“La folla solitaria” di David Riesman

La folla solitaria, David Riesman, riassuntoLa folla solitaria
di David Riesman
il Mulino

«La folla solitaria è un libro entrato a pieno diritto nella ristretta categoria dei classici della sociologia. Un classico è un libro che acquista il privilegio di non invecchiare più, di sopravvivere, come avrebbe detto Marx, alla critica roditrice dei topi, è un’opera che, pur essendo sorpassata, resta tuttavia attuale. La folla solitaria non nasconde certo i suoi anni; nel mezzo secolo trascorso dalla prima edizione originale gli sviluppi nel grado di raffinatezza metodologica della ricerca empirica in sociologia sono stati assai consistenti, e alla luce di tali sviluppi molti ricercatori possono sorridere di fronte all’approssimazione, all’impressionismo, alla tendenza alla generalizzazione facile sulla base di un materiale empirico frammentario e disomogeneo, e di un impianto teorico fragile e comunque appena abbozzato, di cui Riesman e i suoi collaboratori hanno dato prova nella loro opera. […]

Il titolo è suggestivo ma fuorviante, e ha indotto molti critici a fraintendimenti e interpretazioni unilaterali. Riesman vuole analizzare come mutamenti sociali di portata secolare abbiano modificato il carattere sociale degli individui. Dagli individui diretti dalla tradizione della società preindustriale (qui riemergono le letture di Tönnies e di Durkheim), si passa agli individui a direzione interiorizzata degli inizi della società borghese (e qui emerge la lettura di Weber) e infine agli individui eterodiretti della società di massa. Sono questi ultimi che compongono la folla solitaria. Ma il titolo è, si è detto, fuorviante, perché trasmette ed evoca un senso di perdita e di caduta di qualche bene o valore che avrebbero avuto gli esseri umani delle epoche precedenti e che invece mancherebbe all’uomo atomizzato e solitario della società di massa, e questo non era certo l’intento dell’autore. Non c’è in Riesman la nostalgia dell’individuo come figura eroica che serpeggia negli scritti dei francofortesi, come non c’è quella critica pungente del conformismo che aleggia nei detrattori della società di massa. O meglio, forse tutto questo esiste, ma è efficacemente bilanciato da annotazioni di segno contrario, che denotano un uso intelligente di un modo di procedere che riconosce la fondamentale ambivalenza dei prodotti della modernità.

Eppure, paradossalmente, buona parte della fortuna di questo libro è dovuta proprio a questo equivoco, all’aver cioè considerato Riesman come un anticipatore dei critici della società di massa, cosa che è vera, ma solo in parte. […]

Gli interrogativi intorno al destino dell’individualismo considerato come tratto distintivo della civiltà occidentale, sono, in questa come in altre opere, al centro della problematica intellettuale di Riesman, ma ciò avviene sempre nell’ambito di una accettazione sia pure critica della modernità. Nonostante l’equilibrio di cui Riesman dà prova, si ritrova nel suo lavoro la traccia profonda del clima culturale dell’epoca nella quale è maturato, clima segnato dalla preoccupazione per la sorte dell’individuo in una società alla quale era stato da poco assegnato l’attributo «di massa». Era l’epoca in cui serpeggiava nell’intellettualità occidentale lo spettro dell’omologazione consumistica, la paura della potenza manipolatrice dei media, l’idea di una società in cui le differenze sarebbero state appiattite e ridotte a un grigio uniforme. Riesman non si aggiunge al coro dei critici della società di massa, ma deve in un certo senso pagare il suo tributo al clima culturale di un’epoca che per certi versi ci appare oggi lontana. Al posto del concetto di società di massa troviamo oggi il concetto di società complessa, sempre più differenziata e articolata, che non riduce ma amplia gli spazi di scelta degli individui e il cui avvento si accompagna ad un processo di crescente individualizzazione. Da questo punto di vista l’opera di Riesman appare irrimediabilmente datata, o meglio, risulta di grande importanza in sede di storia della cultura come documento di un’epoca definitivamente tramontata. […]

Gli aspetti discutibili della teoria di Riesman non stanno tanto nella teoria «pluralista» quanto piuttosto, su un altro piano, nella teoria che fa corrispondere mutamenti nel carattere sociale dominante all’andamento della curva della popolazione. Allora, ma lo stesso si potrebbe dire anche per oggi, mancava una teoria capace di porre in relazione gli andamenti demografici con tendenze di natura culturale. L’idea che l’uomo diretto dalla tradizione prevalga in fasi di stabilità demografica con alti tassi di natalità e mortalità, mentre l’individuo autodiretto sia tipico di fasi di transizione e l’uomo eterodiretto di fasi di stagnazione o declino con bassi tassi di natalità e mortalità si è rivelata un artificio espositivo piuttosto che una coerente e articolata ipotesi teorica.

Ma, a parte queste e altre carenze, se ci si addentra nella analisi più minuta dei meccanismi di socializzazione e di formazione del carattere, ci si accorge che La folla solitaria è una vera miniera di acutissime riflessioni sociologiche. Le analisi del rapporto genitori-figli, della dipendenza dal gruppo dei pari, dell’influenza ambigua dei mass media, della dialettica lavoro-tempo libero, la critica sottile alle human relations, e molti altri aspetti, sono tutti punti in cui le cose scritte da Riesman mostrano una sconcertante attualità. Senza dubbio uno dei pezzi più felici e attuali dell’opera riesmaniana è la trattazione riguardante la perdita di autorità degli adulti, sia genitori sia insegnanti, nei confronti delle giovani generazioni.»

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