
Gli otto termini analizzati nel volume rivestono tutti un ruolo centrale nel discorso politico cinese odierno. Sono concetti ricorrenti nei discorsi pronunciati dell’attuale dirigenza della Repubblica popolare cinese guidata da Xi Jinping.
Il motivo per cui ho scelto di analizzare queste otto parole e non altre è duplice. In primo luogo, la loro complessità semantica: riflettendo sul significato di ognuna di queste parole mi sono resa conto di quanto fosse complesso cercare di stabilirlo e su come in realtà ognuno di questi termini implicasse obiettivi politici ben precisi, alcuni dei quali perseguiti proprio grazie alle loro sfumature semantiche.
In secondo luogo, queste otto parole creano una sorta di mini-vocabolario utile a capire le dinamiche sociali e politiche della Cina contemporanea. Questo piccolo vocabolario non ha affatto la pretesa di essere esaustivo né di presentare in modo esauriente le molteplici complessità che caratterizzano la società cinese odierna. Vuole, piuttosto, fornire alcune coordinate e stimolare la riflessione, non trascurando le connessioni che legano la Cina al resto del mondo, e mettere in luce come alcuni dei paradigmi fondanti riscontrabili nella società cinese odierna non siano affatto estranei alle nostre realtà.
Quali sono le novità dell’attuale dirigenza di Xi Jinping rispetto alla prassi politica precedente?
Con l’attuale dirigenza guidata da Xi Jinping abbiamo assistito a un progressivo indebolimento della società civile della Repubblica popolare e a un crescente accentramento del potere politico nelle mani del leader, Xi Jinping. Sin dall’inizio dell’epoca post-Maoista alla fine degli anni ’70, la dirigenza dell’epoca, guidata da Deng Xiaoping, avviò un processo di trasformazione delle istituzioni politiche, seppur parziale e limitato, atto a scongiurare la concentrazione di potere nelle mani di un sol uomo ed evitare il ripetersi di fenomeni di disordine politico e sociale, come quelli della Rivoluzione culturale, che secondo alcune datazioni si concluse solo con la morte di Mao Zedong. Da quando Xi Jinping ha preso in mano le redini per paese, però, si è assistito a una ricentralizzazione del potere nelle mani del leader supremo e a un riemergere di espressioni linguistiche appartenenti al cosiddetto “vocabolario rosso” dell’epoca maoista.
Particolarmente significativa è la riforma costituzionale del 2018 che prevede la rimozione del limite dei due mandati presidenziali introdotto da Deng Xiaoping sin dagli anni ’80. Con questa riforma, Xi Jinping ha la strada spianata per continuare a mantenere saldo il suo ruolo guida ben oltre il decennio dei suoi due predecessori. Allo stesso tempo, Xi si è prodigato per rinforzare il controllo del Partito in diverse sfere della vita sociale: dai media alle università, è stato imposto un controllo ancor più rigido sul dibattito intellettuale e politico.
Il 2021 è il centenario della fondazione del Pcc: cosa rappresenta per il Partito e il paese l’obiettivo, fissato al 2049, di diventare fuqiang, «prospero e potente»?
Il 2021 così come il 2049, quelli che vengono chiamati nel gergo politico cinese “i due centenari”, rappresentano le date entro cui raggiungere degli obiettivi piuttosto concreti. Nel caso del 2021, l’obiettivo era eradicare la povertà assoluta nel Paese, e, com’era ovvio, il traguardo è stato raggiunto, nonostante gli ostacoli dovuti al COVID-19. Al primo dei due centenari, segue uno step intermedio: nel 2035, quindici anni prima del secondo centenario, la Repubblica popolare sarà leader nel campo dell’innovazione e dello sviluppo scientifico e tecnologico. Secondo la narrazione politica, su tali fondamenta il Paese diventerà nel 2049, al centenario della sua fondazione, un attore leader sullo scacchiere internazionale, capace di esercitare una forte influenza a livello globale.
Fuqiang, però, al di là degli obiettivi concreti, è una parola che assume un significato politico importante alla luce della storia di semi-colonizzazione della Cina tardo imperiale. Essa, infatti, era centrale nel dibattito intellettuale e politico di fine Ottocento-inizio Novecento per indicare la necessità di apprendere il sapere scientifico, tecnologico e militare occidentale in modo da salvare il paese dall’imperialismo straniero. L’uso di questo preciso termine richiama quindi all’esperienza di umiliazione e intende sottolineare come la Cina odierna non è più disposta a subire un’altra “umiliazione”.
Chi costituisce oggi la nazione cinese e che relazione intesse col termine popolo?
