
Prima ancora l’età giolittiana, l’impresa coloniale in Libia e il Primo conflitto mondiale, sarebbero state le tappe maggiormente significative nell’approccio a questa rinnovata fase.
La gestione della politica dell’uomo di Dronero, con la sua scelta di invadere la Libia contribuirono ad aprire nel paese una fase di confronto ideologico e sociale tra visioni diametralmente opposte. Anche il Mezzogiorno, dapprima ammaliato dal potenziale occupazionale delle nuove terre d’Africa, fu costretto a scoprire il disincanto delle promesse mancate e soprattutto, il dolore e il sangue del sacrificio degli uomini della propria terra, caduti durante l’anno di cruente battaglie.
Ancor di più, la Grande guerra avrebbe acuito le ferite lancinanti derivanti dalla perdita dei cari e, in particolar modo, le difficoltà economiche ed occupazionali derivanti dalla successiva crisi post-bellica.
Fu in quel frangente che nella zona di cerniera del Mezzogiorno, l’area rurale confinante con il centro, in forza del vento di Russia e delle rinnovate esigenze e necessità di una società uscita fortemente mutata dagli accadimenti degli anni precedenti, presero maggiore consistenza i nuclei progressisti che avrebbero formato l’ossatura principale del PSI. Invero, bisogna sottolineare quanto un ruolo fondamentale fu svolto dai centri culturali locali sorti intorno alle pubblicazioni e ai periodici dell’epoca, che grazie al loro apporto ed al contributo valoroso di direttori, redattori e giornalisti, avrebbe contribuito non poco a favorire la diffusione dei programmi, delle idee, e delle strategie, nazionali e locali, delle formazioni democratiche, progressiste e socialiste.
È necessario tuttavia porre l’attenzione, come rappresentato nel volume in più passaggi, su una delle questioni che maggiormente ha contraddistinto il processo di espansione socialiste nel Mezzogiorno d’Italia. Questo infatti non ha avuto un’univoca modalità di concretizzazione ed espansione, bensì ogni territorio regionale ha saputo fornire un approccio ed un approdo distinto e peculiare del percorso di formazione della coscienza e della classe dirigente socialista.
Elemento questo che rendeva ancor più necessaria una rilettura storica di quelle vicende, e che il libro tenta, senza presunzione di completezza, di chiarire ulteriormente in taluni aspetti.
Quali fattori influenzarono la diffusione del partito socialista?
Le trasformazioni sociali perpetuate dalla Grande guerra, si vedano tra tutte, l’abbattimento definitivo degli schemi politici ottocenteschi, la creazione di una coscienza collettiva nazionale e l’affermazione di un rinnovato ruolo della donna, nonché le trasformazioni apportate dal notevole progresso scientifico maturato nel primo Novecento, avevano portato le comunità, intese nel loro complesso, a confrontarsi con rinnovate prospettive di maturazione e realizzazione delle proprie esistenze.
Sia nel nord del paese, sia, seppur con qualche anno di ritardo, nel meridione, in particolare le classi sociali dei lavoratori della terra e degli operai furono segnate dalla carenza occupazionale derivante dalla ricostruzione del primo dopoguerra e dagli echi della rivoluzione socialista.
Le donne e gli uomini, oppressi dalle difficoltà della vita videro la possibilità di raggiungere un cambiamento in positivo della loro realtà attraverso una nuova impostazione politica, che prevedeva finanche la presa del potere ed il controllo di quest’ultimo da parte del popolo.
Ciò incise non poco presso l’immaginario collettivo del Mezzogiorno, che venne fortemente segnato dalla creazione delle condizioni di potenziale opportunità di una osmotica trasmissione della rivoluzione socialista in Italia. Al nord l’esperienza maturata durante il biennio rosso, attraverso l’occupazione delle fabbriche, mise realmente in crisi il sistema politico liberale il cui destino appariva oramai disvelato verso l’oblio ed il superamento a discapito dei partiti massa, e delle ideologie maggiormente strutturate
Il Sud seppur con un contesto socio-economico profondamente diverso compensava la quasi totale assenza del ceto operaio, dovuta alla ristretta diffusione delle fabbriche, con l’assunzione di un rinnovato ruolo della classe dei contadini-braccianti, che respirando i potenziali benefici dei nuovi diritti e delle nuove libertà, puntavano a scrollarsi dal giogo dei grandi proprietari terrieri.
Questi elementi, unitamente ad una maggiore apertura alla conoscenza ed alla cultura, consentirono nell’area di frontiera del Mezzogiorno le prime affermazioni politiche nei centri amministrativi, con l’elezione dei rappresentanti comunali e provinciali, nonché con la convocazione di importanti congressi che avrebbero segnato il processo di affermazione e radicamento del PSI anche nelle province più rurali.
Tutto ciò fu però fermato dall’avanzata del principale nemico del socialismo, dapprima i fasci di combattimento e successivamente il pnf, che seppe meglio incanalare il disagio e il malcontento di alcune fasce sociali, anche mediante l’uso della violenza quale valvola di sfogo dall’oppressione delle difficoltà quotidiane.
I socialisti dal canto loro, non seppero reagire fermamente dinnanzi alle prime aggressioni, alcune delle quali narrate per la prima volta (Ripalimosani) all’interno del volume. Anzi, essi commisero il duplice errore di sottovalutare – addirittura sino alla marcia su Roma – il potenziale detenuto dai fascisti, derubricandolo a elemento passeggero e non in grado di attecchire nel profondo del tessuto sociale, e, al contempo di ipotizzare la nascita di un confronto e di una competizione elettorale, politica e ideologica, leale.
