“La Cina è già qui” di Giada Messetti

La Cina è già qui, Giada MessettiLa Cina è già qui. Perché è urgente capire come pensa il Dragone
di Giada Messetti
Mondadori

«Che un governo autoritario risponda all’opinione pubblica, nonostante non debba affrontare elezioni a livello nazionale, può stupire, ma solo perché si tende sempre a trascurare quanto i leader cinesi siano consapevoli della natura non scontata del consenso che raccolgono e quindi del loro potere. In cinese, «potere» si dice 权力, quánlì, dove (力) significa «forza», mentre uno dei significati originari di quán (权) ci riporta a un oggetto: il peso mobile di calibrazione che si fa scorrere avanti e indietro sulla bilancia per trovare la posizione di equilibrio. Non rimane fisso, è modificabile e provvisorio, proprio come il peso sulla bilancia, e cambia continuamente la sua posizione per raggiungere l’equilibrio.

Nella tradizione politica cinese l’imperatore non detiene necessariamente il potere assoluto come accadeva in passato nelle monarchie europee. La sua autorità è legittimata dal mandato celeste (天命, tiānmìng), proveniente dalla suprema divinità, il Cielo (天, tiān). Il mandato del Cielo è paragonabile come concetto al diritto divino dell’assolutismo monarchico europeo, ma con delle grandi differenze. Per cominciare, può essere concesso a qualsiasi individuo virtuoso, moralmente retto e degno di adempiere al ruolo, proveniente da non importa quale strato della società. Inoltre, non è emanato da un Dio onnipotente, ma da un’entità soprannaturale molteplice, il Cielo, che, a differenza della divinità cristiana, non interviene ad hoc, ma agisce inosservata sul flusso delle stagioni.

Il sovrano, secondo Confucio, incarna spontaneamente il senso di umanità e di giustizia (仁义, rényì) e la virtù (德, ), intesa come carisma naturale ed «eccellenza morale», capaci di armonizzare i rapporti umani. «Governare» è un esercizio che comprende la responsabilità di «ristabilire l’ordine» (治, zhì), nel senso di ripristinare un equilibrio perduto, come quando si cura un organismo malato […]. Il maggior interprete del pensiero confuciano, il già citato Mencio, nel IV secolo a.C. scriveva: «Il Cielo vede con gli occhi del popolo, ode con le orecchie del popolo. È tramite il popolo che il Cielo manifesta il suo mandato». In tale concezione il tiānmìng si esprime quindi attraverso il consenso popolare, e dunque è tutt’altro che irrevocabile. Essendo l’imperatore e la dinastia in carica parti delle forze cosmiche, nel momento in cui le cose andavano male, come, per esempio, in occasione di una catastrofe naturale, di una carestia o di un cattivo raccolto, venivano ritenuti responsabili in quanto moralmente decaduti. Il popolo era quindi legittimato a «revocare il mandato», gémìng (革命), formula che ora è passata a significare «rivoluzione».

Tutta la storia cinese è scandita dall’ascesa e dalla perdita di potere delle dinastie imperiali, un susseguirsi ciclico, un insieme di periodi di ordine e di disordine in una tendenza costante al ristabilimento dell’equilibrio. La dinastia Ming, per esempio, è sorta dopo una rivolta contadina nel 1368 ed è crollata nel 1644 sotto il peso delle ribellioni interne e delle invasioni da parte di popoli stranieri, cedendo il passo al nuovo ordine dettato dalla dinastia mancese dei Qing.

Il meccanismo del mandato celeste è valido ancora oggi, in riferimento a quella che in qualche modo può essere vista come l’ultima dinastia dell’Impero cinese: il Partito comunista. Negli ultimi anni le alluvioni, i terremoti, l’inquinamento, gli scandali alimentari hanno spesso fatto crescere il malcontento nella popolazione. Anche la pandemia di Covid, qualora fosse stata gestita in maniera inefficace, avrebbe potuto segnare una prossima revoca del mandato. […]

La maggior parte dei cinesi tende a essere pragmatica e incline all’utilitarismo quando si tratta di rapportarsi con il potere. Gli aspetti positivi e quelli negativi sono continuamente messi sulla bilancia. Il benessere materiale, il miglioramento delle condizioni di vita, il rispetto guadagnato dalla nazione al cospetto degli altri Paesi compensano la censura di Internet, l’inquinamento, i metodi duri contro i dissidenti, il divieto di affrontare in pubblico determinati temi politici. Finora, ha pesato di più il piatto che contiene i meriti del ceto politico. Lo Stato può ancora beneficiare della legittimità derivata dalle sue buone prestazioni e dal patto sociale implicitamente sancito subito dopo il massacro di piazza Tienanmen: il partito si impegna a migliorare la vostra vita, ad accrescere le vostre libertà individuali e a garantire la vostra sicurezza ogni giorno; in cambio voi cittadini rinunciate ad alcune libertà personali.

