“La civiltà del cibo. Storia culturale dell’alimentazione in Età moderna” di Florent Quellier

La civiltà del cibo. Storia culturale dell’alimentazione in Età moderna, Florent QuellierLa civiltà del cibo. Storia culturale dell’alimentazione in Età moderna
di Florent Quellier
traduzione di Antonella Campanini
Carocci editore

«Dal punto di vista accademico, si definisce convenzionalmente “Età moderna” il periodo storico compreso tra la fine del XV secolo e i primi anni del XIX. Tuttavia, in che modo la nozione di Età moderna può essere considerata pertinente per isolare tre secoli nella storia delle culture alimentari europee tra un Medioevo che finisce e un’Età contemporanea che sta iniziando? Senza ombra di dubbio, alcuni fatti essenziali per la storia dell’alimentazione in Occidente permettono di delimitare questo periodo. Come momento finale, sostituiamo al decennio della Rivoluzione (1789-99) o al congresso di Vienna, che ridisegna l’Europa (1815), normalmente chiamati in causa come fine dell’Età moderna, la diffusione dell’appertizzazione (1810): questa tecnica di sterilizzazione cambia radicalmente l’antico gusto delle conserve e segna l’inizio dell’epoca contemporanea delle industrie agroalimentari.

Come inizio, in luogo del primo viaggio di Cristoforo Colombo (1492), la storia dell’alimentazione può a pieno titolo chiamare in causa innanzitutto la redazione, risalente agli anni Sessanta del XV secolo, del De honesta voluptate et valetudine di Bartolomeo Sacchi detto il Platina, che apre la pista al moderno discorso gastronomico occidentale. Come se non bastasse, si tratta del primo libro di cucina europeo (contiene ricette di Maestro Martino) a essere stampato, all’inizio degli anni Settanta di quel secolo. Oltre all’opera di Platina, occorre mettere in relazione l’inizio del nostro periodo con l’introduzione della canna da zucchero in America durante il secondo viaggio di Cristoforo Colombo, tra il 1493 e il 1494. […]

Nel contesto europeo dei libri di cucina si contano non meno di quarantaquattro incunaboli, di cui diciassette per l’Italia, sedici per la Germania, otto per la Francia e uno per i Paesi Bassi meridionali (Bruxelles), l’Inghilterra e l’Austria; nonostante ciò, la stampa non ha provocato la scomparsa della cultura del manoscritto. Durante i tre secoli di Ancien Régime troviamo ricette stampate che sono annotate e ricopiate e raccolte di ricette manoscritte che continuano a circolare nelle comunità religiose, tra le donne dell’aristocrazia europea, in seno alle corporazioni di ambito alimentare tra maestri e allievi. La storia dell’alimentazione non potrebbe limitarsi ai soli libri di cucina: le tipografie stampano anche trattati di agricoltura, di economia domestica, di buone maniere, di medicina che affrontano più o meno direttamente tematiche alimentari. Allo stesso tempo, l’allargamento storico del mondo conseguente alla scoperta dell’America e di una miriade di isole da parte degli occidentali provoca nell’alimentazione modifiche più o meno lente, ma decisive per giungere a confinare il Medioevo in un universo culinario quantomeno esotico. Le spezie si ritrovano sminuite nel loro valore. Trionfa la coltivazione coloniale dello zucchero di canna. Giungono in Europa nuovi prodotti alimentari, tra i quali tre bevande esotiche che avrebbero avuto un avvenire radioso: il tè, il caffè, la cioccolata. Si pone a quel punto l’appassionante questione dell’atteggiamento delle popolazioni di fronte a questi nuovi prodotti non menzionati dalla Bibbia, dal corpus dei trattati naturalistici antichi né dai trattati medievali di dietetica e questo spiega perché alcuni di essi, come il mais, i fagioli o il tacchino, siano stati rapidamente integrati nelle abitudini alimentari europee, mentre altri, quali la patata o il pomodoro, abbiano incontrato maggiore difficoltà a imporsi, e con notevoli differenze sociali e geografiche.