I due termini nazione e popolo sono due parole che hanno avuto un ruolo chiave nel processo di costruzione di un’identità collettiva cinese lungo tutto il XX secolo. Per rispondere in modo diretto alla domanda posta, la “nazione cinese” di cui parla Xi Jinping è una comunità i cui membri sono accomunati da caratteristiche etnico-razziali e che, in quanto tale, include i cittadini di origine cinese residenti al di fuori dei confini della Repubblica popolare cinese.
Nel caso di popolo, la questione appare ancor più complessa a causa delle connotazioni politiche che il termine aveva in epoca maoista. Oggi, però, gli stessi confini tracciati da nazione sembrano oggi caratterizzare anche l’identità plasmata sul termine “popolo”.
Quale importanza riveste il concetto di armonia nello sviluppo cinese moderno?
Armonia ha un legame molto stretto con il percorso di sviluppo cinese. Armonia è infatti il termine scelto all’inizio del XXI secolo per designare le politiche atte a rimediare alle ricadute dalla frenetica crescita economica che aveva caratterizzato i due decenni precedenti. Nel volume, in particolare, ho cercato di categorizzare le diverse contraddizioni da risolvere in tre fondamentali relazioni da riequilibrare: quella tra zone urbane e zone rurali, tra uomo e resto della natura e tra capitale e lavoro. In ognuno di questi tre ambiti, sono state formulate — e in taluni casi anche messe in atto — politiche con l’obiettivo specifico di risolvere le criticità. Il caso più eclatante è sicuramente la crescente attenzione nei confronti della questione ambientale e dell’impegno a ridurre l’impatto antropogenico, che è risultato nella formulazione da parte della dirigenza cinese dell’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060.
Ciononostante, è opportuno sottolineare che, sebbene l’obiettivo sia quello di rimediare ai danni provocati dallo “sviluppo”, il discorso sull’armonia non ne mette affatto in discussione i paradigmi fondanti.
Che significati assume il termine «democrazia» nel contesto cinese?
In Repubblica popolare cinese, “democrazia” ha principalmente due significati: il primo è democrazia consultiva e il secondo è centralismo democratico. Mentre il centralismo democratico è un principio comune ai partiti comunisti di stampo leninista, la democrazia consultiva è invece il frutto dell’esperienza storica del paese. Infatti, essa affonda le sue radici nell’esperienza del fronte unito che vide l’alleanza del Partito comunista cinese con altre forze politiche quando vi fosse la necessità di combattere un nemico comune.
La democrazia consultiva cinese oggi si concretizza nella Conferenza politica consultiva del popolo cinese, un organo statale formato da partiti minori e personalità apartitiche, con funzione di consultazione politica non vincolante per il Partito comunista cinese.
A questi due significati principali di democrazia, quella che è nota come “democrazia di base”, che prevede delle elezioni multipartitiche a livello di villaggio nelle zone rurali e di quartiere in quelle urbane. I villaggi e i quartieri, però, non sono formalmente considerati un livello amministrativo governativo, ma sono definite dalla Costituzione della Rpc come “organizzazioni di massa per l’autogestione a livello base”. Solo i livelli superiori rappresentano formalmente delle strutture governative di amministrazione territoriale. Questa precisazione è fondamentale per comprendere il motivo per cui i comitati di villaggio e quelli di quartiere sono l’unica componente della struttura amministrativa del Paese in cui i leader possono essere eletti direttamente dalla popolazione e non vengono invece nominati dall’alto, quantomeno formalmente.
Beatrice Gallelli, PhD, insegna Lingua e traduzione cinese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e Sociologia dei Paesi Asiatici presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Si è occupata a lungo del concetto di “sogno cinese” promosso dall’attuale presidente Xi Jinping e delle sue molteplici interpretazioni e implicazioni nella politica interna del Paese. Tra le sue pubblicazioni, si segnalano “Doing Things with Metaphors: Analysing the Use of Creative Metaphor in the Discourse on the Chinese Dream” (Annali di Ca’ Foscari, S.O., 2018); “Building a Community of Shared Destiny. The Belt and Road Initiative in the Political Speeches of Xi Jinping”, in China’s New Silk Road. An Emerging World Order, a cura di Carmen Amado Mendes (Routledge, 2018), scritto in collaborazione con Patrick Heinrich (Università Ca’ Foscari, Venezia); “From A Story of Disaster to A Story of Victory. Chinese Media Reports in the COVID-19 Crisis”, Media Narratives during the Corona Pandemic: The Asian Experience, a cura di Shubhda Arora e Keval J. Kumar, (Routledge, in corso di stampa) frutto di una collaborazione con Runya Qiaoan (Palacky University) e infine La Cina di oggi in otto parole (Il Mulino, 2021).