
di Madeline Miller
Marsilio
La canzone di Achille della scrittrice americana Madeline Miller rappresenta un vero e proprio fenomeno editoriale: grazie al passaparola mediatico che ne ha decretato il successo internazionale, già tradotto in venticinque lingue, ha scalato anche nel nostro Paese le classifiche di vendita per rimanere stabilmente tra i bestseller. L’Autrice, che ha un dottorato in lettere classiche e ha insegnato drammaturgia e adattamento teatrale dei testi antichi all’università di Yale, rievoca nel fortunato romanzo la storia d’amore tra Achille e Patroclo, i due eroi omerici protagonisti dell’Iliade.
Sospinto dall’ondata di interesse esplosa tra i giovanissimi sui social network, in particolare su TikTok, il libro descrive magistralmente l’amicizia tra i due eroi che si trasforma poi in amore e la loro morte, che li unisce per sempre con le loro ceneri mischiate in una sola urna. «Mi sembrava che Omero stesse raccontando la fine della loro storia» – dichiara la Miller – «omettendo la sua parte più importante. Volevo raccontare l’inizio.»
Il figlio prediletto del re Peleo, il «migliore tra i greci», e il giovane figlio di Menezio in esilio a Ftia, voce narrante del racconto, crescono assieme prima di diventare amanti. Patroclo ricorda così il primo incontro: «Restai senza fiato davanti alla sua bellezza, i suoi occhi verde scuro, i lineamenti delicati come quelli di una ragazza».
Il racconto della reazione di Achille alla notizia della morte dell’amato è struggente:
«Achille fa scattare la mano per agguantare la spada e tagliarsi la gola. È solo quando la solleva vuota che ricorda: ha dato la spada a me. Poi Antiloco gli sta bloccando i polsi, e gli uomini stanno parlando. Achille non vede altro che il tessuto macchiato di sangue. Con un ruggito, spinge via Antiloco, atterra Menelao. Poi si getta sul corpo. La consapevolezza sale violenta in lui, soffocandogli il respiro. Un urlo, che lacera ogni cosa che trova sulla sua strada per uscire. E poi un altro, e un altro. Achille si afferra i capelli con le mani e se li strappa dal cranio. Ciocche dorate cadono sul corpo insanguinato. Patroclo, dice, Patroclo. Patroclo. Ancora e ancora, e alla fine il nome diventa soltanto suono. […] Ma dovrebbe lasciarmi andare. E non può farlo. Mi tiene così stretto che riesco a sentire il debole battito del suo petto, come le ali di una falena. Un’eco, l’ultimo brandello di spirito ancora imbrigliato al mio corpo. Un tormento.
Briseide corre verso di noi, il viso contorto. Si china sul corpo, i suoi adorabili occhi scuri che stillano acqua tiepida come una pioggia estiva. Si copre il volto con le mani e geme. Achille non la guarda. Non la vede nemmeno. Si alza.
«Chi è stato?» La sua voce è una cosa terribile, schiacciata e in frantumi.
«Ettore» dice Menelao. Achille afferra la sua gigantesca lancia di frassino, e cerca di divincolarsi dalle braccia che lo trattengono.
Odisseo lo afferra per le spalle. «Domani» dice. «Ora è dentro le mura. Domani. Ascoltami, Pelide. Domani lo ucciderai. Te lo giuro. Adesso devi mangiare, e riposarti.»
Achille piange. Mi culla, e non mangia, non proferisce parola che non sia il mio nome. Vedo il suo viso come attraverso l’acqua, come un pesce vede il sole. Le sue lacrime cadono, ma non posso asciugarle. Questo adesso è il mio elemento, la mezza vita di uno spirito non ancora sepolto.»
Un amore “censurato” dagli stessi autori antichi viene così restituito alla naturalezza con cui i greci riconobbero e accettarono l’omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo, lasciandosi così uccidere da Paride. Sarò la ninfa Teti, madre di Achille, che osteggiava inizialmente l’amore tra i due, a consentirgli di ricongiungersi per sempre, oltre il tempo e la morte.