
di Giovanni Mario Ceci
Carocci
«La più nota agenzia di intelligence statunitense riteneva reale, realistica, probabile l’ipotesi di un’unica trama del terrore diretta e orchestrata da Mosca? Soprattutto, considerava le Brigate rosse e le altre principali organizzazioni terroristiche di sinistra italiane un tassello fondamentale di questa trama, un fenomeno dunque eterodiretto e guidato da Mosca, o le giudicava invece un fenomeno indigeno, autonomo e non controllato dall’esterno? E, più in generale, quali furono le sue valutazioni – così come degli altri principali attori politico-diplomatici statunitensi – in merito alla drammatica stagione di terrorismo che l’Italia visse dalla fine degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta? Quali furono le reazioni e i punti di vista dell’intelligence statunitense, dell’ambasciata americana a Roma in via Veneto, del Dipartimento di Stato, della Casa Bianca in merito alle bombe di piazza Fontana, alla “strategia della tensione” e ai tentativi di colpo di Stato nella prima metà degli anni Settanta? Quando a Langley, a Washington e a via Veneto iniziarono a prendere in esame e analizzare il terrorismo di sinistra? Quale fu l’atteggiamento statunitense di fronte al sequestro e all’omicidio dello statista della DC Aldo Moro? Come vennero valutate dal senior partner d’oltreoceano la risposta dello Stato italiano alle strategie eversive e l’evoluzione dei gruppi terroristici (e dei loro collegamenti internazionali) dalla fine degli anni Settanta fino al loro irreversibile declino?
Il libro intende fornire alcune possibili risposte a tali complesse domande. In particolare, mira innanzitutto a ricostruire il punto di vista, le analisi, le valutazioni della CIA in merito ai terrorismi e alle trame eversive in Italia dalla strage di piazza Fontana fino agli ultimi importanti report elaborati a Washington nel 1986. Ma non solo. Soprattutto fino al 1979 (ovvero fino a quando gran parte della documentazione non prodotta dalla CIA è consultabile), il libro cerca di accompagnare e di integrare l’analisi relativa alle posizioni dell’agenzia di Langley – che rimane naturalmente l’oggetto principale del lavoro – con un esame delle reazioni e dei giudizi anche di alcuni degli altri principali attori politico-diplomatici statunitensi: in particolare l’ambasciata americana a Roma, il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca.
Tale “integrazione” nasce da diverse ragioni. Innanzitutto, dalla volontà di collocare il punto di vista della CIA all’interno di un quadro più generale, per cogliere così anche eventuali analogie e differenze con le posizioni di altri settori del mondo politico-istituzionale americano. In secondo luogo, nasce dalla necessità. Come vedremo, la documentazione della CIA su queste vicende è assai frammentata e disomogenea: vi sono periodi in cui si registra grande attenzione e altri in cui prevalgono invece prolungati silenzi e pochissime analisi. Ebbene, la ricostruzione delle analisi degli altri attori istituzionali statunitensi ha permesso non solo di provare almeno a colmare il “vuoto” e i “silenzi” della CIA in alcuni momenti, ma anche di comprenderne le possibili motivazioni.
Infine, tale integrazione è stata ritenuta fondamentale per tentare di restituire complessità a un quadro decisamente articolato. Quando si parla di “Stati Uniti”, anche in relazione alle politiche e alle posizioni verso l’Italia, si corre il rischio di una tendenza alla semplificazione. Sulla base di alcuni lavori fondamentali dedicati alle relazioni italo-statunitensi (per limitarci a esse) nel dopoguerra – il riferimento è in primo luogo ai volumi di Leopoldo Nuti, Mario Del Pero, Guido Formigoni e Umberto Gentiloni Silveri –, il libro ha tentato di evitare questo rischio. È stato infatti opportunamente ricordato che dietro l’espressione “Stati Uniti” si cela, in realtà, «un insieme di voci e tensioni articolato e plurale, composto da diversi livelli di responsabilità e da uomini coinvolti all’interno di organismi complessi». Attraverso la prospettiva particolare delle posizioni sul terrorismo e sulle trame eversive in Italia di quarant’anni fa, la ricostruzione che si è provato a fare in queste pagine tenderebbe pienamente a confermare tale valutazione.
Il volume prende le mosse dai report e dalle analisi elaborati dalla CIA – e dagli altri attori politico-diplomatici americani – a partire dalla strage di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969 e termina con l’esame di alcuni report dell’intelligence americana di metà anni Ottanta. All’interno di questo ampio arco cronologico sono state identificate quattro fasi principali, che attraversano il volume e i suoi capitoli. Queste quattro fasi sono state individuate tenendo in considerazione due fattori-variabili principali, essenzialmente correlati tra loro: la quantità delle fonti consultabili, che non è affatto omogenea nel corso del periodo preso in esame; e il livello di interesse e di attenzione degli statunitensi verso il terrorismo e le minacce eversive in Italia.
La tesi qui sostenuta – e che verrà sviluppata nel volume – è infatti che la variazione nel tempo e il livello disomogeneo di disponibilità delle fonti non possono essere ritenuti casuali – né ricondotti meramente a problemi, che pure naturalmente ci sono e sono forse anche rilevanti, di declassificazione e quindi di accessibilità – ma sono strettamente correlati con il livello di attenzione e di interesse della CIA e degli altri soggetti politico-diplomatici statunitensi verso le trame eversive e i terrorismi italiani; e che questo livello di attenzione e di interesse – e la sua evoluzione nel tempo – dipende, a sua volta, soprattutto da quattro ragioni-variabili: a) dall’andamento della violenza terroristica in Italia; b) dallo sviluppo delle relazioni in generale tra Italia e Stati Uniti, e in particolare dal mutare delle preoccupazioni, delle priorità di Washington nei confronti di Roma; c) dall’evoluzione della percezione negli Stati Uniti in merito al terrorismo internazionale e dai mutamenti (talvolta profondi) all’interno del sistema e delle relazioni internazionali; d) dalle trasformazioni, anche importanti, all’interno della stessa CIA.»