
Perché l’attuale modello di sviluppo è insostenibile?
Le crisi che il mondo sta attraversando ci hanno posto di fronte ai limiti economici e sociali, ma anche ambientali, che abbiamo largamente oltrepassato. Già oggi, con gli attuali consumi di risorse e di energia, servirebbe all’umanità un Pianeta e mezzo per soddisfare i propri bisogni: ad agosto, infatti, avremo già consumato tutte le risorse prodotte dalla Terra in un anno. Figuriamoci con l’auspicato aumento del benessere nei paesi più poveri. Le tendenze globali cui assistiamo mostrano dunque tutti i limiti dell’attuale modello di sviluppo. A partire dalle diseguaglianze economiche, tra e all’interno degli Stati, in costante aumento dagli anni ’70. Spesso ripeto che tutti i Paesi si devono sentire “in via di sviluppo sostenibile’, nel senso che la crescita economica, l’eccessivo utilizzo delle risorse naturali, la produzione energetica, il futuro del mondo del lavoro, la gestione dei rifiuti, la tutela dell’ambiente, l’empowerment femminile, sono tutti ambiti connessi e inscindibili da ripensare nel loro insieme perché altrimenti il sistema è destinato al collasso. Non sono catastrofista, esiste una letteratura scientifica autorevole a riguardo. Era il 1972 quando alcuni studiosi del Massachusetts Institute of Technology (Mit), ipotizzarono che, dati i tassi di crescita della popolazione, della produzione, dell’inquinamento e dello sfruttamento delle risorse, intorno alla metà di questo secolo sarebbe avvenuto un tracollo economico, sociale e ambientale. Senza sottovalutare gli enormi miglioramenti negli ultimi quarant’anni nelle condizioni di vita di milioni di persone uscite dalla povertà estrema, non si può però negare che siamo esattamente sulla traiettoria definita quarant’anni fa.
Quali modelli di sviluppo esistono?
In estrema sintesi, accanto al modello di economia lineare, ormai ritenuto inadeguato perché non tiene conto della necessità di una gestione integrata di tutto il processo produttivo, dallo sfruttamento delle materie prime allo smaltimento dei rifiuti, si sta confermando l’economia circolare, sistema che prevede il riutilizzo dei rifiuti e la loro re-immissione nel processo produttivo, limitando al massimo gli scarti e l’impatto sull’ambiente. Questo sistema, oltre ad offrire nuove opportunità, anche occupazionali, è vantaggioso anche per il nostro Paese perché consente una minor dipendenza dai rifornimenti di materie prime dall’estero. È certamente un modello più sostenibile dell’attuale e va verso quel cambiamento di paradigma auspicato fin dal 1987 quando il Rapporto Brundtland introdusse il concetto di sviluppo sostenibile, individuando i quattro pilastri su cui si fonda il concetto di sostenibilità, cioè l’ambiente, l’economia, le istituzioni e la società. Anche le imprese hanno capito che lo sviluppo sostenibile è l’unica opportunità di crescita possibile. In Italia, a metà del 2017, 17 aziende quotate alla Borsa Italiana e 30 gestori internazionali SRI (Socially Responsible Investors) si sono incontrati per definire l’applicazione dei principi ESG (Environmental, Social, Governance) ai diversi business, mentre a novembre un gruppo di imprese italiane leader del Made in Italy hanno presentato in Confindustria un “Manifesto” a sostegno di un’economia circolare “in grado di favorire l’affermazione di nuovi modelli di business più efficienti e sostenibili, coinvolgendo numerosi attori lungo l’intera catena del valore”. Insomma, qualcosa si sta muovendo.
In che modo è possibile agire contro fame, povertà, disuguaglianze e a favore del clima, della pace e della salute?
La strada per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile globale, capace di concorrere al benessere e alla realizzazione individuale di ogni cittadino, entro i limiti oggettivi del Pianeta, non è semplice. Questioni come la fine della fame nel mondo, la drastica riduzione di emissioni di CO2, la conservazione della biodiversità, la creazione di posti di lavoro dignitosi o la trasformazione delle città richiedono soluzioni complesse, ma capire che l’Agenda 2030 è lo strumento più potente fin qui elaborato è il primo passo nella giusta direzione. Come portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che attualmente riunisce oltre 200 tra le più importanti istituzioni e reti della società civile, tra cui associazioni imprenditoriali e sindacali, enti territoriali, fondazioni, università, mondo della cultura e dell’informazione, posso testimoniare un’attenzione del tutto nuova del Paese su questi temi. La sensibilizzazione e l’informazione dei cittadini appare cruciale in questo processo e il successo del Festival dello Sviluppo Sostenibile, che per il secondo anno l’ASviS ha promosso insieme i suoi partner e aderenti dal 22 maggio al 7 giugno (17 giorni come i 17 SDGs), è stata una mobilitazione senza precedenti, con oltre 700 eventi in tutta Italia per approfondire, esplorare, diffondere la cultura della sostenibilità e la conoscenza dell’Agenda 2030.
Enrico Giovannini è stato Chief Statistician dell’OCSE dal 2001 all’agosto 2009, Presidente dell’ISTAT dall’agosto 2009 all’aprile 2013. Dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014 è stato Ministro del lavoro e delle politiche sociali del governo Letta.
È Professore ordinario di Statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata” e docente di Public Management presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università LUISS. È portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS).