
Con quali modalità l’antico sopravvive nelle città romane lungo la via Emilia?
Le città lungo la via Emilia sono in corso di studio dall’Università di Parma entro il Programma S.F.E.R.A. Spazi e Forme dell’Emilia Romagna Antica, che le sta indagando sotto il profilo della cartografia urbana con conseguente ipotesi di ricostruzione della forma della città. Una sintesi sui dati noti in materia di topografia ed urbanistica antica nei centri lungo la via Aemilia occidentale è stata proposta nel Simposio Internazionale Fondare e ri-fondare: origine e sviluppo della città di Parma. Costruzione di un’identità policentrica lungo la via Emilia tra Parma, Reggio e Modena, a cura di A. Morigi su incarico di Comune di Parma e Università di Parma in occasione delle celebrazioni per Parma 2200 e nell’ambito del programma nazionale MMCC – 2200 anni lungo la via Emilia (www.2200anniemilia.it).. Il Programma si è fatto carico, nella dialettica, piuttosto complessa, tra antico e contemporaneo, dei problemi di percezione e interpretazione delle evidenze archeologiche e di oscillazione nella visione della città odierna, con inevitabili ricadute nel suo rapporto con l’antico. Soprattutto nei contesti, come quelli emiliani, con lunga continuità di vita, esigenza primaria è infatti la sua riconduzione dell’insediamento urbano a letture non di sintesi ma ricavate dalle dinamiche del singolo momento attuativo. Esperienze attive in questo senso sono state condotte lungo le città romane spalmate lungo il decumano della via Emilia tra centri coloniali e minori con il tradizionale strumento della carta archeologica urbana applicato estensivamente a Regium Lepidi/Reggio Emilia e Forum Popili/Forlimpopoli e per comparti specifici a Sarsina, Bononia/Bologna e nella stessa Parma. Il tema della città antica in Emilia Romagna si presta bene a questo tipo di indagine per le peculiarità della regione, che vede la gran parte delle sue città contemporanee sorgere su precedenti insediamenti antichi lungo la via Emilia romana, che la attraversa da est ad ovest. L’ossatura della città è, inoltre, rimasta in linea di massima invariata anche nei suoi esiti contemporanei per la forte continuità insediativa delle strade e degli isolati disegnati in età romana. In questo contesto di grande privilegio, l’organizzazione di centri di piano, meno condizionati dalla geomorfologia, permette di leggere bene il progetto antico. Lo spacchettamento della carta archeologica in layers corrispondenti alle fasi insediative, fotografate nella loro estensione fino al postantico, consente inoltre un esame di lungo periodo scientificamente documentato dall’evidenza archeologica e linguisticamente leggibile nelle fluttuazioni semantiche proprie delle diverse istituzioni e culture che si sono susseguite nel corso dei secoli. In questo quadro operativo, le ricerche condotte o in corso hanno consentito di far affiorare le forme via via assunte dalla città e, per loro tramite, i processi e le dinamiche di cambiamento in atto in ciascun contesto. Grandi affreschi senza prospettiva diacronica si sono così aperti alla varietà delle soluzioni urbane nel divenire delle istituzioni e degli spazi a loro riservati. Ampio credito è stato concesso, oltre ai rinvenimenti documentati, anche all’impatto della città antica in quella postantica dato il livello avanzato di cementificazione che caratterizza il Nord Italia e la scarsa presenza di resti archeologici a cielo aperto. Le acquisizioni di ciascun singolo contesto hanno poi contribuito all’elaborazione di modelli insediativi da incrociare con l’assetto istituzionale del centro per l’intercettazione di tendenze e markers regionali e sovraregionali.
Quale evoluzione ha subito la toponomastica di città e villaggi nell’Egitto greco-romano?
L’evoluzione della toponomastica di città e villaggi nell’Egitto greco-romano è assai rappresentativa delle dinamiche linguistiche che occorsero nel Paese del Nilo dopo la conquista di Alessandro Magno e l’instaurazione di un’amministrazione grecofona, sostanzialmente conservata anche in età romana. Le località già esistenti, dotate di nomi egiziani, ricevono una denominazione greca che a volte è una traduzione o un’interpretazione del significato originario del nome (spesso legato ad una divinità principale o ad una caratteristica geografica notevole), altre volte una mera traslitterazione fonetica dell’originale, che perde dunque il collegamento con tale significato originario. Le nuove fondazioni ricevono un nome greco, quasi sempre riferito al fondatore, oppure ad un sovrano con finalità onorifiche, oppure ad una divinità tutelare, e la loro versione egiziana è di solito una semplice traslitterazione fonetica dell’originale. Ne emerge dunque un Paese sostanzialmente bilingue, con fenomeni di contatto e scambio in entrambe le direzioni, anche se naturalmente la lingua amministrativa rimaneva il greco, e dunque tale doveva essere la denominazione ufficiale delle località: una certa oscillazione grafica nella resa fonetica dei nomi egiziani, nonché molti casi di toponimi multipli per una medesima località, lasciano tuttavia intendere un ambiente fluido e mai rigidamente schematizzato.
In che modo l’architettura religiosa ha condizionato la forma urbis dopo la città romana?
Come ha sottolineato Jacques Le Goff, il primo modello di città che si diffuse nell’Europa medievale fu proprio la città episcopale, e almeno già a partire dal IV secolo d.C., «a presenza di un vescovo fu per molto tempo il segno urbano per eccellenza e punto di riferimento sostanziale a livello spirituale e identitario, ma soprattutto politico e amministrativo.
