“La donna romana. Modelli e realtà” di Francesca Cenerini

Prof.ssa Francesca Cenerini, Lei è autrice del libro La donna romana. Modelli e realtà edito dal Mulino: qual è la figura di donna ideale che emerge dalle fonti romane?
La donna romana. Modelli e realtà Francesca CeneriniIn realtà dalle fonti romane emergono numerose figure di donne, ideali e non; questo dipende fondamentalmente da due fattori: il primo è che nel corso di tutta l’età romana, per quello che ci è dato conoscere dalle fonti, continua a essere culturalmente operativo un modello ideale di comportamento femminile, vale a dire quello che relega la matrona a una dimensione eminentemente domestica, moglie e madre, dedita alla filatura e alla tessitura; a questo modello ideale, però, nel corso del tempo, si affiancano delle donne “in carne e ossa” che non corrispondono affatto a questa idealità, ad esempio attraverso la gestione di una sessualità non destinata esclusivamente alla procreazione di figli legittimi al proprio marito, oppure attraverso la volontà di interferire nelle decisioni politiche che, generalmente, provoca la loro condanna da parte degli autori classici. I modelli topici, in questo senso, sono Clodia, amata e odiata da Catullo e ritratta come una prostituta da Cicerone che sono convinta, invece, ne subisse il fascino, e Fulvia, moglie di Antonio, che, a detta delle fonti, non aveva nulla di femminile e che voleva comandare un comandante. Il secondo fattore è rappresentato, appunto, dalle fonti: se quelle letterarie indulgono a una rappresentazione femminile secondo questo modello per così dire “bipolare” (si pensi alla letteratura sulle Augustae, dipinte dagli storici quasi senza soluzione di continuità come ninfomani, avvelenatrici o manipolatrici), quelle documentarie, invece, in particolare le iscrizioni ci fotografano, soprattutto a partire dalla fine dell’età repubblicana e nelle città dell’impero romano, un grande numero di donne ricche, in grado di interagire efficacemente con le comunità cittadine attraverso donazioni di denaro, o altro, e che per questo motivo vengono onorate con una statua nel foro. Queste donne sono onorate per le loro potenzialità in favore della comunità, ma ancora attraverso il filtro del modello ideale della pudicitia e dell’adeguamento all’antico mos maiorum.

Quali erano lo status giuridico e le capacità patrimoniali delle donne romane?
Anche a questa domanda non si può rispondere in modo univoco. Originariamente la donna era sottoposta alla manus del padre e, quando si sposava tramite il matrimonio cum manu, appunto, tale potere si trasferiva al suocero o al marito. Successivamente, però, mutano radicalmente le condizioni economiche e sociali della res publica e la donna può sposarsi senza questa forma di trasferimento della manus paterna, per cui, alla morte di quest’ultimo, poteva godere di determinati diritti patrimoniali, anche se rimaneva sottoposta alla tutela giuridica. L’imperatore Augusto, nella sua legislazione volta a incrementare la natalità, fornì alle donne prolifiche la possibilità di essere esentate dalla tutela in quanto madri di tre (se libere) o quattro (se liberte) figli (ius trium o quattuor liberorum), anche se noi continuiamo a vedere nei documenti delle transazioni economiche (ad esempio le tavolette cerate) numerose donne sotto tutela che erano comunque economicamente molto attive.

Nell’antica Roma il potere era esclusivamente maschile?
Anche in questo caso bisogna capire che cosa si intende con potere: la politica in genere e anche la politica matrimoniale delle élites rimane appannaggio degli uomini della famiglia (si pensi alla povera Giulia, figlia di Augusto, fatta sposare per scopi dinastici dal padre prima con il cugino Claudio Marcello, poi con Agrippa, il braccio destro del padre stesso, infine con Tiberio, matrimonio quest’ultimo infelicissimo per entrambi). Le donne a Roma non ebbero mai diritto di voto né attivo (ius suffragii) né passivo (ius honorum, tranne che per le cariche sacerdotali), anche se è indubbio che le donne hanno potuto godere di una certa influenza a corte, soprattutto a partire dall’età severiana, con Giulia Domna, moglie di Settimio Severo e, come ho detto prima, poterono essere attivamente coinvolte nella vita economica e sociale delle città dell’impero romano.

Come si svolgeva la vita quotidiana della donna romana?
In questo caso la vita quotidiana cambia moltissimo a seconda della condizione giuridica e sociale (e ovviamente economica). Una giornata di duro lavoro aspettava la schiava, in tutti le sue mansioni: tutti ricordano la povera ornatrix, parrucchiera, trafitta dallo spillone della padrona non contenta della riuscita della pettinatura; in ogni caso, a mio parere, la condizione peggiore era quella delle povere prostitute costrette nei pochi metri dei lupanari, senza aria né luce (ben diverse, erano, invece, le condizioni delle prostitute d’alto bordo, allora come oggi). C’erano poi le lavoratrici, come la liberta Trosia Hilara, lanifica circlatrix, molto probabilmente venditrice ambulante dei propri prodotti, e tante altre. Alla matrona, invece, si chiedeva la conoscenza della filatura e della tessitura (in molte tombe femminili sono stati trovati pesi da telaio, anche intonsi, a dimostrazione che il modello ideale continuava a essere operativo), si chiedeva di avere il conveniente ornatus e, con il tempo, anche una buona cultura, soprattutto per indirizzare l’istruzione dei figli.

Quali esempi di donne ci ha tramandato la tradizione romana?
Come dicevo prima, gli esempi si allineano su questo modello bipolare; ideale positivo, antagonista negativo. Va notato che i Romani ascrivono a un comportamento matronale positivo la reazione che porta alla caduta della monarchia: Lucrezia, stuprata da Sesto, figlio del re Tarquinio il Superbo, si uccide perché non può vivere “disonorata”. Il suo comportamento serve a modellare l’ideale comportamento femminile secondo il mos maiorum romano. Parimenti, gli unici gioielli di cui si adorna Cornelia, figlia di Scipione, il vincitore di Annibale a Zama, sono i di lei figli, i famosi tribuni della plebe Tiberio e Caio Gracco. I modelli negativi sono, ovviamente, molteplici e aumentano proprio quando le donne incominciano ad avere un ruolo più attivo nella società; come accennavo prima, le Augustae sono rappresentate quasi tutte in termini negativi; l’assurdità, a mio parere, è raggiunta quando, a tutt’oggi, si continua a ritenere la povera Valeria Messalina, terza moglie dell’imperatore Claudio, una meretrix che si prostituiva, secondo le parole di Giovenale, in tutti i lupanari di Roma con grande soddisfazione personale. In realtà, Messalina è coinvolta in una congiura politica ai danni di Claudio, ma è stato molto più comodo censurare il suo comportamento politico e dipingerla come una donna asservita alla propria incontenibile lussuria.

Francesca Cenerini insegna Storia romana e Epigrafia e Istituzioni romane nell’Università di Bologna.

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