
Il libro è articolato in cinque capitoli. Il primo fissa i termini che definiscono la pretesa di accorciare le distanze tra rappresentanti e rappresentati. In particolare, se nel dibattito pubblico tale aspetto viene semplicisticamente riassunto nella contrapposizione tra élite e popolo, si cercherà di considerarlo in termini ben più problematici, specialmente in relazione ad alcuni dibattiti sviluppati dalla teoria democratica contemporanea. Il secondo capitolo propone una ricostruzione della genesi dei corpi intermedi. Infatti, nell’analizzare i processi di disintermediazione è necessario approfondire la natura dei soggetti mediatori e le implicazioni che la loro azione produce all’interno di un sistema rappresentativo: viene pertanto ripercorso il loro tortuoso percorso di sviluppo e di legittimazione, costellato da stagioni molto diverse le une dalle altre, che includono momenti in cui i corpi intermedi sono esaltati e altre, al contrario, durante le quali viene auspicata una loro radicale cancellazione. Conseguentemente, nel terzo capitolo, vengono esaminate le principali teorie della mediazione (e della disintermediazione), elaborate proprio in concomitanza delle diverse fasi del percorso di sviluppo dei corpi intermedi, offrendone così un approfondimento teorico più puntuale. Sulla base delle ricostruzioni del secondo e del terzo capitolo, il quarto si concentra sulle problematicità concettuali che emergono dall’utilizzo dell’espressione «democrazia immediata». In tempi recenti, essa è infatti utilizzata per indicare un modello politico fortemente influenzato dai processi di disintermediazione, i quali renderebbero davvero esiguo lo spazio nel quale possono agire i corpi intermedi. Ma, come si è già ricordato, essa ha una lunga storia alle spalle, intrecciata con i processi di sviluppo della democrazia rappresentativa. Infine, il quinto capitolo si sofferma sul concetto di distanza democratica, con l’intento di chiarire come la più recente «crisi» dei corpi intermedi all’interno del governo rappresentativo e la presunta torsione in senso immediato della democrazia debbano essere studiate riscoprendo le «logiche» che sottendono alla democrazia stessa, soprattutto quelle di prossimità e di distinzione. Ciò consentirà, da un lato, di svelare come sia davvero difficile esprimere la realtà collettiva senza il ricorso a un «terzo organizzatore» e, dall’altro, come l’attrattiva nei confronti del breve periodo sia un fenomeno in larga parte strutturale all’interno delle sintesi politiche.
Cosa sono e che ruolo possono dunque svolgere i cosiddetti “corpi intermedi”?
All’interno del quadro teorico delineato nel libro, i corpi intermedi rappresentano indubbiamente dei soggetti cruciali. Per comprendere appieno la loro importanza occorre delimitare il loro campo d’azione, cercando di fornirne una definizione, ma non è affatto semplice. Infatti, una delle difficoltà concettuali che vengono discusse richiamano proprio la loro origine, le loro definizioni. Innanzitutto, occorre ricordare che l’utilizzo di sintagmi simili come enti intermedi, formazioni intermedie, comunità intermedie non aiuta: talvolta, ciascun termine recepisce una sfumatura semantica da mettere in evidenza, ma non è affatto da escludere che possano essere considerati tutti come sinonimi. Una delle difficoltà maggiori nel descrivere i caratteri del corpo intermedio emerge quando si cercano di individuare i soggetti che sono al centro della mediazione: per alcuni studiosi, il corpo intermedio «protegge» e «integra» l’individuo o la persona nei suoi rapporti con lo Stato. Secondo altri approcci, invece, non sempre i poli oggetto della mediazione sono l’individuo-persona e lo Stato, ma la persona e la società.
Una delle definizioni più canoniche dei corpi intermedi è quella che fornisce Egidio Tosato quando li indica come «tutte quelle società, variamente dominate, che si pongono come centri di vita e di azione sociale, interna ed esterna, nell’ambito della più vasta società statale». Alcuni studiosi mettono in evidenza come essi debbano essere studiati in relazione allo spazio istituzionale rispetto al quale orientano la loro azione, oppure in relazione alle logiche del mercato. In sostanza, la serie di richiami presentata certifica la difficoltà di individuare una definizione di corpo intermedio avendo come riferimento i soggetti che sono al centro della mediazione.