Dal Mediterraneo al Baltico, dall’Atlantico alle pianure orientali, l’Europa non costituisce un blocco alimentare monolitico, se non altro dal punto di vista della diversità dei terroirs. La presente storia dell’alimentazione sarà incentrata sull’Europa occidentale, che comprende la Penisola iberica, l’Italia, la Francia, il mondo germanico, i Paesi Bassi (sia del Nord sia del Sud) e le Isole britanniche, e in più sulle proprietà coloniali europee nelle Americhe, tra le quali le isole produttrici di canna da zucchero. […] Questo inquadramento geografico riflette la storiografia dei Food Studies per l’Età moderna, ma al tempo stesso la supremazia dell’Italia e della Francia nella storia della gastronomia europea e il ruolo delle potenze coloniali nella creazione di una prima mondializzazione alimentare.

Al primo posto nella lista delle preoccupazioni quotidiane del mondo occidentale, l’alimentazione è particolarmente adatta per realizzare una storia totale. Grazie alla storia dell’alimentazione, lo studioso si ritrova al centro della vita delle popolazioni europee, sia da un punto di vista strettamente biologico, sia culturale: mangiare è innegabilmente una necessità fisiologica, ma anche un sapere e un apprendimento, quindi una cultura. Lungi dall’essere triviale, pittoresca o aneddotica, la storia dell’alimentazione incrocia la storia sociale ed economica, politica e religiosa, della medicina e della cultura. Si occupa delle tecniche e dei savoir-faire culinari, dei produttori e dei consumatori, degli aspetti materiali e simbolici delle culture e dei modi di vita. Prende in considerazione la società nel suo insieme, il mondo rurale e quello urbano, il povero mendicante famelico e il ricco aristocratico gottoso, l’allattamento del neonato e il vecchio sdentato ormai al termine della vita, il pane dei soldati e la tavola degli ufficiali e così via. A dire il vero, nessuno degli ambiti della storia le risulta estraneo. Le pagine che seguono non costituiranno una storia della cucina o dei ricettari, ma una storia culturale dell’alimentazione che s’inscrive nella corrente storiografica della cultura materiale: in altre parole, un’antropologia storica del rapporto della popolazione europea con la propria alimentazione e con quella dell’Altro in epoca moderna. […]

Così una cultura alimentare definisce gusti e disgusti, vivande prestigiose e tabù, accostamenti di alimenti ed esclusioni. Suggerisce l’ordine del menu, il numero dei pasti giornalieri, i loro orari e i loro spazi. Decide riguardo al crudo e al cotto, al bollito e all’arrosto, alla scodella e alla forchetta. Nutre una gestualità e un atteggiamento del corpo propri del mangiare e del bere che rivelano una condizione sociale, un’educazione e un’epoca culturale, a maggior ragione dato che l’Età moderna prosegue e accelera il processo di codificazione delle buone maniere a tavola riapparso in Occidente nei secoli XII-XIII. In particolare, attraverso la sua cultura alimentare, colui che mangia svela più o meno scientemente una visione del suo corpo, dell’Altro e del mondo, il suo rapporto nei confronti della religione, delle gerarchie sociali e del potere, le sue paure e anche le sue aspirazioni […].

A partire da questi presupposti, i sette capitoli di questo libro si propongono di ricostruire le culture alimentari delle popolazioni europee tra la fine del XV e l’inizio del XIX secolo, ponendosi la questione della pertinenza della nozione di Età moderna per l’alimentazione di tutti i giorni ma anche di quelli speciali, per quella dei giorni della fame e di quelli dell’abbondanza. Affrontano la cultura della fame, pregnante e largamente ereditata dai tempi passati, ma anche lo sviluppo della prima mondializzazione alimentare, in modo da mettere a confronto continuità e cambiamenti. L’alimentazione si situa anche al centro di questioni che riguardano il corpo e la salute, le identità sociali e quelle religiose. Non saranno trascurati neppure l’approvvigionamento alimentare e i luoghi dei pasti, per concludere infine con le novità gastronomiche della tavola di Età moderna tanto dal punto di vista dei cuochi quanto da quello dei commensali.»

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