
L’uomo senza qualità non è un romanzo, ma non potrebbe essere nient’altro che un romanzo: e da dove si dovrebbe cominciare a leggere qualcosa che è un romanzo solo perché non può essere altro? Semplicemente, e tradizionalmente, dal protagonista: Ulrich, un uomo giovane e colto, fisicamente dotato e senza problemi economici, che vorrebbe redigere «un inventario generale dello spirito» per stabilire se davvero tutto il lascito etico e intellettuale del passato abbia un senso nella nuova epoca. A questo Ulrich nel corso del romanzo accadono eventi; lui osserva, pensa e fa accadere eventi, incarnando come una personalità-prisma la parte del libertino, dello sportivo, del coraggioso, del matematico, dell’intelligente, del perplesso; e attraverso di lui noi entriamo nei mondi dell’Uomo senza qualità: nelle vicende che sono a volte racconti in tono epico e a volte racconti in forma di feuilleton, a volte racconti saggistici e a volte racconti dialogici da romanzo borghese, a volte racconti politici e a volte racconti espressionisti: vicende che sembrano disegnare personaggi che sono, di volta in volta e spesso in relazione tra loro, industriali e politici, mantenute e burocrati della buona società, artisti presunti e domestiche di colore, teorici sottili e psicopatici stupratori. Noi lettori, per muoverci tra questi personaggi e i loro romanzi, siamo costretti a seguire l’uomo «sperimentale» Ulrich, un uomo che è senza qualità perché non accetta l’idea comune di verità, e che vorrebbe fare della possibilità, sotto tutte le sue forme, la propria guida: «Se il senso della realtà esiste, e nessuno metterà in dubbio il suo diritto all’esistenza, allora deve esistere anche qualcosa che si può chiamare senso della possibilità. Chi ne è dotato, non dice ad esempio: “Qui è accaduto o accadrà o deve accadere questo oppure quello”, bensì: “Qui potrebbe o dovrebbe accadere un certo evento”; e se, di una cosa qualsiasi, gli si spiega che è come è, allora penserà: “Certo, ma potrebbe benissimo essere diversa”. Quindi, il senso della possibilità è addirittura definibile come la capacità di pensare a tutto ciò che potrebbe essere e di non ritenere ciò che è più importante di ciò che non è…».
È qui, in questa frase, la via teorico-pratica che porta dentro L’uomo senza qualità: la placida terza persona che racconta il romanzo non è placida, perché la sua placidità è quella della prosa di Musil, una prosa che deborda in subordinate dei periodi principali, subordinate che si allontanano sempre dal centro e che a volte creano il centro in esse stesse, in una frase lontana dalla sua origine, spesso lontanissima: non è però un artificio di stile, quello di questa prosa, ma è il movimento della possibilità portata all’estremo che si comunica alla forma stessa del pensiero romanzesco. Siamo abituati a parteggiare, nei romanzi: ma nell’Uomo senza qualità parteggiare è quasi sempre impossibile, perché nessuno sembra possedere una ragione esclusiva, e anche Ulrich stesso si lascia andare talmente all’estremismo nel suo sospendere il giudizio, e praticando alla lettera l’epochè fenomenologica di quell’Husserl che Musil studiò molto seriamente, da risultare solo uno dei tanti che vagano alla deriva nelle vicende del romanzo. […]
Era accaduto anche altro, però, perché all’improvviso l’accadere spettrale aveva accolto il suo contrario: il romanzesco puro. Nel racconto era accaduto che Ulrich, […] aveva incontrato una sorella che non sapeva di avere: l’aveva incontrata in una situazione da romanzo d’appendice, fra cassetti forzati e eredità sospette. Proprio da quell’incontro comincia nell’Uomo senza qualità uno straordinario viaggio romanzesco, che non ha in realtà né luogo né tempo: Ulrich e la sorella Agathe, in lunghe descrizioni e in dialoghi estenuanti che sembrano voler rimandare in eterno il culmine narrativo, si imbarcano nella scoperta di quello che Ulrich chiama «l’altro stato»: l’altro stato è la condizione in cui ’Aṭṭār e Angelus Silesius, Enrico Suso e santa Caterina da Genova, Meister Eckhart e Maria Maddalena de’ Pazzi, Juan de la Cruz e tutti i mistici hanno vissuto in alcuni momenti o in alcuni periodi della loro vita: è lo stato mistico di unione con un Dio che è tutto, ed è lo stato estatico che porta fuori di sé offrendo a chi vi arriva una visione completamente diversa del mondo. Ma in queste discussioni tra i due, che dovrebbero portarli verso quello che Musil chiama «il Regno Millenario», vale a dire niente di meno che il Paradiso ritrovato sulla terra, accade che Ulrich e Agathe, e lei con più coscienza, si innamorino: ma proprio mentre il romanzesco si insedia nel libro, allo stesso tempo conflagra in esso e fa arrivare al collasso ogni romanzesco, senza quasi rumore. I due fratelli iniziano per piccoli passi ad amarsi e a desiderarsi: allora tutto ciò che accade, dalle letture dei mistici al versarsi un bicchiere d’acqua, comincia a essere significativo, molteplice, totalmente aperto alla possibilità: l’amore sessuale diventa un parallelo dell’estasi mistica, e l’estasi mistica si impregna di erotismo. È morale? È immorale? La coppia di gemelli che cerca di tornare all’Ermafrodito originario è anche una coppia di fratelli borghesi realistici: di qui il divampare paradossale del ritardando narrativo, il rimandare che Musil fa di ciò che ormai lui stesso desidera attraverso Ulrich: l’incontro con la sorella gemella che lo conduca al Regno Millenario.
