenze delle caratteristiche geomorfologiche e geologico-ambientali capitoline per la gestione del territorio urbano?
Gli antichi Romani, che avevano molto spazio a disposizione, evitarono di insediarsi in aree ad alto rischio geomorfologico, quali Monte Mario, dove si verificano spesso fenomeni franosi, o la pianura tiberina, frequentemente inondata dal Tevere.
Oggi, in tutte le grandi città del mondo la notevole densità di popolazione e i processi di urbanizzazione comportano un incremento dei rischi geologico-ambientali.
Si potrebbero perciò offrire moltissimi esempi per rispondere a questa domanda. Uno solo per tutti: una peculiarità della Roma odierna, rispetto a molte altre aree urbane del globo, è costituita dalla grande massa di terreni di riporto che ricopre la superficie originaria. Questa massa modifica i connotati del rilievo naturale e favorisce i fenomeni di erosione superficiale operata dalle acque dilavanti, che asportano ingenti volumi di materiali. Ciò comporta diversi rischi: l’eliminazione di quasi tutti gli alvei naturali della rete di affluenti del Tevere, non compensata da un adeguato sistema di drenaggio artificiale per lo scolmamento delle acque correnti superficiali (che gli antichi erano stati abili a costruire e a mantenere in esercizio) è tre le cause principali dei fenomeni di inondazione che avvengono nel centro urbano in occasione di intensi eventi meteorici. In aggiunta, le acque piovane che anziché defluire sulla superficie riescono a infiltrarsi nella coltre di materiali di riporto e di colmamento possono dar luogo all’insidiosa erosione sottosuperficiale (tunneling, piping), che sviluppa una rete di piccoli canali invisibili in superficie. Queste cavità col tempo crescono di dimensioni, fino a provocare il cedimento del manto stradale o di edifici sovrastanti.
La gestione del territorio urbano, specialmente se urbanizzato da millenni, richiederebbe perciò un’attenzione particolare e approfondite conoscenze geomorfologiche.
Il libro contiene anche alcune proposte di itinerari geo-naturalistici che svelano le forme del paesaggio fisico dei tempi di Romolo e Remo: attraverso quali percorsi si snodano?
Nel libro propongo tre itinerari geoturistici che attraversano luoghi famosi della città. Essi invitano alla scoperta di Roma con nuovi occhi, osservando e apprezzando non solo l’immenso patrimonio archeologico e architettonico, ampiamente considerato nelle usuali guide turistiche, ma anche il paesaggio fisico di Roma e le sue connessioni tra gli aspetti geologici, geomorfologici, storici e culturali. In pratica, il mio è un invito al Lettore a osservare anche le caratteristiche naturali del paesaggio di Roma, importantissime ma spesso del tutto assenti nelle descrizioni contenute nelle guide turistiche.
Il primo itinerario, intitolato “Leggende e verità geomorfologiche di Roma storica”, si snoda in 7 tappe, tra il Circo Massimo e l’Isola Tiberina. Il secondo (“Lungo le vie dell’acqua, dal Gianicolo a Testaccio”) comprende 9 tappe. Il terzo si percorre installando una app per smartphone, seguendo le istruzioni riportate nel libro, e riguarda i luoghi dove Roma fu fondata.
Percorrere questi itinerari significa anche ripercorrere l’evoluzione naturale e l’evoluzione storica delle forme del rilievo, che si compongono nel paesaggio fisico oggi osservabile, per un’insolita visita della città di Roma.