“La croce e la kefiah. Storia degli arabi cristiani in Palestina” di Paola Pizzo

Prof.ssa Paola Pizzo, Lei è autrice del libro La croce e la kefiah. Storia degli arabi cristiani in Palestina edito da Salerno: come si articola la presenza degli arabi cristiani in Palestina?
La croce e la kefiah. Storia degli arabi cristiani in Palestina, Paola PizzoIntanto, è una presenza antichissima, bimillenaria. Nel racconto della discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste riportato negli Atti degli apostoli si dice che, tra coloro che quel giorno accolsero la predicazione degli apostoli, c’erano ebrei provenienti da ogni nazione. Segue un lungo elenco alla fine del quale sono menzionati anche gli arabi. Altri indizi nei testi neotestamentari segnalano la presenza di cristiani tra gli arabi, nella zona siro-palestinese. Da allora, la presenza di arabi cristiani è ininterrotta nella regione. Oggi li troviamo in tutti i paesi del Medio Oriente, non solo in Palestina. Inoltre, c’è una componente di fedeli arabi nelle varie articolazioni dottrinali e rituali di cui si compone il complesso quadro delle Chiese in Oriente.

Quali vicende ne hanno segnato la storia?
Gli arabi aderirono al cristianesimo prima che all’islam. Arabi cristiani hanno abitato la Palestina e il Medio Oriente ininterrottamente fino ad oggi, ben prima dell’arrivo dei musulmani nel VII secolo. Quando comincia l’occupazione islamica della regione, si registra anche un caso singolare. Le tribù arabe rimaste cristiane, per il fatto di avere in comune la stessa ascendenza tribale con i nuovi dominatori, ebbero un trattamento fiscale di favore. Furono esentati dalla tassa riservata ai non musulmani (jizya) e sottoposti a una doppia sadaqah, la tassa pagata dai musulmani. A prescindere dall’importo della tassazione, è interessante osservare come i cristiani siano stati in qualche modo assimilati ai musulmani su base etnica. Da allora, la presenza dei cristiani è una costante nell’impero islamico. Certo, la regione ha conosciuto un’inesorabile islamizzazione. In un momento ancora imprecisato tra l’XI e il XVI secolo la demografia religiosa della regione è rovesciata a vantaggio dei musulmani, come attestano i dati raccolti dai registri ottomani. I cristiani orientali, non solo quelli arabi, diventano una minoranza nell’impero, ma non scompaiono del tutto.

Nonostante le pressioni che hanno condotto all’islamizzazione, il cristianesimo orientale ha mostrato una straordinaria forza di resilienza davanti alle difficoltà di vario tipo che la dominazione islamica ha esercitato. Con l’avvento dell’islam, per i cristiani cambiarono l’assetto statale, il regime fiscale, la pressione sociale, la condizione giuridica davanti allo stato, le limitazioni nell’esercizio del culto. Tra il VII e il IX secolo nuovi martiri offrirono la loro testimonianza fino al sangue. Il cambio di governo portò alla necessità di riorganizzare la vita delle comunità cristiane arabe e non arabe nell’impero islamico. Nonostante tutte queste difficoltà e l’assottigliarsi delle comunità, il cristianesimo non è stato sradicato del tutto in Oriente.

Anzi, la sua presenza è decisiva nei tornanti principali della storia di questa regione. Pensiamo solo al ruolo esercitato dai cristiani nello stimolare il movimento che ha portato alla rinascita culturale e linguistica del mondo arabo nell’età moderna, la nahdah, e poi al loro contributo essenziale nella promozione del nazionalismo arabo tra Otto e Novecento.

I cristiani in Oriente, anche se dopo alcuni secoli dalla conquista musulmana non sono più in maggioranza, sono testimoni di una storia di secolare convivenza all’interno dei domini dell’islam. Non così è stato per il cristianesimo nordafricano che è stato spazzato via dall’islam. L’attuale ricca articolazione delle diverse Chiese nei luoghi che ne hanno visto la nascita attesta un radicamento profondo di queste comunità nel quadro dei diversi stati islamici che si sono succeduti nella regione fino alla nascita degli attuali stati nazionali.

