
Occorre fare una prima distinzione fondamentale: non esiste “la” biblioteca, se non, forse nell’immaginario collettivo o negli stereotipi. E di solito in questi casi è un luogo non particolarmente allegro, silenzioso e polveroso. Esistono invece biblioteche con finalità e funzioni diverse, e ciò dovrebbe condizionare le modalità di organizzazione della biblioteca stessa, delle raccolte e dei servizi. Mi piace molto, ad esempio, la definizione data da Giovanni Solimine, quando afferma che la biblioteca è un istituto che eroga servizi a partire da una collezione di documenti, fisicamente posseduti o disponibili in rete. Non va dimenticato però che alcune biblioteche hanno anche finalità conservative, di importanza fondamentale non solo per quanto riguarda i documenti fisici, ma anche le risorse digitali, la cui conservazione è tutt’altro che semplice Infine le biblioteche dovrebbero avere anche finalità di tipo “educativo”, ossia favorire la crescita individuale e della collettività a cui fanno riferimento. In ambito statunitense, a questo proposito, sono molto interessanti le idee di David Lankes, secondo il quale le biblioteche dovrebbero essere “conversazioni”, nel senso di realtà partecipative che siano in grado di migliorare le nostre società.
I cataloghi in tutto ciò hanno come prima finalità quella di soddisfare le esigenze dell’utente; come poi lo facciano davvero e in che misura, e con quale capacità comunicativa effettiva, può essere oggetto di riflessioni lunghissime. Sicuramente il ruolo dei cataloghi come strumento di mediazione principale fra raccolte documentali e utenti è stato messo in discussione dall’avvento dei motori di ricerca, la cui apparente semplicità d’uso li rende preferibili per alcune tipologie di ricerca. Penso però che i cataloghi siano ancora strumenti di mediazione fondamentali, sicuramente migliorabili soprattutto dal punto di vista dell’interfaccia con gli utenti e del soddisfacimento delle diverse esigenze informative degli utenti.
Infine, mi auguro che la specificità e il ruolo chiave delle biblioteche, e quindi degli strumenti di mediazione che mette a disposizione, non vengano messe in discussione, soprattutto in un momento storico in cui emergono e si affermano soggetti che con altre finalità (per lo più commerciali) si occupano di gestione e accesso alle informazioni e ai documenti.
Come si sono evoluti storicamente la normativa catalografica e i principi di catalogazione?
È una domanda che va al cuore di una tematica che mi appassiona molto e alla quale mi piacerebbe dedicare ancora più tempo e studio. A mio avviso, in ambito catalografico sono tre gli aspetti che si sono dovuti affrontare, e che quindi hanno condizionato l’evoluzione storica della normativa e dei principi: ovvero il problema della gestione dell’autorialità, quello dell’unità letteraria rispetto all’unità bibliografica, cioè la necessità di collegare le stesse opere e al contempo di permettere il reperimento di una particolare edizione, e il problema della descrizione bibliografica degli esemplari, ovvero quali elementi includere in una descrizione bibliografica per permettere il riconoscimento in modo univoco dell’oggetto in questione.
La teoria catalografica sulla quale ci basiamo per stabilire i principi e le funzioni del catalogo, per catalogare e per rendere quindi fruibili i documenti agli utenti, nasce nel diciannovesimo secolo, in particolar modo in ambito anglo americano. Michael Gorman, uno degli esperti di catalogazione più importanti del secolo scorso, ha identificato tre ere nella catalogazione contemporanea, basando la categorizzazione sulle regole angloamericane: la prima, quella dei codici redatti da una sola persona, la seconda era, l’era del codice scritto da commissioni, che va dal 1908 al 1967, la terza, quella iniziata con la pubblicazione della seconda edizione delle Anglo American Cataloguing Rules. Io mi permetto di aggiungere che questa terza era è quella che si è avviata a conclusione con la pubblicazione di FRBR (Functional Requirements for Biliographic Records); è ragionevole sostenere che FRBR ha segnato l’inizio di una quarta era, tuttora in corso, che ha avuto finora il suo culmine con la pubblicazione di Resource Description and Access, da considerarsi il risultato più compiuto, e in continua evoluzione, a livello normativo, della elaborazione teorica precedente. Siamo ancora in una fase di sviluppo, e l’emergere di nuove forme di comunicazione potrebbe condizionare molto la catalogazione del prossimo futuro.
La questione dei principi di catalogazione ha visto invece uno sviluppo molto marcato negli ultimi cinquant’anni, che hanno visto il passaggio da una definizione di principi ancora legata strettamente a quanto per la prima volta stabilito da Charles Cutter, che possiamo definire il padre della catalogazione contemporanea, all’inizio del ‘900, a una più articolata definizione di principi internazionali di catalogazione, la cui ultima redazione risale a due anni fa.
Quali modelli concettuali esistono in ambito catalografico?
