“«La Bibbia degli Italiani». Dante e la Commedia dal Trecento a oggi” di Alfredo Cottignoli

Prof. Alfredo Cottignoli, Lei è autore del libro «La Bibbia degli Italiani». Dante e la Commedia dal Trecento a oggi, pubblicato da Giorgio Pozzi Editore: come si sviluppa il culto risorgimentale di Dante?
«La Bibbia degli Italiani». Dante e la «Commedia» dal Trecento a oggi, Alfredo CottignoliQuella dell’attualità del culto risorgimentale di Dante, a cui sono dedicati i capitoli centrali dei venti complessivi che compongono il libro (ossia l’VIII, Foscolo, Berchet, Mazzini e l’amor patrio di Dante, il X, Dantismo e unità nazionale: l’evoluzione di un mito risorgimentale, e l’XI. «Per l’inaugurazione del monumento a Dante in Trento». Conferenza inedita di Cesare Battisti), è appunto l’idea forte su cui esso poggia. Non a caso, il suo titolo si richiama proprio ad una felice definizione patriottica della Commedia del ligure Anton Giulio Barrili, che, in un suo corso dantesco di fine Ottocento presso la Scuola di Magistero di Genova, ben additò nel poema non già un’opera divisiva e di parte, bensì il «libro dell’alleanza», ovvero il simbolo stesso dell’unità nazionale, in cui tutti gli Italiani potevano (e ancora possono) quindi riconoscersi, come attestano queste sue ispirate parole:

«Amar Dante è come amare la patria, poiché Dante è l’istessa unità intellettuale della nazione. Grande potenza di un nome e di un libro che collega e raffida tante sparse tribù! Per questo rispetto la Divina Commedia è veramente la Bibbia degli italiani, i quali tanto più devono stringersi al libro dell’alleanza, quanto più viva la guerra per strapparci da lui.»

Era un’equilibrata declinazione, questa del Barrili, della lettura, eminentemente politica e civile della Commedia, via via affermatasi negli anni postunitari e specie nell’ultimo ventennio del secolo, che naturalmente si collocava sulla scia di quel culto risorgimentale di Dante, condiviso dai classicisti più illuminati (si pensi, oltre che al Foscolo, al Monti e al Perticari) non meno che dai romantici (dagli uomini del «Conciliatore» al Mazzini), come padre della nostra lingua e profeta della nazione italiana, che il nostro irredentismo avrebbe trasformato in uno straordinario mito identitario, emblema di un forte sentire collettivo, su cui ancora si fonda, a sette secoli dalla sua morte, il culto nazionale del sommo poeta. Il che conferma anche il ruolo rivoluzionario esercitato dagli intellettuali del nostro primo Risorgimento nella creazione di un canone patriottico, tramite un pantheon di autori esemplari attorno a cui aggregare il popolo italiano: a cominciare da due grandi esuli e padri della patria, quali il Foscolo e il Mazzini, per giungere sino al martire trentino Cesare Battisti, che, almeno nel primo getto di una sua giovanile conferenza dantesca del 1896 (allestita in vista dell’inaugurazione del monumento al poeta di Cesare Zocchi, a cui è dedicata la copertina del libro), asseriva che «la Commedia di Dante fu agli italiani, come la Bibbia ai profughi israeliti, simbolo di patria e di nazionalità negli anni dell’universale avvilimento».

In che modo i più antichi cultori di Dante, quali Giovanni Boccaccio e il suo allievo Benvenuto da Imola, provvidero ad alimentare il mito nazionale dantesco?
Non vi è alcun dubbio sul contributo fondamentale dato, sin dalla metà del Trecento, alla fortuna di Dante e del suo poema, da Giovanni Boccaccio (che della Commedia e di altre importanti opere dantesche si sarebbe fatto, addirittura, prezioso copista), prima con la sua vita di Dante (nota come Trattatello in laude di Dante), poi con le sue più tarde Esposizioni sopra la Comedia, ovvero con quella pubblica lettura fiorentina del poema (purtroppo interrotta nel 1374, all’altezza di Inferno XVII) che vide tra i suoi frequentatori il magister romagnolo Benvenuto da Imola, già lettore assiduo di auctores antichi e moderni (quali Lucano, Virgilio e Petrarca), il cui straordinario Comentum integrale del poema  – riscrittura autoriale delle sue lezioni bolognesi e ferraresi del 1375-1376 – riecheggia di devoti richiami proprio al suo venerabilis praeceptor Boccaccio, come al responsabile di quella sua fatale conversione a Dante, che lo avrebbe indotto a farsi, a sua volta, appassionato esegeta della Commedia, e ad interpretarne, come nessun altro, l’intima natura didattica. A Boccaccio e a Benvenuto, come ai due principali cultori trecenteschi di Dante, sono, infatti, dedicati i primi cinque compatti capitoli del libro (I, Boccaccio biografo «ravennate» di Dante, II. Boccaccio lettore di Dante: le «Esposizioni sopra la Comedia», III, Echi del Boccaccio biografo ed esegeta di Dante in Benvenuto, IV, «Auctor» e «lector» in Benvenuto lettore di Dante, V, Uno «straordinario viaggio esegetico»: Benvenuto «magister» ed esegeta della «Commedia»). A riprova del rilievo assoluto della biografia dantesca del Boccaccio (mai priva di un fondo di verità, anche quando sembra indulgere ad un gusto novellistico) – frutto, qual è, di un grande scrupolo documentario, che condusse il futuro biografo a consultare (oggi diremmo: “intervistare”) la cerchia degli amici, oltre che dei concittadini, parenti e discepoli del poeta (da Giovanni Villani ad Andrea di Leone Poggi, dal notaio fiorentino Dino Perini ai notai ravennati Pietro Giardini e Menghino Mezzani), oltre che a soggiornare a lungo e più volte a Ravenna, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “ravennate” – basti qui dire che alla sua prima, più ampia, redazione risale, ad esempio, un memorabile elogio di Dante:

«Per costui la chiarezza del fiorentino idioma è dimostrata; per costui ogni bellezza di volgar parlare sotto debiti numeri è regolata; per costui la morta poesì meritamente si può dir suscitata» (Trattatello, I red., § 19);

nonché quel celebre ritratto fisico del poeta, che sarebbe stato alla base della iconografia vulgata, al quale si continua tuttora a far riferimento:

«Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito, in quello abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso» (ivi, §§ 111-112).

Come fu vagheggiato nel Novecento il mito della Commedia ravennate?
Fu un geniale errore quello di Giovanni Pascoli – su cui verte il cap. XII del libro (Pascoli e il mito della «Commedia» ravennate) e torna anche il successivo cap. XIII (Elegia ravennate. A un secolo dal «Dante e Ravenna» di Santi Muratori) – che, nella Mirabile visione (ultimo dei suoi volumi di critica dantesca, edito nel primo Novecento), sostenne che la Commedia fosse stata scritta per intero a Ravenna, dopo la morte di Arrigo VII, nel breve arco di otto anni, ossia dal 1313 al 1321 (mentre è ben più verisimile che la grande officina del poema sia iniziata – come oggi prudenzialmente si ritiene – almeno un decennio prima, fra il 1304 e il 1306, e che Dante non si sia stabilito a Ravenna prima del 1318, in coincidenza con la podesteria di Guido Novello da Polenta, per portarvi a compimento il Paradiso). Nulla poté, tuttavia, incrinare la ferma persuasione pascoliana che proprio la città adriatica, ove era nata la polentana Francesca da Rimini (la cui collocazione geografica è dal poeta così puntualmente descritta già in Inf. V, 97-99: «Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ’l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui»), avesse cooperato alla nascita e quindi alla stesura del capolavoro dantesco, come attestano queste sue eloquenti parole:

«O Ravenna, è un sublime vanto il tuo! La tua natura, la tua storia, la tua tradizione, le tue chiese e la tua selva, tra, giova credere, la delicata ospitalità del tuo signore e, come è certo, la affettuosa familiarità di tuoi abitanti, indigeni e forestieri, aiutarono (e sarebbe stato assai non impedire) la grandissima opera. Persino la tua postura «sulla marina dove il Po discende» fu precipua nell’ispirazione del poema» (G. Pascoli, Prefazione a La mirabile visione).

Ma, anche se non possiamo condividere, per dirla col bibliotecario classense Santi Muratori, una così totalizzante e municipale opinione che Ravenna sia stata «la patria della Commedia» e che «tutta la Commedia, dalla selva selvaggia ed aspra e forte alla divina foresta spessa e viva, e da questa all’Empireo, fu scritta a Ravenna» (S. Muratori, Dante e Ravenna, 1921), va almeno accolta la felice intuizione pascoliana del contributo fondamentale (oggi universalmente riconosciuto dalla critica) che la città, col suo eccezionale patrimonio musivo, prima ancora che il poeta la scegliesse quale suo ultimo rifugio, dovette offrire all’ispirazione del «poema sacro», infine suggestivamente paragonato – in un memorabile passo, più eloquente di ogni altra parola e ben degno del Pascoli artista – ad una antica basilica bizantina, come quella di Sant’Apollinare in Classe, un tempo immersa in una folta pineta:

«La Divina Comedia è là, nella pineta di Chiassi. È là, ammirabile e venerabile come la tua basilica di Sant’Apollinare in Classe […]. Il bello di queste basiliche è l’insieme, è il tutto, è il complesso, è il complesso di oro vecchio e di legno putre, è il sentor d’umido e di sepolcro, è l’aria di mistero e di sogno; e di queste basiliche quale è più alta, quale è più profonda, quale è più misteriosa, quale è più ricca d’oro mezzo scomparso, di musaici mezzo rotti, di strani geroglifici, di marmi, di alabastri, di madreperle d’ogni parte venute, che il Poema Sacro?» (G. Pascoli, Prefazione, cit.)

Alfredo Cottignoli, filologo e storico della critica, già ordinario di Letteratura italiana e docente di Filologia dantesca all’Università di Bologna. Direttore degli «Studi e problemi di critica testuale» e del «Bollettino dantesco. Per il settimo centenario», le sue ricerche vanno dalla letteratura antica alla moderna, da Dante a Muratori, da Manzoni a Carducci, a Tenca. Alcuni dei suoi più recenti volumi e curatele: Fratelli d’Italia. Tra le fonti letterarie del canone risorgimentale (Angeli, 2011); Dante nel Risorgimento italiano (Longo, 2012); C. Tenca, Per l’unità delle arti. Saggi di critica romantica (1838-1880) (Angeli, 2016); Dante e Ravenna (Longo, 2019).

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