A un tratto le infinite possibilità che reggono L’uomo senza qualità si sono bloccate: ce n’è una sola, l’eros che salva e che, come Dio secondo Juan de la Cruz, non si può definire né buono né malvagio, perché dove c’è l’amore non c’è la legge. È a questo punto che nel romanzo, in un pulviscolo musicale densissimo, avviene una scena madre: i due fratelli si stanno preparando per andare a una serata mondana; sono così abituati a stare insieme, che si vestono l’uno in presenza dell’altro; e ecco, in un fruscio di sete e sottovesti e calze, accade che Ulrich morde la spalla di Agathe: un morso che non ha paragoni erotici nella letteratura del Novecento, perché nulla si è consumato tra i due fratelli ma lo spossamento che li prende dopo il morso è lo spossamento totale di dopo l’amore. Ed è inutile provare a spiegare o raccontare ancora, qui: bisognerebbe che il lettore andasse a verificare di persona, per accettare o rifiutare di persona il brivido. Ciò che soprattutto è sorprendente nel vuoto o nella pausa abnorme che si apre nell’Uomo senza qualità nei capitoli che dovrebbero portare verso il Regno Millenario, è l’ingresso nel romanzo dell’elemento autobiografico, che arriva travestito secondo la legge romanzesca: Musil racconta l’amore di Ulrich e Agathe attingendo, nel tempo reale in cui la vive, alla sua storia d’amore con la moglie, ma, allo stesso tempo, scrive quella storia d’amore come se evocasse e costruisse il luogo fantasmatico per vivere la sua vicenda reale con Martha su un altro piano, nell’altro stato. E sorge una domanda: ma anche ciò che avviene nella storia di Ulrich e Agathe è l’accadere spettrale che ammala ormai tutti, o è il dissennato tentativo di sottrarsi all’accadere spettrale in una vita vera? […]
L’uomo senza qualità è un’opera fallita, incompiuta e senza sbocchi. Musil aveva scritto: «Anche quel che si ama bisogna pensarlo così a fondo e così padroneggiarlo da farlo apparire satirico»: e se non concludere fosse stato il risultato inconsciamente satirico del non poter dire direttamente ciò che per diventare vero poteva solo essere vissuto? I due fratelli che si completano l’uno con l’altra non fanno l’amore tra loro perché lo rimandano a quando uno sfiorarsi di dita sarà una tempesta erotica, nel tempo in cui Eros benedirà non i fratelli incestuosi, ma i fratelli nello spirito che vanno verso il Regno Millenario: ma il Regno Millenario non c’è, non è possibile qui, e non ci sarà se non quando la parola quando non significherà più nulla. Sì, alla fine Musil ha pensato a fondo ciò che si ama: ma pensarlo a fondo ha fatto crollare le impalcature e le fondamenta, e tutto L’uomo senza qualità è rimasto in una forma perennemente provvisoria, indeciso tra l’offrirsi come una sopravvissuta rovina e come un lavori in corso: da quel luogo nessuna fuga è concessa, ma ogni parola e trasalimento che ne proviene chiede unicamente l’uscita da questo mondo e l’ingresso nell’altro stato: il romanzo fallito, incompiuto e senza sbocchi, è ciò che testimonia della verità dell’altro stato esattamente perché è mancato, interminabile e senza vie d’uscita: ma se così è, allora ciò che chiamiamo compiuto, e che invochiamo come scampo, è solo una forma della spettrale morte in vita che ci siamo scelti, e nulla più.»
tratto da Lettori selvaggi. Dai misteriosi artisti della Preistoria a Saffo a Beethoven a Borges la vita vera è altrove di Giuseppe Montesano