“La filosofia di Cicerone (Cicero’s Philosophy)” di Stefano Maso

Prof. Stefano Maso, Lei è autore del libro La filosofia di Cicerone (Cicero’s Philosophy), edito da De Gruyter. Accanto al Cicerone oratore, politico, retore, letterato e cultore della tradizione romana e greca, è recentemente emerso anche il Cicerone filosofo: un aspetto dell’autore latino che è stato a lungo trascurato: come si è articolata la formazione filosofica dell’Arpinate?
La filosofia di Cicerone, Cicero’s Philosophy,  Stefano MasoL’attenzione dedicata dagli studiosi contemporanei alla figura di Cicerone ‘filosofo’ si deve a due fattori: da un lato alla progressiva reinterpretazione del significato di ‘filosofo’. Il filosofo non è più solamente il ‘teoreta’, vale a dire il pensatore che in modo originario propone una visione sistematica della realtà. Non è nemmeno l’uomo che affronta e interpreta ‘filosoficamente’ la vita. Se fosse così, non potremo considerare ‘filosofi’ né Machiavelli né Leopardi. Dall’altro lato, il paradigma scolastico – debitore della filologia ottocentesca – oggi mostra i suoi limiti e Cicerone non può più essere considerato solo un ‘traduttore’ (o un ‘traspositore’) in lingua latina dell’originario pensiero greco.

Cicerone in realtà già da giovane si è interessato agli studi filosofici: è stato allievo dell’epicureo Fedro e dello stoico Diodoto; ha ascoltato a Roma le lezioni dell’academico Filone di Larissa; durante il suo viaggio di formazione ad Atene incontra Antioco di Ascalona (academico) e il grande maestro stoico Posidonio. È soprattutto attraverso Filone che Cicerone viene a conoscenza del ‘probabilismo’ dell’Academia di Carneade. Ciò gli consente di mettere a fuoco quella che rimane la sua peculiare strategia nell’approccio alle tematiche filosofiche: in utramque partem disserere. Non volendo abbracciare acriticamente le dottrine di alcuna delle scuole filosofiche ellenistiche, Cicerone si prodiga a discuterle contrapponendole l’una all’altra. Il suo coinvolgimento politico e la sua professione di avvocato hanno però poi a lungo sottratto Cicerone dal diretto approfondimento delle tematiche filosofiche. A esse potrà dedicarsi negli ultimi anni della sua vita, una volta lasciata la ribalta a Cesare, vincitore di Farsalo.

In che modo Cicerone unisce politica e filosofia, retorica e filosofia, etica e filosofia?
Cicerone è profondamente convinto che l’attività politica sia legata a un progetto etico da perseguire. Nella formulazione di questo progetto è importante saper far riferimento a quanto è stato elaborato dalle scuole filosofiche dell’antichità: da Platone ed Aristotele, dagli Stoici. Molto meno dagli Epicurei che, a suo parere, hanno piuttosto praticato una forma di ‘allontanamento’ dall’impegno politico. Nel De republica tenta di riprendere la strada lungo la quale si incamminò Platone e perviene a prefigurare quella che gli sembra l’ideale forma di governo. Ma in ogni caso occorre l’impegno personale, occorre un’alta concezione della ‘dignità’ del cittadino e del ‘dovere’. Gli soccorrono in questo soprattutto gli insegnamenti dello stoicismo. Cicerone, al di là della concreta realizzazione, appare sempre intenzionato a unire una sorta di tensione politico-morale all’ambizione di affermarsi come uomo di vasta cultura, propugnatore dei valori della tradizione, dei maiores. In tutto questo brilla la sua costanza nell’applicarsi allo studio: come precisa nelle Tusculanae disputationes, egli ama dedicare alla retorica la mattina e alla filosofia il pomeriggio. Saggezza ed eloquenza si appoggiano l’una sull’altra.

Come si è espresso il suo impegno per dotare la lingua latina di un adeguato vocabolario filosofico?
Come il coetaneo Lucrezio, Cicerone è convinto dell’inadeguatezza del latino nel contesto tecnico-filosofico; molto seriamente però si impegnò a superare questo impasse, sia valorizzando in modo originale il vocabolario a sua disposizione sia, quando necessario, non limitandosi a tradurre letteralmente ma prodigandosi nell’interpretare, spiegandoli, i concetti più complessi. Un primo esempio: “voluntas”. Cicerone è consapevole che la lingua greca (e sia Platone sia Aristotele) avevano a disposizione almeno cinque modi per riferirsi a tale concetto/facoltà. Cicerone adotta voluntas spiegando esplicitamente che intende riferirsi soprattutto a boulesis. Si trattò di una decisione carica di conseguenze, perché da quel momento la concezione romana di volontà e di decisione volontaria si impose sulle differenti sfumature presenti nella concezione greca dell’agire. In un’altra occasione Cicerone manifesta i suoi dubbi proponendo diverse soluzioni in latino: così accade quando si tratta di tradurre un termine chiave dello stoicismo e dell’epicureismo, pròlepsis. Per esso impiega anticipatio, praenotio, praesensio: in tale modo egli tenta di adeguarsi non solo al concetto da tradurre, ma anche al più generale contesto dottrinale all’interno del quale è impiegato il termine.