Tuttavia, per quanto riguarda specificatamente lo studio della democrazia rappresentativa, rilevare una difficoltà definitoria non necessariamente è un ostacolo, dal momento che restituisce la complessità della presenza e dell’azione dei corpi intermedi: essi sono certamente dei raggruppamenti interpersonali che hanno lo scopo di mettere in relazione le persone che vi fanno parte e l’entità statuale; da questo punto di vista «proteggono» e «integrano» le prime rispetto alla seconda, ma è importante sottolineare che lo fanno all’interno di uno spazio ben definito dove tale relazione si consuma, ossia la società. Oltre a ciò, è necessario sottolineare anche altri tre aspetti: il primo è relativo all’intento che tiene uniti questi raggruppamenti e, quindi, l’insieme di valori e di interessi che rappresentano; il secondo, riguarda il loro profilo organizzativo; il terzo, infine, è relativo alle modalità con le quali rappresentano la loro specificità sia in relazione agli altri raggruppamenti, sia davanti allo Stato. Com’è facilmente intuibile, tali criteri possono delineare una conformazione molto differente dei corpi intermedi, ma riescono comunque a fissare degli elementi utili per orientarsi nella serie di definizioni, che talvolta si presentano in (più o meno) apparente contraddizione le une con le altre. Il proposito definitorio diviene parzialmente meno ostico se si considerano i corpi intermedi all’interno di un contesto storico e teorico di riferimento, ossia soffermandosi sulla nozione di «corpo» politico, che richiama immediatamente quella di «corporazione» e, di conseguenza, il corporativismo, al quale sono dedicate diverse pagine del secondo capitolo.
In tempi recenti si è imposto il dibattito sul modello della «democrazia immediata»: quando e come nasce la riflessione sui processi di disintermediazione e come si è intrecciata con lo sviluppo della democrazia rappresentativa?
Ultimamente, l’espressione democrazia immediata viene utilizzata per indicare le tendenze più disparate: la meta da raggiungere per garantire un miglioramento del funzionamento dei sistemi politici; o, al contrario, per evocare una pericolosa deriva verso la quale tenderebbe il governo rappresentativo; oppure, per descrivere una conseguenza della diffusione del populismo, o, ancora, per indicare lo stadio di sviluppo finale di una «democrazia continua» influenzata e pienamente integrata nelle dinamiche dall’Information and Communications Technology. Tutti questi utilizzi sono certamente corretti, ma l’origine di tale espressione è piuttosto remota. Occorre risalire almeno al dibattito nato attorno alla Rivoluzione francese e alle idee di Condorcet.
Per molti versi, l’espressione democrazia immediata condivide la stessa sorte toccata a quella di corpo intermedio: è un elemento presente costantemente lungo lo svolgersi della storia della democrazia moderna, ma talvolta si impone con maggior evidenza nel dibattito scientifico e pubblico, specie quando viene presentato nei termini di un modello ideale da adottare o, all’opposto, come l’emblema di una deriva da evitare. Infatti, la democrazia immediata può essere evocata sia nei termini di un auspicio verso cui tendere, sia alla stregua di un rischio da evitare assolutamente perché capace di compromettere l’architettura fondativa del governo liberal-rappresentativo. La fascinazione per l’immediatezza non è dunque una prerogativa della stretta contemporaneità, ma ha influenzato importanti dibattiti teorici nel corso dei decenni, determinando così un set di modelli di democrazia che ancora oggi trovano spazio tra le proposte politiche.
Antonio Campati è ricercatore di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove collabora con Polidemos (Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici). È membro del comitato editoriale della «Rivista italiana di filosofia politica», di «Power and Democracy» e del «Dizionario di dottrina sociale della Chiesa». Fa parte delle redazioni di «Rivista di politica» e «la Società». I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulle trasformazioni della rappresentanza politica e sul ruolo delle élite e dei corpi intermedi all’interno delle democrazie. Su questi temi ha scritto diversi saggi apparsi su riviste e volumi collettanei. È autore di I migliori al potere. La qualità nella rappresentanza politica (Rubbettino, 2016); ha curato Cittadinanza e sogno europeo. Partecipazione e inclusione tra vincoli e opportunità (Mimesis, 2019), Democrazia e liberalismo: un connubio da ripensare? (Apes, 2022) e Democracy and Disintermediation. A Dangerous Relationship (con D. Palano, Educatt, 2022).