“La badessa e le brache”: riassunto e parafrasi

La badessa e le brache è la seconda novella della nona giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio e narra la storia di una badessa che, per sorprendere una monaca a letto con il proprio amante, si alza in fretta e furia dal letto. Muovendosi al buio, crede di mettersi in testa il velo monacale e invece, senza accorgersi dello scambio, si pone in capo le braghe del prete che stava con lei. La cosa non sfugge all’accusata, che gliela fa notare, ottenendo in tal modo non solo di essere scagionata, ma anche di potersi da quel momento incontrare liberamente con il proprio innamorato.

In un monastero dell’Alta Italia viveva una monaca nel fiore degli anni e di sangue nobile, di straordinaria bellezza di nome Isabetta. Un giorno si recò al parlatorio per incontrare un suo parente che era accompagnato da un bel giovane, di cui la suora s’innamorò a prima vista, ricambiata. I due riuscirono ad incontrarsi di nascosto e non una volta soltanto, ma parecchie.

Una notte, senza che nessuno di loro due se ne accorgesse, una delle altre suore vide l’uomo separarsi da Isabetta e andarsene. Subito la monaca riferì la cosa a parecchie compagne e tutte furono d’accordo: bisognava denunciare il fattaccio alla badessa. Costei si chiamava madonna Usimbalda ed era considerata da tutti una santa donna.

Le compagne decisero di attendere allora di coglierla sul fatto, cosa che puntualmente avvenne. Le monache corsero alla camera di madonna Usimbalda, picchiarono forte all’uscio e, senza neppure attendere che lei rispondesse, le dissero: “Signora, alzatevi subito! Isabetta è insieme a un uomo.”

Quella notte, la superiora era in compagnia di un prete, uno che spesso e volentieri si faceva portare nella propria stanza, nascosto in una cassa. La badessa, temendo che le monache sospingessero la porta al punto da aprirla, si alzò dal letto in fretta e furia e, al buio, si vestì come meglio poté ma, credendo di prendere il velo monacale, per l’assenza quasi totale di luce afferrò invece le braghe del prete. Senza accorgersene, se le mise in capo e uscì fuori, richiudendo rapidamente l’uscio dietro di sé.

Così si precipitò alla cella di Isabetta, seguita dalle altre, dove trovarono gli amanti ancora abbracciati sul letto. La giovane fu presa dalle altre suore e trascinata nella sala del capitolo dove Usimbalda cominciò a lanciarle i peggiori insulti del mondo.

Isabetta, piena di vergogna e di paura, sapendo di averla fatta grossa, non sapeva che cosa ribattere. A un certo punto, però, alzò lo sguardo e notò quel che la superiora aveva in capo. Perciò, resasi subito conto di che cosa si trattasse, si sentì all’istante sollevata e rassicurata. Con un sorrisetto malizioso fece: “Signora, annodatevi prima la cuffia e poi ditemi pure quel che volete.”

La badessa si rese conto in un lampo di quel che si era messa in testa e, insieme, cogliendo gli sguardi delle presenti, fu consapevole che tutte se n’erano accorte e che lei non aveva modo di nascondere la cosa. Perciò, cambiò radicalmente tono e cominciò a parlare in un modo del tutto differente affermando che era impossibile potersi difendere dagli stimoli della carne. Quindi, concluse, da quel momento ciascuna di loro aveva il suo permesso di spassarsela tutte le volte che poteva.

Isabetta fu subito lasciata libera e se ne tornò a letto con il suo amante, cosa che fece subito dopo anche la badessa con il suo prete. Le altre monache, invece, che un amante non ce l’avevano, si procurarono di nascosto i loro piaceri amorosi come meglio seppero e poterono.

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