“La fondazione della politica. Dalla mitologia divina all’immaginario politico nella classicità greca” a cura di Viviana Segreto

Dott.ssa Viviana Segreto, Lei ha curato l’edizione del libro La fondazione della politica. Dalla mitologia divina all’immaginario politico nella classicità greca, pubblicato da Mimesis: che importanza riveste, per la politica occidentale, la fondazione della polis greca?
La fondazione della politica. Dalla mitologia divina all’immaginario politico nella classicità greca, Viviana SegretoConsente di rintracciare la genealogia del principio di identità che segna il perimetro entro cui costruire e dare sostanza a categorie e concetti connotativi della struttura politico-sociale. È infatti dall’identità che, a partire dall’era moderna, si sono formate categorie quali, ad esempio, nazione e confini; essi costituiscono l’architrave dello stato che ancor oggi definisce l’ordine politico internazionale secondo la logica “classicamente” binaria inclusiva/esclusiva. Inoltre, la fondazione della polis ha inaugurato il concetto moderno di politica, ossia l’elisione della tradizione come eredità incontestabile del regime politico e pertanto l’affermazione della volontà istituente di un ordinamento collettivo frutto di un agire umano volontario.

Come fu fondata quella specifica coesistenza politica che va sotto il nome di polis?
L’uomo è zoon politikon, nel senso della socialità naturale dell’essere-in-comune. Il concetto aristotelico di koinonia include la strutturazione di un ordine politico che dalla famiglia si irradia sino alla comunità nella polis. È nella polis che le differenze sociali trovano una composizione organica in una unità politica costitutivamente plurale perché aperta all’irruzione del demos. Indubbiamente è il conflitto aperto tra gli strati della società ateniese contro la pretesa superiorità morale dell’aristocrazia ad autoassegnarsi compiti sempiterni di governo che abilita il demos a irrompere sulla scena politica rivendicando una capacità di autogoverno politico dopo aver dimostrato di essere un buon guerriero e un buon apportatore di ricchezza sociale.

Come fu raccontata e rappresentata la fondazione della polis?
Senza dubbio come una drastica rottura dell’ordine costituito: il kratos conquistato dal demos. Il ribaltamento della verticalità istituita del potere politico passa attraverso una organizzazione visuale che depone l’autorità al centro di uno spazio costruito orizzontalmente in cui ogni cittadino è equidistante dal centro (meson) ed è altresì equivalente nell’accesso alle cariche politiche: solo così tutti i cittadini sono isoi e omoioi. Questa è la precondizione per potersi rappresentare una forma di democrazia, che oggi potremmo definire “diretta” o, per meglio dire, “partecipativa”, in cui non conta solo chi delibera, ma anche il percorso di formazione dell’opinione pubblica teso ad una consapevolezza cognitiva della decisione finale. Si comprende così come, al momento della rottura fondativa della polis da parte del demos, sino a quel momento deprivato di ogni conoscenza virtuosa dell’arte politica, si pone la questione della formazione del cittadino democratico alla areté. L’insegnamento dei sofisti offre in tale contesto un quadro concettuale idoneo alla pratica autoriflessiva dell’agire politico.

Quale funzione svolgeva, nella polis greca, l’autoctonia?
Non puoi essere cittadino ateniese se non sei un maschio nato da entrambi i genitori ateniesi. Questo vincolo alla cittadinanza ha due ragioni specifiche: la prima concerne la lealtà pretesa dalle istituzioni comuni a fronte di un eventuale pericolo di attacco bellico all’integrità della polis; la seconda attiene alla facoltà di legiferare validamente per tutti su questioni di interesse comune. L’autoctonia designa così la profondità genealogica dell’istituto della cittadinanza. Ai nostri occhi contemporanei, beninteso, emergono nettamente i suoi notevoli limiti strutturali, in quanto donne, schiavi, minori, stranieri ne sono del tutto esclusi. Tuttavia, pur sottolineando che tali limiti precipitano nella pratica politica la netta polarizzazione che il logos razionale contemplava, è opportuno rilevare come l’inclusività della polis abbia aperto, e apra anche oggi, ad una prospettiva più ampia di pluralità che staglia la polis ben al di sopra dei regimi politici ad essa coevi e, per lunghi secoli, anche successivi ad essa.

