
di Giancarlo Rinaldi
presentazione del Card. Carlo M. Martini
Libreria Sacre Scritture
«L’idea di realizzare una raccolta di brani attestanti la conoscenza che degli scritti biblici ebbero i ‘pagani’ dei primi secoli dell’impero romano ha suscitato in chi scrive da un lato entusiasmo, dall’altro un comprensibile ‘effetto paralizzante’ connesso, come si può ben comprendere, alle numerose difficoltà che la realizzazione di un tale progetto avrebbe comportato. Ne è venuto fuori alla fine questo primo parziale contributo: un indice di testi che potrà rivelarsi non inutile ai fini di una ricerca a ben più ampio respiro intesa a tracciare una ‘mappa’ più dettagliata della circolazione dei testi biblici tra i lettori non giudei, non cristiani e neanche appartenenti al vasto e variegato mondo della gnosi. Per poter offrire risultati più convincenti tale impresa avrebbe richiesto la collaborazione di una équipe di studiosi specializzati nei loro rispettivi àmbiti di competenza. La mancanza di una tale struttura e dei mezzi atti a determinarne il funzionamento, ha certamente reso più vistosi i limiti del mio lavoro; tuttavia, non è valsa ad impedirmi dal proporre all’attenzione dei lettori, con il materiale qui offerto, il tema senz’altro nuovo della penetrazione dei testi biblici negli ambienti pagani.
I testi e le brevi note di commento che qui presentiamo costituiscono un capitolo all’interno della vasta ed affascinante ricerca relativa allo scontro tra la cultura classica, la tradizione giudaica e la fede cristiana. […] Non possiamo qui rievocare gli eventi ed i profili principali che hanno caratterizzato questo scontro di grande portata storica; ci sembra tuttavia di poter rilevare che esso, pur se ebbe come principale terreno di battaglia le dottrine peculiari del cristianesimo, nondimeno non potè prescindere da un confronto sulle Sacre Scritture, giacché queste, sin dai primi tempi della fede, hanno costituito la base stessa dell’edificio cristiano. Tale confronto fu portato avanti sovente con meditata acribia, come si evince dalle ‘obiezioni storiche’ raccolte dal Nestle e dalla lettura dei testi che qui presentiamo. Celso, Porfirio e Giuliano, per citare i tre principali esponenti del fronte pagano, erano ben consci del fatto che per combattere la nuova fede bisognava corroderne il fondamento: la fiducia nei suoi testi sacri. Sulla scorta di una rilettura di quel che rimane di questi tre autori non sarebbe azzardato affermare che la parte più meditata e pungente delle loro polemiche è, in un modo ο nell’altro, connessa a riferimenti alla storia ο al testo della Bibbia.
Non mancano studi tendenti ad analizzare la presenza dell’eredità classica negli autori cristiani dei primi secoli. Credo però che lo stesso non si possa affermare per quanto riguarda l’aspetto opposto, ma complementare, il problema cioè della penetrazione dei testi biblici negli ambienti pagani. Non è più possibile raffigurarsi la vita culturale dell’impero romano senza tener conto della grande circolarità d’idee, della profonda compenetrazione di popoli, tradizioni, lingue e fedi più diverse. Pagani, giudei, cristiani e gnostici vivevano infatti gomito a gomito nelle strade affollate di grandi centri urbani come Roma, Alessandria, Efeso ed Antiochia; essi frequentavano le stesse scuole, militavano sotto le stesse insegne, contraevano legami coniugali. A Roma, nella sinusia plotiniana, accanto ai testi di Platone, letti e commentati con religiosa attenzione, circolavano trattati gnostici di varia provenienza e non era ignoto neanche il quarto evangelo. Ancor prima, del resto, durante l’epoca dei Severi, sempre in questa città, un cristiano, Sesto Giulio Africano, era stato preposto alla biblioteca del Pantheon; sarebbe forse azzardato ritenere che in quest’ultima siano stati allora messi a disposizione dei lettori i libri sacri del giudaismo e del cristianesimo? E che cosa pensare delle biblioteche d’epoca post-costantiniana?
È innegabile, tuttavia, che per il lettore pagano, sia filosofo che uomo di media cultura, i testi biblici risultavano inaccettabili. Ancor prima di formularne un giudizio sul contenuto, infatti, a condannarli bastava il loro stesso stile disadorno, secondo i canoni della prosa d’arte antica, le loro pagine infarcite di nomi strani e dal suono talvolta ridicolo. E tuttavia, in tale epoca la chiesa andava costituendo proprio con questi testi un ‘corpus’ normativo e vincolante: il canone biblico. Gli scrittori pagani, se non in pochissimi casi eccezionali, fecero riferimento ai testi biblici soltanto nell’ambito di un discorso polemico o, comunque, di giudizi sprezzanti sulla fede nel Dio d’Israele o in Gesù.
Ma come, ed attraverso quali canali i pagani poterono venire a conoscenza delle scritture giudaico-cristiane? La risposta non è semplice e deve necessariamente tener conto di diversi fattori tra i quali, non ultimo, la scomparsa delle opere anticristiane decretata dalla chiesa oramai vincitrice. Le Scritture, in ogni caso, venivano ordinariamente proposte all’attenzione del pubblico pagano da parte di chi vi aveva creduto. La fede ebraica, e con essa i suoi testi normativi, si diffondeva con le stesse modalità con cui le altre religioni orientali dilagavano nei confini dell’impero. […]
Mi sembra significativo il fatto che l’epoca delle accuse popolari contro il cristianesimo, già durante il principato di Marc’Aurelio, sembra volgere al termine per lasciar spazio a quegli attacchi di intellettuali nei quali una componente notevolissima (senz’altro la principale in Porfirio) è costituita dall’impegno nel mostrare le contraddizioni e gli errori contenuti nelle Scritture. Queste critiche vennero formulate in opere di dichiarato carattere anticristiano e, pertanto, sono per noi reperibili soltanto molto parzialmente, condannate dall’autorità statale divenuta ufficialmente cristiana o dai normali meccanismi di censura operanti nel corso della trasmissione del patrimonio letterario dell’antichità pagana. Delle accuse mosse nei riguardi delle Scritture da parte dei difensori della paideia tradizionale abbiamo dunque notizia attraverso le confutazioni degli scrittori cristiani; è esemplare a tal proposito la vicenda del trattato di Celso i cui frammenti possiamo ora leggere soltanto nella confutazione di Origene. Questa situazione rende la ricerca ancor più difficile ma non può certo autorizzare lo studioso della tarda antichità a tralasciare gli echi, quanto si voglia brevi e lontani, di questi vetusti conflitti.»