“La festa” di Natale Spineto

Prof. Natale Spineto, Lei è autore del libro La festa edito da Laterza: innanzitutto, quale definizione è possibile dare del concetto di «festa»?
La festa, Natale SpinetoDella festa possiamo dire, come fa Sant’Agostino con il tempo, che se nessuno ce lo chiede sappiamo bene che cos’è, ma se dobbiamo darne una spiegazione non riusciamo. Perché, a ben vedere, quando ci invitano a una festa capiamo subito di che si tratta, ma, si ci riflettiamo un po’ su, cominciano i problemi: usiamo infatti lo stesso termine per riferirci al giorno dei morti, il 2 novembre, a una serata in discoteca, alle celebrazioni del 2 giugno presso l’Altare della Patria e ad un rave party. Che cos’hanno in comune tutte queste situazioni? La prima è caratterizzata da un’atmosfera mesta, la seconda da un’allegria effervescente, la terza da una solennità composta e la quarta da un coinvolgimento spesso parossistico. Tutte hanno però un’aria di famiglia, e cioè presentano una rete di somiglianze e differenze, un po’ come succede per le persone ritratte in una foto scattata in una grande festa famigliare, che, prese a due a due, magari non sembrano avere nessun tratto comune, ma viste tutte insieme si capisce che hanno un legame. Si può andare però ancora oltre e individuare un meccanismo che opera in tutte le feste, dalle più tristi alle più allegre: l’interruzione del quotidiano. La nostra vita quotidiana, ordinaria, subisce, ogni tanto, delle interruzioni. Si può anzi dire che di queste interruzioni abbiamo bisogno. Il tempo di tutti i giorni, con la sua routine, le sue regole, i suoi ritmi, durante la festa viene sospeso e si entra in una dimensione della realtà e di tipo differente. Una dimensione nella quale troviamo qualcosa di più rispetto alla quotidianità. Faccio un esempio. Nessuno vive solo ma tutti noi siamo inseriti in una rete di relazioni, che definisce la nostra identità: relazioni con la famiglia, con gli amici, con chi lavora con noi, con l’ambiente, con persone e cose reali o immaginarie, e anche con gli esseri sovrumani delle religioni in cui crediamo, se siamo credenti. Nel tempo straordinario (e cioè che va oltre l’ordine del quotidiano) della festa queste relazioni tendono a intensificarsi: i rapporti sociali sono facilitati dall’atmosfera giocosa creata dalla musica e dalla condivisione di cibo e bevande; un evento come quello del rave party conduce a una sorta di fusione dei partecipanti nel ritmo palpitante della musica; una celebrazione civica accentua il senso di coesione e appartenenza a un gruppo, raccolto intorno a simboli comuni; e anche le ricorrenze dei defunti sono un modo di rendere più stretti i vincoli con gli altri: quelli famigliari, ma anche quelli con chi ci ha lasciato ma fa ancora parte di quel fascio di relazioni che caratterizza ognuno di noi, e che non si riduce ai viventi. Insomma, la festa ci porta in una dimensione differente da quella in cui viviamo solitamente, nella quale la nostra esperienza può farsi più intensa, più profonda, più appagante.

Quale ruolo svolge la festa nella società contemporanea?
Lo stesso che ha sempre svolto: risponde a un bisogno di uscita dal quotidiano per vivere qualche cosa di più vivido e denso. Cambiano le forme, ovviamente, le modalità di svolgimento, le implicazioni, i condizionamenti sociali ed economici, ma il meccanismo sembra essere lo stesso. Si pensi, ad esempio, alle feste legate alla società dei consumi: si tratta di eventi chiaramente condizionati da esigenze commerciali, ma il cui successo può essere spiegato soltanto se si prendono in considerazione le dinamiche psicologiche e sociali che le caratterizzano, analoghe a quelle che troviamo nella festa di sempre.