Il consolidarsi del potere episcopale fu determinante perché il cristianesimo trasformasse in profondità la città nelle sue strutture e funzioni: l’area principale della città viene occupata dalle cattedrali e dalla sede vescovile. Il tessuto urbano si riorganizza intorno alle numerose chiese e i monasteri urbani e suburbani che vi vengono costruiti. Fu proprio la Chiesa, capace di raccogliere la popolazione sotto il controllo di un’autorità istituzionale ben organizzata, a risultare indispensabile nella formazione della città europea. E così, le basiliche, le cattedrali, i monasteri, i conventi, le abazie, le certose, le parrocchie, le collegiate, le rettorie, i santuari, gli oratori, le case madri, i collegi, i conservatori, gli ospizi, gli ospedali, gli xenodochi e i cimiteri andarono progressivamente a modificare e a riorganizzare in termini architettonici e di senso lo spazio urbano e quello delle zone extraurbane limitrofe ad esso. Nella “cristianizzazione” dello spazio urbano, non di secondaria importanza per il rafforzamento del processo identitario della città post-romana e per la creazione delle basi della futura città europea, fu proprio l’“urbanizzazione dei morti”. Si trattava di un processo rivoluzionario rispetto al mondo antico poiché il cristianesimo portò progressivamente i cimiteri all’interno delle mura della città.
Quale immagine della Parma medievale emerge dal racconto di Salimbene de Adam?
Salimbene nella Cronica racconta e riporta spesso cose sentite da altri, informazioni che si intrecciano a resoconti di avvenimenti dei quali il frate fu testimone. La città di Parma fotografata nei secoli XII e XIII da Salimbene de Adam è una città sorprendentemente bella, ricca di storia e che su quella storia ha costruito il suo presente e il suo futuro. I parmensi sono cittadini che amano la loro città. Questi secoli furono centrali per il processo di trasformazione urbanistica di Parma, che acquisì una fisionomia riconoscibile nei suoi punti di riferimento centrali. È infatti una città che si sviluppa principalmente attorno a due poli: quello sacro, con la cattedrale, il battistero e il palazzo vescovile, la cosiddetta Mater Ecclesia, che subirà la sua evoluzione nel corso dei secoli, e il centro politico ma prima soprattutto economico, che insisteva (e insiste tutt’oggi) nell’area dell’antico foro romano. Le mura erano l’emblema della città medievale e Parma naturalmente ne era dotata, così come lo era di complessi conventuali importanti. Salimbene racconta anche del delicato momento di passaggio dall’autorità ecclesiastica che, come in altre città era detenuto dal vescovo, al governo comunale, inizialmente appoggiato dall’imperatore Federico II. Conseguentemente il rinnovamento urbanistico ricevette un impulso di portata significativa e i centri di potere diventano tre: il potere vescovile a nord della civitas, il potere comunale con il primo Palazzo del Comune e il potere imperiale, simboleggiato dal Palazzo di Federico Barbarossa, il Palatium de Arena, edificato per sua volontà sulle rovine dell’Arena romana. Il Comune gradualmente ripensò l’antico foro romano come il centro del suo potere; la piazza, Platea nova, si arricchì di nuovi edifici, manifestazione di un potere condiviso tra i cittadini: il Palatium novum Communis, o palazzo del Torello, il Palazzo del Podestà e in seguito, sul lato ovest della piazza, il Palazzo del Capitano del Popolo.
Stefania Voce è ricercatrice presso l’Università di Parma dove ha insegnato Istituzioni di Lingua e Letteratura latina e Didattica del Latino. Attualmente è titolare del corso di Letteratura latina medievale e umanistica (L-FIL-LET/08). Dirige la Collana di Studi umanistici PhiloHumanistica. Sulle orme degli antichi; è membro del Comitato di redazione della Rivista Paideia, di Schede medievali e di Filologi antica e moderna. Membro del Comitato scientifico del Centro Studi Catulliano, socio della Società Internazionale per lo Studio del Medio Evo Latino (S.I.S.M.E.L.). I principali interessi di studio riguardano il Petrarca latino, con particolare attenzione all’Africa, il teatro medievale (le Commedie elegiache) e la lirica d’amore di età umanistica (gli studi sono rivolti in particolare a Landino, Cotta, Marullo e Pontano, tra i piu noti imitatori di Catullo). È autrice di saggi e curatele tra i quali: Francesco Petrarca. Africa libro V, commento a cura di Voce Stefania (Cesena, Stilgraf, 2008); Il De Lombardo et lumaca: fonti e modelli, (Soveria Mannelli – CS 2009); Aspetti della fortuna di Catullo nella poesia latina tra il Quattrocento e il Cinquecento: Giovanni Cotta (XV Ad sodales) In Il Liber di Catullo: tradizione, modelli e Fortleben, pp. 121-130 (2011); Cristoforo Landino Ad se ipsum (Xandra 16-17) in Paideia vol. LXIX (2014); Ancora su Petrarca e Silio Italico. Afr. V, 340-343: i Punica in filigrana?, in Studi mediolatini e volgari,vol. LXIV (2018); De Absinthio e De Ambrosia nell’Hortulus di Walahfrido Strabone. In Natura che m’ispiri. Percorsi letterari, linguistici, archeologici, geografici, a cura di Stefania Voce, (Bologna 2019); Catullo (e Petrarca) in Michele Marullo. Segmenti di un’eredità poetica, in Paideia LXXIV, 2019.