
a cura di Eugenio Garin
Laterza
«Largamente usata, l’espressione abbastanza ambigua «uomo del Rinascimento» è presente nella letteratura e nella storiografia in connessione con diffuse interpretazioni di un preciso periodo storico, appunto il Rinascimento, collocato all’incirca fra la metà del Trecento e la fine del Cinquecento, e che ebbe le sue origini nelle città-stato italiane, da cui si diffuse quindi in Europa. Quasiché allora avessero circolato in numero rilevante tipi ed esemplari umani con caratteristiche speciali, con doti e attitudini singolari, con funzioni nuove. Ovviamente, passando nella successione dei tempi dalle città italiane ad altri paesi europei, e diffondendosi in altre terre, anche tali figure umane, e tali caratteristiche, sarebbero venute mutando, e spesso anche sensibilmente. Così la diffusione di idee e tematiche proprie del Rinascimento italiano fuori d’Italia sarebbe venuta operando ancora a lungo, variamente atteggiandosi, oltre i consueti limiti cronologici, durante tutto il Seicento.
Va, tuttavia, sottolineato subito che, fino dalle origini del Rinascimento, l’idea del «rinascere», del nascere a nuova vita, accompagnò come un programma e un mito vari aspetti del movimento stesso. L’idea che una nuova età e nuovi tempi fossero ormai nati circola insistente nel XV secolo, tanto che non pochi storici, in anni non troppo lontani, vi hanno battuto a lungo, giungendo fino a considerarla un carattere distintivo dell’intero periodo. Se una conclusione del genere è molto discutibile, è invece da tenere presente che quello che rinasce, che si riafferma, che si esalta, non è solo, e non è tanto, il mondo dei valori antichi, classici, greci e romani, a cui si ritorna programmaticamente. Il risveglio culturale, che caratterizza fino dalle origini il Rinascimento, è innanzitutto una rinnovata affermazione dell’uomo, dei valori umani, nei vari campi: dalle arti alla vita civile. Non a caso quello che più colpisce negli scrittori, e negli storici, fino dalle origini, è questa preoccupazione per gli uomini, per il loro mondo, per la loro attività nel mondo. Se la famosa battuta di Jacob Burckhardt – tratta del resto da Michelet – che «la civiltà del Rinascimento scopre per prima e mette in luce l’intera, la ricca figura dell’uomo», è intrisa di retorica, e ormai divenuta quasi insopportabile, è pur vero che essa affonda le radici in una realtà in cui le storie degli uomini, i casi degli uomini, le figure e i corpi stessi degli uomini, sono centrali: in cui pittori e scultori ritraggono indimenticabili figure umane, e in cui i filosofi ripetono: «grande miracolo è l’uomo (magnum miraculum est homo)».
Chi, ora, mentalmente riandasse all’espressione analoga «uomo del Medioevo», e al vario suo configurarsi, dovrebbe tenere subito presente che, accettata la comune periodizzazione del Rinascimento, tutto diverso è, rispetto al Medioevo, il complesso dei problemi che si presentano, e l’uso stesso delle espressioni. Diverse innanzitutto, e molto, le coordinate spaziali e temporali, e strettamente connesse con i precisi caratteri culturali di un periodo ben caratterizzato, almeno in ipotesi, sul piano delle attività e dei comportamenti.
Come si è detto, il Rinascimento vero e proprio, il «grande» Rinascimento, è molto breve rispetto al Medioevo: occupa poco più di due secoli; ha origini italiane, né va confuso con fenomeni medievali, per certi aspetti analoghi, quali le molte rinascenze dall’età carolingia in poi, fiorite altrove e diverse, anche se non mancano certo analogie, e perfino influenze. In Petrarca, tuttavia, i mutamenti di una sensibilità e di una cultura sono ormai evidenti, e cercano, e trovano riscontro in eventi di risonanza profonda, ben oltre i confini nazionali e i limiti dei fenomeni letterari. […] La contestazione della donazione costantiniana non comincia certo con Valla (basti pensare a Cusano), ma Lorenzo Valla proprio non appartiene più al Medioevo, non è «uomo del Medioevo». Per le sue battaglie politiche e teologiche, per l’elogio della voluptas epicurea, per la sua dialettica e le sue «eleganze», sarà non a caso esaltato, compendiato e stampato, come il maestro dei tempi nuovi, dal suo grande «allievo», il principe degli umanisti d’Europa Erasmo da Rotterdam. Proprio dall’opera di critica neotestamentaria del Valla, di cui si fece primo editore appena l’ebbe ritrovata, Erasmo trarrà l’ispirazione prima per i suoi celebri lavori biblici […].
Circa due secoli e mezzo, dunque, la durata del Rinascimento; soprattutto alcune città-stato d’Italia, il luogo di nascita. Queste le coordinate entro cui cercare, e collocare, se pur vi fu con caratteri ben definiti, l’uomo del Rinascimento: e cioè una serie di figure che nelle loro attività specifiche realizzano tutte, in modo analogo, caratteri nuovi: l’artista, che non è solo artefice di opere d’arte originali, ma che attraverso la sua attività trasforma la sua posizione sociale, interviene nella vita della città, caratterizza i suoi rapporti con gli altri; l’umanista, il notaio, il giurista, che si fanno magistrati, che con i loro scritti pesano nella vita politica; l’architetto che tratta col principe per costruire «fisicamente» la città.»