Quali dinamiche caratterizzano le feste contemporanee?
Gli studiosi hanno individuato una serie di variazioni delle feste d’oggi rispetto a quelle del passato. Ecco alcune delle più significative. Innanzitutto la dimensione collettiva si è attenuata: alle grandi cerimonie pubbliche o religiose non è più scontato che tutti, più o meno, prendano parte, mentre è diventato determinante il fattore costituito dalle scelte e dai gusti individuali. È contemporaneamente aumentata la parcellizzazione delle feste, segmentate in tante occasioni o ricorrenze legate a gruppi sociali particolari, piuttosto che alla società nel suo insieme. Un altro tratto da rilevare è la decadenza dell’aspetto cerimoniale rispetto a quello ludico: le feste civiche durante le quali non si lavora, come quella del 2 giugno, sono raramente vissute nei loro aspetti rituali e le feste religiose sono poco celebrate in quanto tali; anche i praticanti (che sono sempre meno) delle religioni tradizionali si limitano, il più delle volte, a ottemperare al precetto festivo partecipando a una messa che dura meno di un’ora e trascorrono il resto del tempo in attività comuni di svago. Questo discorso introduce a un altro carattere della festa contemporanea: l’idea che il momento festivo coincida con il tempo libero. Il tempo della festa, tradizionalmente, non era, come sembra ora diventato, tempo vuoto atto ad essere riempito di attività ludiche (tempo libero, appunto), ma piuttosto, e all’inverso, un tempo ancora più denso di quello ordinario. Un quarto aspetto riguarda il ruolo primario attribuito all’elemento spettacolare. Se partecipare all’evento festivo significava assumere, in qualche modo, un ruolo di protagonista, la spettacolarizzazione delle feste comporta una distinzione fra attori e spettatori con la possibilità di limitarsi ad assistere a una cerimonia cui si è indifferenti o anche compartecipi, ma dall’esterno. L’accento è posto, da questo punto di vista, sul vissuto individuale piuttosto che sull’esperienza collettiva: si è liberi di prendere parte alle feste indipendentemente dal fatto che ci riguardino personalmente oppure coinvolgano il nostro gruppo sociale, e, una volta deciso di andare a una festa, il livello di partecipazione può essere di vario genere, fino alla semplice presenza come curiosi. Un ultimo carattere è quello economico. Come ricordavo prima le feste assumono spesso, nella “società dei consumi”, una valenza economica consumistica, evidente in alcune ricorrenze nate, nella loro forma attuale, in tempi recenti, come San Valentino, Halloween, la Festa del Papà e quella della Mamma.

Quali diversi tipi di feste esistono?
Per rispondere bisognerebbe classificare le feste. Ogni operazione di classificazione richiede che si insista su alcuni caratteri a discapito di altri e la scelta su quali di essi privilegiare è piuttosto soggettiva e dipende dal punto di vista che si assume, per cui ogni studioso ha la sua opinione sul tema. Io ho cercato di distinguere le feste a seconda che possiedano o non possiedano quatto caratteristiche: il fatto di essere religiose, tradizionali, civiche e pubbliche. Un altro elemento è il rilievo più o meno locale. Il Natale, ad esempio, è una festa religiosa e tradizionale; la festa del Santo patrono è religiosa, tradizionale e locale; la festa della Liberazione è una festa laica, civile e pubblica; il matrimonio celebrato in chiesa è una festa religiosa e privata; Halloween è laico e non ha valore civile ecc. ma si tratta soltanto di un modo, fra i tanti, di mettere ordine alla trattazione e accorpare le feste in capitoli generali.

Quale rilevanza assume l’elemento religioso nelle feste?
Ho parlato prima di come la festa comporti una sospensione del quotidiano e l’accesso a un livello di esperienza differente. Si può dire che nelle società antiche (ad esempio presso gli antichi greci o gli antichi romani) ogni “rottura di livello” avvenisse facendo riferimento al mondo divino. Pensiamo ad esempio al fatto di bere una bevanda alcolica, che può portare a un’alterazione dello stato di coscienza. Per gli antichi greci si trattava di un atto in qualche modo religioso, la cui conseguenza consisteva nell’entrare nella sfera di Dioniso, il dio che ha insegnato agli uomini a coltivare la vite e a produrre e bere il vino nel giusto modo. Inoltre nelle società antiche il religioso, il politico, l’economico, l’artistico non erano ambiti chiaramente distinti ma l’uno si intrecciava con l’altro. Nel corso dei secoli all’interno della nostra civiltà si è tuttavia svolto un processo che ha portato a una sempre più netta differenziazione della religione dalle altre attività umane e a una definizione e delimitazione degli spazi di ciò che è religioso. Bere il vino non è più un atto religioso, se non avviene in un contesto liturgico come una messa, così come compiere atti e consumare sostanze che portano ad accedere a una sfera differente di esperienza non significa entrare in un ambito controllato da esseri sovrumani. Rispondendo a una delle domande precedenti ho citato tutta una serie di tratti che distinguono le feste di oggi dalle feste antiche, ma in realtà gli elementi di continuità prevalgono. Proprio sul piano della religione invece lo scarto è decisamente forte: se, ad esempio, in Grecia tutte le feste del calendario erano religiose, e cioè implicavano il riferimento al mondo sovrumano, per noi la festa non presuppone più il riferimento a un dio. Ma i meccanismi rimangono simili, per cui lo studio del funzionamento delle feste religiose del passato è utilissimo per capire le feste – religiose e non – di oggi.

A quale esigenza umana risponde l’impulso a festeggiare, presente da sempre in qualsiasi civiltà?
Sintetizzando quanto detto prima, e quanto risulta dall’indagine più dettagliata di alcune feste contemporanee che ho proposto nel libro, il festeggiare risponde a un’esigenza umana d’interruzione del quotidiano che mira ad attingere un livello di esperienza diverso da quello abituale, vissuto, volta per volta, come più significativo, più appagante, più intenso, più profondo. Come tale, può essere funzionale a rinsaldare la coesione di un gruppo, a stringere le relazioni con gli altri, a rinnovare le forze con le quali si affrontano i momenti di difficoltà o di crisi.

Natale Spineto è Professore ordinario di Storia delle religioni all’Università degli studi di Torino

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