I modelli esistenti non sono pochi, ma sicuramente possiamo ricordare il primo e il più noto di tutti, ovvero FRBR. Il modello che ha davvero cambiato la catalogazione. In estrema sintesi FRBR: Functional Requirements for Bibliographic Records, in italiano Requisiti funzionali per i record bibliografici, è un modello concettuale basato sulla struttura entità-relazioni sviluppato per fare in modo che la comunità catalografica fosse consapevole di cosa venga descritto tramite un record bibliografico. In questo modo sarebbe stato possibile anche definire le finalità dei record in relazione ai bisogni degli utenti. FRBR individua le entità di interesse degli utenti e definisce per ciascuna di queste gli attributi e le relazioni che le descrivono e che, quindi, possono essere utilizzati per formulare una ricerca. Oltre al modello concettuale nel documento sono presenti raccomandazioni relative alle funzionalità di base che i record prodotti dalle agenzie bibliografiche nazionali devono assolvere. FRBR vuole essere però solo un modello concettuale e non è interessato a individuare le specifiche modalità di descrizione o di presentazione dei dati. Dalla pubblicazione di FRBR nel 1998, la famiglia di modelli concettuali si è ampliata, includendo altri due modelli dedicati agli aspetti specifici degli authority data (FRAD, Functional Requirements for Authority Data) e per gli authority data per i soggetti (FRSAD, Functional Requirements for Subject Authority Data). Lo sviluppo dei modelli successivi al primo ha portato l’FRBR Review Group dell’IFLA alla constatazione della necessità di una armonizzazione: nel 2017 si è arrivati alla pubblicazione del nuovo modello che “consolida” i precedenti in un unico documento coerente, chiamato IFLA LRM (Library reference model).
Cosa stabiliscono le linee guida per la descrizione delle risorse?
Riassumere brevemente cosa viene stabilito è decisamente difficile. Possiamo dire che da una parte si chiede al catalogatore di esaminare la risorsa per evidenziare gli elementi che ne permettano l’identificazione (ad esempio, titolo, responsabile intellettuale, editore, anno di pubblicazione), dall’altra di fare in modo che si possano collegare fra loro le risorse che hanno caratteristiche comuni (rappresentano la stessa opera, sono dello stesso autore, parlano dello stesso soggetto). Fare questo è mediamente più complesso di quanto possa apparire, anche forse a causa della semplificazione appena fatta.
Una breve panoramica delle linee guida può invece essere interessante per capire come si sta evolvendo la catalogazione. In estrema sintesi, la base teorica delle linee guida sta nella Dichiarazione di Principi Internazionali di catalogazione e in FRBR. Questo fa si che, ad esempio, al centro dell’attenzione ci siano i bisogni degli utenti, il soddisfacimento delle funzioni utente (trovare, identificare, selezionare, ottenere, a cui si aggiunge navigare), l’identificazione delle opere e delle diverse espressioni e manifestazioni delle opere.
Facciamo una prima distinzione: RDA, Resource Description and Access, può essere considerato un insieme di linee guida per la creazione di metadati relativi al contenuto e al supporto delle risorse; in questo modo le risorse sono indicizzate e ricercabili da parte degli utenti. Gli aspetti innovativi possono essere considerati il fatto che intende rivolgersi a un pubblico internazionale; che si basa su principi e modelli condivisi; che è indipendente dalla tecnologia usata; che è applicabile a qualsiasi tipo di media e di risorsa e in tutte le istituzioni culturali. In ambito italiano le REICAT, Regole italiane di catalogazione, mantengono una dicitura e finalità più “tradizionali”, pur essendo innovative da molti punti di vista rispetto al codice precedente. Siamo in ogni caso di fronte a un primo passo verso un nuovo modo di concepire le attività di catalogazione e di costruzione dei cataloghi. Infine RDA è stato pensato per essere utilizzabile nel web semantico, cosa che fa sì che sia uno “strumento” versatile e utilizzabile già da ora.
Quali sfide pone il web semantico alla teoria catalografica?
Non poche sicuramente. Diciamo che forse se parliamo di opportunità nuove, o di un modo diverso di affrontare la questione della catalogazione la domanda risulta meno difficile, e meno ansiogena.
Forse la sfida principale è stata il ripensamento dei dati catalografici e della loro organizzazione, non ancora del tutto avvenuta; si tratta di un questione complessa, che comprende non solo il ripensamento dei dati catalografici in sé, ma soprattutto il problema della loro codifica, ed è su quest’ultimo aspetto che il lavoro è ancora molto da fare, soprattutto data la grandissima quantità di dati catalografici codificati con modalità che non sono adatte alla realtà del web semantico e che non sempre possono essere ri-codificati con procedure automatizzate. Altre sfide più strettamente di carattere tecnico riguardano le questioni relative all’apertura verso altre realtà e alla condivisione dei dati.
Ci sono poi sfide di tipo più teorico, e che richiedono non tanto competenze tecniche quanto riflessioni teoriche sulla natura e sulla finalità delle biblioteche e dei cataloghi in un mondo radicalmente cambiato rispetto a quello a cui eravamo abituati fino a pochi anni fa, e si tratta di sfide che riguardano le modalità con cui le biblioteche comunicano con i propri utenti e soprattutto con la politica, gli stakeholder e i potenziali finanziatori. Infine si tratta di ricordare che la catalogazione è anche una questione etica. L’accesso alla conoscenza e la possibilità offerta a tutti di fruire del patrimonio documentale (non mi piace dire patrimonio culturale) sono aspetti caratterizzanti le realtà bibliotecarie e questa specificità va ribadita con forza e difesa, soprattutto, come accennavo prima, in un mondo dove realtà con finalità commerciali stanno prepotentemente invadendo la scena dell’accesso alla conoscenza e ai documenti.