
Quali furono le tappe più importanti nel percorso che condusse Kant alla decisione di pubblicare quest’opera?
La Critica della ragione pratica è legata a una lunga riflessione precedente, in maniera duplice: da un lato perché sviluppa l’approccio ai problemi della fondazione della morale che Kant aveva ricercato sin da una ventina d’anni prima, e dall’altro perché dipende dalle tesi centrali della Critica della ragione pura. Le tappe principali del cammino che porta Kant a pubblicare la seconda Critica, quindi, sono le due opere precedenti a cui essa fa riferimento sin dalle prime pagine: la Critica della ragione pura e la Fondazione della metafisica dei costumi. La prima introduce una nuova concezione della ragione e della necessità di un esame che individui le condizioni della validità dei principi e dei concetti fondamentali di cui essa si serve. Con la Fondazione, invece, Kant aveva presentato una nuova prospettiva sulla morale, razionalistica e antieudemonistica, incentrata sulla tesi dell’autonomia della volontà. Senza i risultati di quelle due opere la Critica della ragione pratica non sarebbe stata concepibile.
Quali ragioni furono alla base dell’inaspettata redazione della Critica?
Al lettore di oggi la Critica della ragione pratica dà facilmente l’impressione del secondo episodio di una trilogia programmata come tale, iniziata dalla Critica della ragione pura e conclusa dalla Critica della capacità di giudizio. Questo modo di guardare all’opera ne condiziona in partenza il modo in cui la si legge: ci si attende l’esecuzione scrupolosa e sistematica di un piano prestabilito. Al contrario, per apprezzarla adeguatamente è importante tenere presente che la seconda Critica era appunto un’opera inattesa, che nel 1787 nessun lettore aveva ragione di aspettarsi. Anzi, Kant aveva dato indicazioni esplicite che escludevano che avrebbe pubblicato un libro del genere: non soltanto di una critica della ragione pratica non c’è traccia nel progetto di sistema delineato alla fine della Critica della ragione pura, ma addirittura nella Fondazione Kant aveva espressamente che non vi era bisogno di una critica dell’uso pratico della ragione. I motivi che condussero Kant a scrivere nel giro di pochi mesi un’opera tanto imprevista sono anzitutto di ordine polemico: molte obiezioni radicali rivolte contro le tesi centrali della prima Critica richiedevano una risposta, e ad esse si aggiungevano gli equivoci riguardanti le proposte della Fondazione della metafisica dei costumi. Invece di rispondere in maniera diretta, Kant decide di difendere le proprie posizioni rilanciando, ossia pubblicando una trattazione che conferma alcuni dei punti più controversi della Critica della ragione pura e integra le tesi centrali della Fondazione. Perciò quando Kant annuncia la prossima pubblicazione della nuova, inattesa Critica, scrive sempre che essa fornirà una risposta ai suoi critici migliore di qualsiasi semplice controversia.
Qual è la struttura complessiva dell’opera e quali corrispondenze e discordanze è possibile ravvisare con il modello dato dalla Critica della ragione pura?
Uno degli aspetti che fanno sì che la Critica della ragione pratica appaia, a prima vista, come la semplice, prevedibile, esecuzione di uno schema teorico già definito in precedenza è che la sua scansione è molto simile a quella stabilita nella prima Critica: le due parti si chiamano analogamente “dottrina degli elementi” e “dottrina del metodo”, e nella prima a una analitica segue una dialettica. Ma queste somiglianze sono inevitabili, nella prospettiva di Kant, perché anche nella Critica della ragione pratica si tratta di un esame della ragione, in cui tornano gli stessi momenti messi a fuoco nell’opera precedente: un’analitica che individui le condizioni a cui sono valide le operazioni della ragione, e una dialettica che esamini le difficoltà che essa genera nel tentativo, inevitabile, di abbracciare la totalità con quelle operazioni, e infine una dottrina del metodo che illustri in che modo le condizioni individuate prima possano essere sviluppate nel ragionamento. In realtà, Kant sottolinea sin dall’inizio della Critica della ragione pratica, a più riprese, i limiti del parallelismo con la struttura della Critica precedente: quei momenti vengono ripensati e assumono un ordine diverso perché vengono adattati alle caratteristiche dell’attività pratica della ragione. Anche per questo aspetto la seconda Critica non si sviluppa affatto come la riproposizione di uno schema rigido, bensì come l’evoluzione di un certo orientamento metodologico.
Quali sono le tesi principali della Critica e la loro connessione argomentativa?