Negli ultimi quarant’anni, da quando, alla fine degli anni Settanta, Deng Xiaoping ha inaugurato il periodo delle riforme, il Paese ha vissuto un inedito periodo di stabilità rispetto al resto del Novecento: per molti aspetti la Cina ha già superato gli Usa come la più grande economia mondiale, il suo Pil è cresciuto a due cifre fino a dieci anni fa, circa 750 milioni di persone sono uscite dalla povertà, non esistono più carenze alimentari, le infrastrutture (tratte ferroviarie ad alta velocità, autostrade, ponti, porti e aeroporti) sono ormai più avanzate di quelle del resto del mondo sviluppato, più di un miliardo di cittadini possiede uno smartphone e usa Internet, senza contare che un cinese di oggi è sicuramente più libero di un cinese vissuto ai tempi della Rivoluzione culturale o in epoca maoista.

In assenza del metro elettorale per verificare il consenso, il Partito comunista da un lato è vigile ai limiti della paranoia e reagisce contro ogni potenziale dissenso utilizzando anche metodi repressivi se si sente in pericolo, ma dall’altro sa di dover rispondere quanto più possibile alle richieste dei cinesi. Nel bene e nel male, quindi, rimane in ascolto, e questa capacità di captare e intercettare il tasso di soddisfazione del Paese è una delle ragioni che spiegano perché in Cina gli indicatori della fiducia nel governo siano così alti. […]

Il principio del mandato celeste è collegato a un’altra caratteristica centrale nella tradizione politica del Dragone: la meritocrazia. La Cina imperiale per secoli ha selezionato i funzionari che assistevano gli imperatori nell’amministrazione del potere non in base al diritto di nascita, ma soppesandone l’effettivo valore attraverso il sistema degli esami imperiali. […]

Gli esami imperiali sono stati aboliti nel 1905, sei anni prima della caduta della dinastia Qing, ma in realtà la modalità di selezione per merito sopravvive ancora oggi, perché dagli anni Novanta è stata ripristinata nella scelta dei funzionari politici. I tecnocrati che decidono la rotta del Dragone nel XXI secolo sono ancora espressione di un sofisticato e severissimo processo selettivo. Non è tuttavia corretto affermare che i cinesi ritengano infallibile la loro classe dirigente. In realtà, sono stigmatizzate la frequente corruzione e gli altri esempi di malcostume di molti suoi membri influenti ed è oggetto di critica la sua tendenza all’autoconservazione. Prevale però in maniera netta chi apprezza la sostanza inscalfibile della crescita del benessere personale, nel contesto di un inedito peso internazionale acquisito dal Paese. […]

Il partito, dal canto suo, si pone l’obiettivo di guidare il popolo e di sopravvivere. Per farlo, aggiorna nel tempo il suo impianto dottrinale (l’ideologia maoista è stata contaminata da elementi di capitalismo e liberismo) e cerca sempre nuove strategie per legittimarsi. Così come, dopo le tragedie del Novecento, l’Occidente ha interiorizzato l’incubo del totalitarismo, la Cina teme il caos (乱, luàn). Finché il partito riesce a farsi garante dell’ordine e di una forma di stabilità economica e sociale, il popolo è disposto a seguirlo e legittimarlo, anche mobilitandosi. Ma che cosa potrebbe succedere nel caso questo equilibrio saltasse è una domanda la cui risposta è sempre più urgente mentre si inaugura una nuova fase storica per il Dragone. In soli dieci anni è passato da una crescita del Pil a due cifre a una crescita stabile inferiore al 6 per cento annuo.

Il patto di lealtà tra partito e cittadini finora si è retto principalmente sul miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e sulla promessa di stabilità e sicurezza, ma con il rallentamento strutturale dell’economia e l’accumularsi di sfide nazionali e internazionali sempre più complesse, il rischio di luàn è più concreto che mai.

L’uomo che ha il compito di gestire questo delicato passaggio, cercando di non fare deragliare il treno cinese, è Xi Jinping.»

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