“L’ultimo miglio. Viaggio nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia tra Amazon, rider, portacontainer, magazzinieri e criminalità organizzata” di Angelo Mastrandrea

Dott. Angelo Mastrandrea, Lei è autore del libro L’ultimo miglio. Viaggio nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia tra Amazon, rider, portacontainer, magazzinieri e criminalità organizzata, edito da Manni. La logistica impiega nel nostro Paese 90.000 imprese, con un fatturato di 8,5 miliardi e un milione e mezzo di addetti e pesa per il 9% sul Prodotto interno lordo: quale evoluzione ha caratterizzato un settore così strategico e rilevante per l’economia?
L'ultimo miglio. Viaggio nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia tra Amazon, rider, portacontainer, magazzinieri e criminalità organizzata, Angelo MastrandreaLa crescita del settore logistico va di pari passo con le trasformazioni dell’economia e del commercio, anche in relazione alle evoluzioni della tecnologia. Le merci si spostano in continuazione, le vendite on line spesso superano quelle nei negozi tradizionali e per questo divengono centrali il deposito e il trasporto. La cosiddetta “regione logistica milanese”, un’area che si estende dal Veneto al Piemonte, a nord fino a Como e verso sud a Piacenza, è la terza d’Europa per importanza e fatturato. I nuovi poli logistici padani hanno sottratto campagna all’agricoltura e preso il posto delle cascine di un tempo. Tutto ciò cambia non solo l’economia e il lavoro, ma pure il paesaggio e, oserei dire, le persone che vivono in quei luoghi.

L’e-commerce, complice anche la pandemia, ha registrato una crescita impetuosa: nella sola Italia +35% mentre Amazon Europa ha dichiarato nel 2020 un fatturato di 44 miliardi di euro. Cosa ha significato questo per la logistica?
Alla base della crescita della logistica in Italia c’è innanzitutto l’esplosione dell’e-commerce e delle consegne a domicilio, che ha moltiplicato la domanda di facchini, magazzinieri, driver e rider. Il punto più rilevante, a mio parere, non riguarda tanto l’espansione di questi lavori, di per sé duri, alienanti e usuranti, bensì il fatto che l’intero settore è monopolizzato dalle multinazionali che controllano le piattaforme. Sono loro a dettare le regole e a fare il bello e il cattivo tempo. Per fare un esempio, a Napoli la consegna a domicilio delle pizze e persino dei caffè esiste da sempre, però se in passato era affidata ai garzoni di bar e ristoranti, oggi è gestita dai colossi che prendono le prenotazioni on line e assegnano le consegne ai rider, guadagnando sull’intermediazione. Nel mio libro ho provato a raccontare questi macro-fenomeni attraverso una serie di storie emblematiche.

Nel libro Lei afferma che «nelle cattedrali della logistica sta nascendo una nuova coscienza politica e, a volerli osservare, si notano i germogli delle lotte del prossimo futuro»: quali rivendicazioni agitano le lotte dei lavoratori dell’«ultimo miglio»?
Innanzitutto quelle per diritti di base, quale quello a essere riconosciuti come dipendenti e non essere considerati liberi professionisti come accade ai rider. Poi a non essere sfruttati e a essere retribuiti in maniera decente. Le rivendicazioni non sono tutte uguali. Diverse aziende fanno fatica persino a riconoscere i sindacati, molte fanno ricorso a cooperative esterne, con il risultato di una giungla contrattuale e retributiva che solo ora, in seguito ad alcune inchieste giudiziarie, sta venendo alla luce. In alcuni casi sono state ipotizzate dalla magistratura persino forme di caporalato. I conflitti che esplodono sono duri perché hanno pochi filtri e mediazioni, e spesso sono indotti dalla disperazione. Rimangono invisibili perché i piazzali della logistica non sono come le piazze novecentesche, che si trovano nei centri delle città e sono affollate di persone. Rimangono periferici, hanno il nulla attorno. Se ti ammazzano, non ti vede nessuno, com’è accaduto al sindacalista Adil Belkhadim, travolto da un tir a un picchetto davanti al deposito della Lidl nella zona industriale di Biandrate, nel novarese.

Nel libro Lei descrive nel dettaglio l’organizzazione del lavoro nel centro di distribuzione Amazon di Passo Corese: in quali condizioni operano i dipendenti dell’azienda di Seattle?
Da alcuni punti di vista, possono apparire migliori che in altre aziende. Amazon garantisce salari non alti, ma sopra la media e soprattutto sicuri. Nei depositi c’è un’attenzione spasmodica per la sicurezza e l’ideologia amazoniana ammicca al benessere del dipendente. Nessuno resiste però più di qualche anno perché tutto, compresi la sicurezza e il benessere dei lavoratori, è subordinato a un unico obiettivo: la soddisfazione del cliente. Il modello è quello della vecchia catena di montaggio, con un elemento in più: la capillarità del controllo, affidata a palmari e algoritmi. Si riproduce così la vecchia alienazione sul lavoro, con meno possibilità di sfuggirvi. I racconti che mi hanno fatto i lavoratori che ho intervistato sono impressionanti, in questo senso.

Cosa significa lavorare come rider?
Avere come luogo di lavoro l’intera città. Se essa non è sicura, non lo è neppure l’impiego. Il rider è un lavoratore che rischia più degli altri e non è neppure riconosciuto come un dipendente. Per essere impiegato deve avere almeno una bici di proprietà. Chi controlla se i freni sono usurati o le ruote sgonfie? Chi paga se il mezzo viene rubato durante una consegna? Chi è responsabile della sicurezza durante l’orario di lavoro? Sono tutte domande che esigono una risposta. In più, ciascuno di loro è in competizione con i propri colleghi. Vince chi prende più ordinazioni e arriva prima. Ciò crea conflitti e guerre tra poveri.

Quale futuro, a Suo avviso, per il «capitalismo logistico»?
Utilizzerei come metro di misura le navi portacontainer che attraversano gli oceani cariche di prodotti di ogni genere. Le fanno sempre più grandi per trasportare più merci possibile. Dopo l’incidente della Even Given nel canale di Suez, a marzo, avrebbero potuto decidere di rallentare, organizzare i trasporti su scala diversa, riunificare quantomeno le produzioni. Hanno deciso invece di allargare il canale, in modo da avere meno problemi e farvi passare anche navi più grandi. Finora esisteva un limite invalicabile, per i costruttori: la larghezza degli stretti di Suez e Panama. Ora sarà superato. Neppure le difficoltà legate alla pandemia hanno spinto a cambiare il modello. Il futuro della logistica neoliberista lo prevedo così: in espansione, fino alla prossima crisi.

Angelo Mastrandrea è nato nel 1971 a Sala Consilina (Salerno). Scrittore e giornalista, si è sempre occupato di tematiche legate al mondo del lavoro. Scrive per numerose testate tra cui “il manifesto”, di cui è stato vicedirettore, il “Venerdì di Repubblica” e “Internazionale”. Sue inchieste sono uscite anche in Francia su “Le monde diplomatique”, “Courrier international” e “Revue XXI”. Nel 2015 ha pubblicato Lavoro senza padroni (Baldini&Castoldi).

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