Più in generale però l’impegno di Cicerone si coglie nel grandioso tentativo di proporre ai Romani in latino i contenuti delle opere di alcuni tra i massimi maestri greci: si pensi al De officiis, che si presenta come l’arrangiamento in tre libri dell’opera principale dello stoico Panezio di Rodi.

Quali, tra le opere ciceroniane, sono più spiccatamente filosofiche e quali sono i temi centrali della sua riflessione?
Ne cito cinque: il De finibus bonorum et malorum, le Tusculanae disputationes, il De natura deorum, il De officiis, il De fato. Le prime due si occupano di questioni prettamente morali; la terza confronta le dottrine teologiche delle varie scuole filosofiche; il De officiis pone al centro la questione dei ‘dovere’ sia in termini morali sia in termini politici; il De fato affronta una delle questioni chiave della fisica e della logica stoica: la possibilità di una prospettiva deterministica nell’analisi della realtà fisica e l’arduo problema della sua compatibilità con il libero arbitrio dell’uomo.

Quale posizione mantiene Cicerone nei confronti delle scuole filosofiche ellenistiche?
Cicerone si dichiara vicino all’Academia. Certo, al suo tempo, l’ortodossia era ormai compromessa e si era affermato prima lo scetticismo con Carneade, quindi una forma di probabilismo con Filone di Larissa. Nei dialoghi Academica, Cicerone si mostra vicino anche alle posizioni dell’altro maestro academico: Antioco di Ascalona. Tuttavia Cicerone si confronta a lungo con la scuola stoica, della quale apprezza la dirittura morale che fa della virtus l’obiettivo da perseguire e del ‘dovere’ l’incentivo morale primario. Cicerone si confronta anche con la dottrina epicurea, ma l’accusa di confondere banalmente il piacere con l’assenza di dolore e, soprattutto, di fondarsi su di un modello fisico atomistico che egli ritiene ‘favole da vecchierelle’.

Comincia solo a conoscere qualcosa delle opere di Aristotele che proprio allora si andavano riscoprendo.

Nonostante tutto però è scorretto classificare Cicerone un ‘eclettico’: piuttosto siamo di fronte a un serio studioso che sa mantenere la propria autonomia di giudizio, soprattutto grazie a quell’approccio strategico che, pur all’interno dei dettami dell’Academia, gli permetteva di giudicare i vantaggi e gli svantaggi delle diverse professioni dottrinali.

Quali orientamenti hanno assunto i più recenti studi sulla filosofia ciceroniana e quali problemi rimangono tuttavia aperti?
La filosofia ciceroniana non è certo sistematica, tuttavia seguendo il percorso degli scritti dell’Arpinate è evidente l’insistenza e la coerenza soprattutto intorno a certe tematiche etiche. Gli studiosi si impegnano oggi nel mostrarne, se non l’originalità, soprattutto l’importanza nello sviluppo della visione del mondo romana. Di qui la sottolineatura della valenza filosofico-culturale e politico-culturale del suo pensiero. Non dimentichiamo poi che solo grazie a Cicerone possiamo ricostruire un quadro storicamente affidabile del dibattito filosofico-dottrinale delle Scuole nel primo secolo a.C.

Tra le questioni ancora aperte e che meritano ulteriori indagini vorrei indicare: la presunta incoerenza dell’Arpinate tra l’esperienza filosofica e la vita politica; il problema dell’originalità o meno di alcune conclusioni; il rapporto con lo Stoicismo e con l’Epicureismo; la posizione di Cicerone rispetto al libero arbitrio in un contesto fondamentalmente determinista.

Stefano Maso è professore ordinario di Storia della filosofia antica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Visiting professor presso la Georgia State University di Atlanta e le università di Grenoble, Tübingen, São Paulo, Liège, è condirettore della rivista “Lexis. Poetica, retorica e comunicazione nella tradizione classica”, Hakkert / Ca’ Foscari edizioni. Tra i suoi ultimi lavori: Cicerone, Il fato, Roma 2014; Grasp and Dissent, Cicero and Epicurean Philosophy, Turnhout 2015, Dissoi logoi, Roma 2018; Cicero’s Philosophy, Berlin/Boston 2022.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link