Ciò indubbiamente contribuì alla crisi dell’esperienza socialista durante quei dei delicati anni che avrebbero condotto all’avvento della dittatura fascista, tuttavia proprio quella prima esperienza si sarebbe rivelata significativa ed importante per il successivo sviluppo del socialismo, e dell’area progressista nel Mezzogiorno repubblicano.
Cosa significò per il Mezzogiorno lo sviluppo di nuclei socialisti attivi e in che modo tale processo contribuì alla sua evoluzione sociale ed economica?
Pur configurandosi quale contesto estremamente diversificato e frastagliato per l’approdo alla diffusione dell’ideale socialista e del Partito, le regioni dell’area meridionale presentavano molteplici elementi di verosimiglianza. La rigida suddivisione in classi, lo schema di gestione familistica della politica e delle scelte amministrative, il diffuso carente intervento statale nella tutela finanche dei più basilari servizi di pubblica utilità, tra cui la sfera sanitaria e quella dell’istruzione, rappresentavano solo alcune delle situazioni di similitudine in cui versavano le province del Mezzogiorno del regno. Giocoforza, all’interno di un simile reticolato, pur con tutte le difficoltà derivanti dai livelli bassi di alfabetizzazione, i nuclei progressisti, in particolare quelli prossimi al Partito Socialista ufficiale, riuscirono ad avviare iniziative volte alla diffusione di un rinnovato sentimento collettivo volto a formalizzare la creazione di nuovi accordi tra le forze politiche democratico-progressiste (cd. Blocchi popolari), basati su programmi intesi a riconoscerei un ruolo più rilevante alle fasce più deboli delle comunità.
Ancora una volta, va ribadito, il veicolo prioritario della diffusione dei nuovi elementi di sviluppo furono i periodici e le testate locali, che lanciarono veri e propri punti programmatici dedicati all’area territoriale, ed alla regione meridionale di riferimento.
Tra i principali elementi diffusi nell’intera area, si riscontrava la necessità a livello comunale e provinciale di riformulare la gestione del comparto medico-sanitario, dell’edilizia scolastica e della gestione dei bilanci comunali, sovente (come descritto nel volume) oggetto di scelte personali di amministratori e funzionari dell’ente. Questi erano i principali punti programmatici esistenti sin dal lancio delle prime piattaforme dei Blocchi popolari a seguito dell’importante convegno del socialismo meridionale a Napoli del 1907.
Inoltre, particolare attenzione veniva posta sul controllo degli episodi di corruttela che, come descritto nel volume, risultavano già ampiamente diffusi finanche nelle aree più ridotte e remote del meridione, nonché sulla stigmatizzazione della dinamica elettorale basata sul rapporto familistico-clientelare delle classi dirigenti afferenti al notabilato locale. Quest’ultimo elemento, forse più di altri, si sarebbe dimostrato di difficile rottura, in quanto il meccanismo ben radicato, avrebbe continuato a riprodursi in una multiforme strutturazione anche negli anni successivi.
Ciononostante, l’avvento del socialismo sulla frontiera meridionale avrebbe lasciato segni tangibili.
Da un punto di vista economico-occupazionale, lo sforzo dei nuclei progressisti, in particolare nelle zone del basso Molise e dell’entro terra pugliese, condusse alla piena presa di coscienza di classe da parte dei braccianti agricoli che, proprio in forza di tale rinnovato contesto, si trovarono ad attuare una serie di azioni di impatto, mediante l’occupazione delle terre, che costrinse i proprietari terrieri a riconoscere i primi, seppur flebili, elementi di maggiore libertà in termini di diritti ai lavoratori della terra, nonché di riconoscimenti in materia di compensi e retribuzioni.
Elemento di innovazione sociale importante fu altresì il contributo fornito alla scoperta del rapporto sinallagmatico tra politica e classe dirigente, e tra scelta politica e tutela del territorio locale, che avrebbe condotto, tra le altre cose, all’avvio dei processi di discussione delle autonomie territoriali. Emblematico il caso molisano, territorio provinciale da sempre collegato e subordinato ad altri contesti geografici, dove per la prima volta grazie al prezioso contributo della nuova classe dirigente e culturale locale, nel 1922 diede vita al primo e fondamentale congresso per l’autonomia regionale, le cui vicende poco note sono narrate nel volume.
In definitiva, seppur non capace di scardinare l’intero sistema politico, economico e sociale del Sud, come inizialmente prospettato, il socialismo con il suo avvento ed il suo apporto riuscì non solo a veicolare un messaggio di rinnovata speranze e possibilità, bensì creò le condizioni per l’avvio di un lento e progressivo processo di maturazione e cambiamento che avrebbe dimostrato appieno i suoi benefici durante il Secondo dopoguerra.
Giuseppe Iglieri, insegna Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze umane, Sociali e della Salute dell’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale e Global History presso il Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet” dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. Dal 2016 collabora inoltre con il Cdl di Scienze Politiche dell’Università degli studi del Molise. Nel 2017 è stato Visiting researcher presso la Columbia University di New York e per il 2021 è Visiting professor presso la Charles University di Praga. La sua attività di ricerca si incentra sull’analisi dei profili sociali, politici ed economici delle principali vicende del XX secolo, con particolare riguardo al processo di ricostruzione, italiano e europeo, del Secondo dopoguerra e al reticolato della Prima guerra mondiale. Nel 2019 ha vinto il premio di ricerca “Nuova Antologia” della Fondazione Giovanni Spadolini e il premio di ricerca “Giacomo Matteotti” della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. Fra le ultime pubblicazioni: Storia del Movimento Comunità, Edizioni di Comunità 2019; The European Federalist movements. An Italian perspective into the European integration process, in «Storie e Linguaggi», vol. 6, n.2/2020; Il Movimento Comunità e il processo di unificazione socialista (1956-1957), in «Studi Storici. Rivista della fondazione Gramsci», n.4/2020.