Quali sfide minacciano oggi il tradizionale multiconfessionalismo del Medio Oriente?
Il Medio Oriente oggi è scosso da molte tensioni in un grande gioco in cui si confrontano interessi locali, regionali e internazionali che è difficile districare. Ma una cosa appare chiara: la riaffermazione delle identità, nazionali, etniche, religiose, confessionali, sta minando il carattere plurale che aveva segnato la storia di questa regione per secoli. Le basi stesse della convivenza civile sono messe in discussione in paesi in cui i percorsi di costruzione nazionale si erano declinati all’insegna di una profonda intesa tra le diverse componenti confessionali. Altri contesti regionali sono allo stesso modo testimoni delle tensioni suscitate dal risorgere dei particolarismi o dalla riaffermazione di identità tradizionali. Questo fenomeno certamente collegato ad una reazione di paura verso una globalizzazione percepita come imposta dal di fuori ed estranea. In questo contesto, il multiconfessionalismo così caratteristico delle società mediorientali è uno dei bersagli del conflitto in corso. Si pensi, ad esempio, all’ideologia dell’Isis che non solo mirava a eliminare i non musulmani, ma anche, e prima di tutto forse, quei musulmani che non la pensavano come loro. La millenaria convivenza tra diverse etnie e confessioni religiose aveva svolto un ruolo di garanzia del carattere plurale dei paesi di questa regione che oggi rischia di venire meno.

Cosa è cambiato in Medio Oriente per i cristiani, dopo le rivolte della Primavera araba?
Occorrerebbe analizzare la situazione paese per paese. La condizione dei cristiani in Egitto non è la stessa rispetto a quella della Siria, del Libano, o della Palestina stessa. Questo perché gli esiti delle sollevazioni note come la “Primavera araba” sono stati molto diversi tra loro nei vari contesti locali, in Medio Oriente e in Nord Africa. Dal punto di vista dei cristiani possiamo notare in alcuni contesti un timore che il mutamento dello status quo potesse peggiorare la loro situazione. Le rivolte della Primavera araba, almeno nella loro fase iniziale, non si connotavano per un marcato confessionalismo, anzi, hanno visto l’adesione trasversale di molti settori, soprattutto giovanili, delle popolazioni. Tuttavia, alcuni leader cristiani si sono mostrati vicini alle leadership contestate dalle rivolte proprio per timore che l’incertezza del futuro o una rivolta che si andava connotando in senso più marcatamente islamico potesse mirare le basi della presenza cristiana. Si pensi al caso della Siria dove questo fenomeno si è manifestato in tutta la sua durezza con la proclamazione del sedicente califfato islamico dell’Isis. Una conseguenza appare comune a tutte le varie situazioni: l’instabilità crescente nella regione amplifica la propensione all’emigrazione che, come è mostrato nel libro per il caso palestinese, caratterizza maggiormente la componente cristiana della popolazione.

Quale futuro per i cristiani arabi in Palestina?
Il futuro dei cristiani arabi in Palestina si giocherà su diversi scenari. Anzitutto, c’è la sfida dei numeri, legata alla lenta ma progressiva erosione della percentuale dei cristiani dovuta all’emigrazione. Si tratta di un fenomeno costante nella storia di questo cristianesimo, ma che oggi con il perdurare di antiche questioni, come quella nazionale palestinese, o le nuove instabilità prodotte dalle crisi regionali tende a manifestarsi con più evidenza. Poi c’è da ripensare il rapporto con lo stato e il senso di una presenza e di una identità che non possono essere solo legate a una questione di numeri. Non è più tempo di affidarsi allo schema della «protezione» di queste comunità da parte dell’Occidente: è anacronistico, e non è richiesto nemmeno dalla maggioranza dei cristiani orientali. Ma non si può restare indifferenti davanti all’erosione di comunità antichissime che hanno vissuto il loro millennio d’oro tra il V e il XV secolo. D’altra parte, appare allo stesso modo anacronistico il ricorrere alla protezione del governante locale, secondo l’antica formula della dhimmah, comunità non musulmane protette nel quadro del sistema ottomano del millet. Tale formula non rende più ragione della consapevolezza maturata da queste comunità di essere parte integrante del tessuto sociale e politico dei loro paesi, alla cui costruzione hanno offerto un contributo essenziale, di modo che parlare a loro riguardo di «minoranze» appare oggi riduttivo se non addirittura offensivo. Si tratta di una coscienza diffusa anche tra le menti musulmane più aperte che considerano i cristiani cittadini a pieno diritto dei loro paesi. E lo sono i cristiani di Palestina che, come ho cercato di raccontare nel libro, hanno lottato e sofferto per la loro terra assieme ai loro compaesani musulmani, trovandosi tuttavia a dover legittimare costantemente la loro identità di arabi e palestinesi e a dare continua prova di fedeltà alla causa nazionale, allora come oggi.

Paola Pizzo è professoressa associata di storia contemporanea presso il Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze sociali dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara. ha studiato in particolare le dinamiche della convivenza multireligiosa nel Mediterraneo. Tra le sue pubblicazioni, Chiesa e islam nell’età contemporanea. Tra crisi della coabitazione e prospettive di dialogo (Roma 2008); L’islam nel Mediterraneo. L’incontro con l’Europa, le sfide della modernità (Lanciano 2010); Religion and Politics in 20th Century Egypt, (Roma 2019).

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