In che modo le pulsioni identitarie razziste accomunano società antiche e post-moderne?
Non credo proprio che si possa parlare di discriminazione razziale all’interno della polis; è vero che è segnata nettamente la demarcazione tra xenos e barbaros, tuttavia tale linea è di ordine linguistico, territoriale, certamente non di ordine razziale proprio perché il concetto di razza, tipicamente moderno, non è una questione messa in campo nella Grecia classica. L’identità linguistica consente peraltro allo xenos di essere accolto e di partecipare, seppure parzialmente, alla vita pubblica della polis, contribuendo anche al pagamento dei tributi. La concezione divisoria e divisiva in “razze” – il termine è improprio perché esiste solo la razza umana – è figlia di una certa perversione del sapere biologico e culturale, nata all’interno di dimensioni imperiali e genocidiali che hanno caratterizzato la vita politica di gran parte delle nazioni europee in epoca moderna.

Quale critica muove, nel volume, Cornelius Castoriadis ai testi platonici sul politico?
Innanzitutto va ricordato che il testo inserito nel volume da me curato è uno dei sette seminari (inediti in Italia) che Castoriadis dedicò al Politico di Platone all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi tra il 19 febbraio e il 30 aprile del 1986. Io ho selezionato la lezione del 26 perché in essa Castoriadis ripercorre le diverse e ambigue figure del politico presenti nel testo di Platone – l’uomo regio, il tessitore, il mago, il pastore, il medico curatore. Seguendo il dialogo platonico, Castoriadis analizza le critiche mosse a ciascuna figura perché non rispondente, secondo Platone, alla vera figura del politico, che però, e qui interviene Castoriadis, subisce una torsione talmente antidemocratica per cui, alla fine, secondo Platone il politico è un governatore, un timoniere che regge il regime politico già istituito. La critica di Castoriadis si sofferma proprio su tale aspetto: Platone elide l’innovazione radicale del kratos del demos nell’antica Atene, cioè proprio l’irruzione epistemica che istituisce lo spazio della politica tagliando l’eredità con ciò che lo precede. Per il filosofo franco-greco, protagonista della stagione di Socialisme ou Barbarie, il Politico è epistemico perché inaugura un sapere radicale di autogoverno democratico – l’istituente nella terminologia di Castoriadis.

Quale contributo può offrire, ad esperienze contemporanee, lontane da quelle greche eppure assimilabili, un’analisi genealogica e antropologica non preconcetta della polis greca?
Al di là delle peripezie della democrazia diretta praticata in contesti e spazi lontani dalla classicità greca, farei notare la particolare valenza delle nozioni di partecipazione e di autogoverno della comunità che emergono dall’analisi. Anche senza condensarsi in regimi veri e propri di governo, in giro per il mondo e da decenni continuano a susseguirsi esperienze comunitarie basate sulla partecipazione attiva, sulla revocabilità delle deleghe, sulla orizzontalità dei processi decisionali che trovano il loro punto genealogico nella breve storia della polis ateniese.

Viviana Segreto è professoressa associata di Filosofia politica all’Università degli studi di Palermo, dove insegna Filosofia sociale, Teorie dell’intercultura e Storia dei concetti politici. L’ultimo suo lavoro monografico è La sovranità dell’uno. Filosofia politica della grecità (Mimesis, 2018), l’ultima curatela è Contro-parola. Foucault e la parresia (Mimesis, 2018), mentre l’ultimo saggio è Dissimmetria di potere. Spazio pubblico egualitario vs. spazio privato autoritario (in F. Rizzuto, S. Vaccaro, I saperi della comunicazione nell’era della post-verità, Palermo UP, 2021).

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