Tutta la Critica ruota intorno a un’unica tesi centrale, enunciata nelle prime righe dell’opera: che la ragione pura è pratica. In questo modo Kant sostiene che la ragione sia in grado di determinare le scelte sulla base di principi non derivati da premesse empiriche. Questa unica tesi viene articolata via via, scandendone i diversi aspetti: dapprima Kant individua il principio fondamentale sulla base del quale la ragione può, da sola, determinare la volontà, per mostrare poi che da quel principio derivano direttamente anche il criterio di giudizio morale e la motivazione morale. Stabiliti questi elementi, Kant spiega a quali condizioni è possibile concepire la piena realizzazione di tutto ciò a cui la ragione attribuisce valore, ossia ciò che egli chiama “sommo bene”, riprendendo una nozione tradizionale. Da ultimo, nella parte conclusiva dell’opera, spesso trascurata, la tesi centrale che la ragione pura è pratica tocca la dimensione
Quale sviluppo ebbe la critica della ragione e della teoria morale di Kant successivamente alla Critica?
Gran parte degli scritti successivi di Kant è legata ai temi della seconda Critica per qualche aspetto. Nell’ultimo capitolo del mio libro illustro brevemente quelle linee di sviluppo. In primo luogo, dopo che con la Critica della ragione pratica il progetto della filosofia critica era stato ampliato una prima volta, un’ulteriore estensione, dapprima altrettanto imprevista, produsse una terza Critica, dedicata alla capacità di giudizio, in cui Kant tratta dell’esperienza estetica e della teleologia naturale. In secondo luogo, in seguito la tesi che la morale conduce alla religione, sostenuta per la prima volta nella Critica della ragione pratica, venne poi sviluppata da Kant in una più ampia riflessione sulla religione, in particolare nella Religione nei limiti della sola religione. In terzo luogo, sulla base delle tesi principali della Critica della ragione pratica Kant portò a compimento il progetto di una trattazione delle due discipline normative della filosofia, la dottrina del diritto e l’etica, nelle due parti della Metafisica dei costumi che arrivò infine a pubblicare nel 1797. Questa triplice prospettiva mostra chiaramente che la Critica della ragione pratica rappresenta un momento cruciale per gran parte della successiva riflessione di Kant.
Quale fu l’impatto della Critica sul dibattito filosofico successivo?
Non è facile sopravvalutare l’impatto della filosofia pratica di Kant sul dibattito filosofico successivo. Essa è tuttora un modello teorico ben presente nella discussione odierna, come attestano numerosissimi esempi, e non c’è stato alcun momento della successiva storia della filosofia morale in cui il confronto con le posizioni di Kant non abbia avuto un ruolo. Al contempo, tra la seconda metà del XX e oggi si deve riconoscere che la Critica della ragione pratica ha attirato meno attenzione della Fondazione della metafisica dei costumi. Soprattutto in ambito anglosassone (ma non soltanto), quando viene discusso il peculiare razionalismo morale di Kant si fa riferimento anzitutto all’opera più snella, incisiva e apparentemente indipendente dal quadro complessivo della filosofia critica, ossia appunto la Fondazione, che così viene riconosciuta come una delle principali opere classiche nella storia della filosofia morale. Al contrario, spesso la Critica della ragione pratica è stata percepita come la versione più sistematica e rigida della teoria morale di Kant, più compromessa con le premesse date dall’idealismo trascendentale della prima Critica. La Critica della ragione pratica esercita un impatto tanto maggiore quanto più sia tenuto in considerazione il progetto più ampio della critica della ragione, insieme con le posizioni che Kant intende difendere in filosofia morale. Perciò uno dei momenti in cui essa ebbe maggior risalto fu la discussione immediatamente successiva, nella quale autori come Fichte, Schelling e Hegel si concentrarono soprattutto sulle possibilità che ne emergevano riguardo allo sviluppo di una nuova e diversa metafisica su basi pratiche, come si prospettava nella teoria dei postulati della ragione pratica. Di seguito sono le posizioni di Kant in filosofia morale ad aver attratto il maggior interesse: un razionalismo anticonsequenzialistico che delinea un modello teorico a sé stante. In questa prospettiva, alcuni elementi caratteristici della seconda Critica, come la tesi del fatto della ragione e la più ampia presentazione della teoria del rispetto per la legge morale come peculiare movente morale, le hanno sempre garantito un’attenzione specifica, al di là della maggiore incisività della Fondazione. Così, insieme con quelli della Fondazione, gli effetti della Critica della ragione pratica sono lontani dall’esaurirsi, e continuano a fornire un un’ispirazione assai viva alla filosofia morale di oggi.
Stefano Bacin insegna Storia della filosofia all’Università di Milano. Con il Mulino ha pubblicato Il senso dell’etica. Kant e la costruzione di una teoria morale (2006), Kant e l’autonomia della volontà (2021) e Etiche antiche, etiche moderne (2010). Per Cambridge University Press ha curato The Emergence of Autonomy in Kant’s Moral Philosophy (con O. Sensen, 2019) e Fichte’s System of Ethics: A Critical Guide (con O. Ware, 2021), e per De Gruyter il Kant-Lexikon (con M. Willaschek, G. Mohr e J. Stolzenberg, 2015).