
di Nuccio Ordine
Bompiani
«Esistono saperi fine a se stessi che – proprio per la loro natura gratuita e disinteressata, lontana da ogni vincolo pratico e commerciale – possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità. […] Il sapere si pone di per sé come un ostacolo al delirio d’onnipotenza del denaro e dell’utilitarismo. Tutto si può comprare, è vero. Dai parlamentari ai giudici, dal potere al successo: ogni cosa ha il suo prezzo. Ma non la conoscenza: il prezzo da pagare per conoscere è di ben altra natura. Neanche un assegno in bianco potrà consentirci di acquisire meccanicamente ciò che è esclusivo frutto di uno sforzo individuale e di una inesauribile passione. Nessuno, insomma, potrà compiere al nostro posto quel faticoso percorso che ci permetterà di apprendere.»
Come afferma Ovidio, magis utile nil est artibus his, quae nil utilitatis habent, niente è più utile di quest’arte che non ha utilità (Epistulae ex Ponto, I, 5, vv. 53- 54). Il medesimo spirito anima Giacomo Leopardi: «Il suo vivo interesse per l’inutilità esprime il disagio di un letterato che si trova a vivere in una società dominata da “negozianti ed altri uomini dediti a far danari” (Pensieri, VII, p. 629).»
Ma non solo: «la logica utilitaristica si abbatte impietosa anche sulle discipline studiate nei curricula scolastici e universitari. Perché insegnare le lingue classiche in un mondo dove non si parlano più e, soprattutto, dove non aiutano a trovare lavoro?»
Non cessa allora di mantenere la sua attualità «l’accorato invito a studiare il latino e il greco, lanciato nel 1932 da Antonio Gramsci in una vibrante pagina dei suoi Quaderni del carcere: Nella vecchia scuola lo studio grammaticale delle lingue latina e greca, unito allo studio delle letterature e storie politiche rispettive, era un principio educativo in quanto l’ideale umanistico, che si impersonava in Atene e Roma, era diffuso in tutta la società, era un elemento essenziale della vita e della cultura nazionale. […] Le singole nozioni non venivano apprese per uno scopo immediato pratico-professionale: esso appariva disinteressato, perché l’interesse era lo sviluppo interiore della personalità […]. Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente.»
Non si intende tuttavia riproporre l’annosa contrapposizione tra saperi umanistici e saperi scientifici: «anche la scienza ha occupato e occupa un posto importante nella battaglia contro le leggi del mercato e del guadagno. È risaputo che da lavori scientifici considerati apparentemente inutili, non finalizzati cioè a un preciso scopo pratico, sia poi derivata un’inattesa utilità. Sarebbero state impensabili le invenzioni di Guglielmo Marconi senza le ricerche sulle onde elettromagnetiche di James Clerk Maxwell e di Heinrich Rudolf Hertz: studi, conviene ricordarlo con forza, ispirati esclusivamente dal bisogno di soddisfare una curiosità puramente teorica.»
Il libro contiene infatti anche un saggio di Abraham Flexner del 1937, tradotto per la prima volta in italiano, in cui lo scienziato-pedagogo americano presenta un affascinante racconto della storia di alcune grandi scoperte «per mostrare come proprio le ricerche scientifiche teoriche considerate più inutili, perché prive di qualsiasi scopo pratico, hanno inaspettatamente favorito applicazioni […] rivelatesi poi fondamentali per l’umanità.»
È illuminante, in conclusione, la riflessione di Eugène Ionesco in una conferenza tenuta nel febbraio del 1961: «L’uomo moderno, universale, è l’uomo indaffarato, che non ha tempo, che è prigioniero della necessità, che non comprende come una cosa possa non essere utile; che non comprende neppure co- me, in realtà, proprio l’utile possa essere un peso inutile, opprimente. Se non si comprende l’utilità dell’inutile, l’inutilità dell’utile, non si comprende l’arte; e un paese dove non si com- prende l’arte è un paese di schiavi o di robots, un paese di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spiri- to; dove non c’è umorismo, non c’è il riso, c’è la collera e l’odio.»