“L’ospite imperfetto. L’umanità e la salute del pianeta nell’Agenda 2030” di Stefano Bocchi

Prof. Stefano Bocchi, Lei è autore del libro L’ospite imperfetto. L’umanità e la salute del pianeta nell’Agenda 2030 edito da Carocci: in che modo l’umanità rappresenta un “ospite imperfetto” della Terra?
L'ospite imperfetto. L'umanità e la salute del pianeta nell’Agenda 2030, Stefano BocchiLa nostra specie (Homo sapiens) convive sulla Terra con milioni di altre specie animali e vegetali. Tutte queste specie condividono le risorse presenti all’interno di questa casa comune senza proprietari, creando sempre nuovi equilibri. Sempre la nostra specie, da un paio di secoli, dimostra di essere così aggressiva nei confronti degli altri viventi, delle risorse e degli equilibri degli ecosistemi, da mettere in difficoltà tutti i meccanismi di regolazione del pianeta. Il problema non è tanto il nostro aumento demografico, quanto il nostro rapporto, spesso inconsapevole, con le risorse e gli impatti delle nostre attività. Questi impatti sono così forti e in via di progressiva crescita, rispetto a quelli di ogni altra specie, che, come è noto, i geologi hanno chiamato questa era “antropocene”, l’ “era umana”. Immaginiamo, per un attimo, questa scena: siamo stati invitati a cena in casa di amici e dopo esserci seduti al tavolo, alcuni di noi iniziano a insultare gli altri convitati pretendendo più porzioni di pasta; iniziano buttare per terra il pane, macchiare la tovaglia, e, ai tentativi di alcuni amici di fermali, rispondono rincarando la dose e alzando la voce. Non è una scena paradossale del teatro dell’assurdo? È invece un’immagine attuale dell’ospite imperfetto o almeno di molti ospiti Sapiens che, secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Nature, hanno superato i limiti del pianeta per quanto riguarda la riduzione della biodiversità, gli inquinamenti di azoto e fosforo.

Cosa implica il concetto di one health?
È un concetto che ci invita a leggere il mondo in cui viviamo come un unico sistema dove è tutto in connessione. È un nuovo modo di vedere e sentire – percepire – il mondo che ci ospita ricco di mille ponti che connettono le cose e il nostro sguardo è attratto dalle connessioni che ci fanno sentire un equilibrio, che in un mondo frammentato non riusciamo a percepire. Un concetto che in parte rivoluziona molte discipline scientifiche e umanistiche. Consideriamo ad esempio il concetto di olobionte. Ciascun organismo complesso, come l’essere umano, vive continuamente in rapporto con miliardi di altri, diversi, esseri viventi. È un rapporto simbiotico. Il nostro corpo è affollatissimo di miliardi e miliardi di microrganismi che ospitiamo sulla nostra pelle, nelle mucose, nell’intestino. Questi microrganismi svolgono tantissime funzioni che ci permettono la vita e ci consentono, o meno, di vivere in salute. Il termine microbiota è stato proposto per indicare l’insieme di questi esseri viventi e microbioma il termine che indica l’informazione genetica totale. Alcuni scienziati si chiedono se sia corretto chiamare il nostro corpo ancora con il termone “corpo umano” oppure come olobionte, per indicare un organismo vivente in simbiosi con il proprio microbiota e con gli ecosistemi che si generano dal rapporto. Si sviluppa così la teoria dell’endosimbiosi (simbiosi interna) in stretto rapporto con one health: si tratta infatti di capire che la salute è una proprietà dinamica di ecosistemi che alle diverse scale, interni o esterni ad altri ecosistemi, permettono equilibri funzionali alla vita.

La perdita generale di diversità all’interno del nostro microbiota intestinale rispetto ai nostri antenati viene vista da diversi studiosi come collegata ad alcune importanti malattie croniche.

Quali soluzioni propone l’Agenda 2030 per una piena e multiprospettica sostenibilità?
Propone di considerare, prendendone diffusamente coscienza, le principali criticità attuali. Le soluzioni di agenda 2030 dipendono dall’entità del problema riscontrato (attraverso gli indicatori) e dalle dinamiche che dovrebbero essere rilevate alla scala regionale (o Statale). L’agenda non propone direttamente interventi, ma stabilisce obiettivi lasciando ai territori il compito e la responsabilità di raggiungerli attraverso percorsi culturalmente e tecnologicamente diversificati.

A che punto siamo con l’attuazione del percorso indicato dall’Agenda 2030?
È una situazione che ci indica dei passi avanti, soprattutto per alcuni dei 17 obiettivi, ma anche dei passi indietro, e comunque un generale ritardo. Nell’ambito dell’ultimo vertice dell’HLPF, “Accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, è stato presentato e discusso il Rapporto 2019 sullo Sviluppo Sostenibile Globale, che ha sottolineato il forte ritardo nel perseguimento di taluni Obiettivi, segnalando la necessità di interventi correttivi, sia sul piano della tutela dell’ambiente, sia in relazione al contrasto delle disuguaglianze economiche e sociali tra le diverse aree geografiche, nelle città e tra i diversi gruppi sociali. È proprio in linea con l’annuale rapporto dell’ISTAT. Ma vorrei essere più preciso e fornire alcune importanti informazioni relative ad alcuni obiettivi (SDG) dell’agenda con i dati statistici Italiani.

In Italia, nel 2018, la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 27,3% (circa 16 milioni e 400 mila individui). È diminuita rispetto all’anno precedente (28,9%), ma il livello italiano rimane comunque superiore a quello europeo (21,7% nel 2018 dal 22,4% del 2017).

Per quanto riguarda il secondo obiettivo dell’Agenda (lotta alla fame e agricoltura sostenibile) rimane piuttosto allarmante il dato secondo cui oltre il 30% dei bambini da 3 a 5 anni è in sovrappeso. Come sappiamo questo rappresenta un fattore di rischio per la salute e in molti casi un indice di mancata 0 scarsissima educazione alimentare. Fortunatamente, la percentuale si riduce fortemente con l’età: i ragazzi fra i 14 e i 17 anni (dati 2017/18) risultano in sovrappeso al 15%. Aumentano le superfici ad agricoltura biologica e questo è un dato positivo (dai recenti dati ISTATO sono aumentate del 75% dal 2010).

A questo dato positivo si contrappone quello relativo all’orientamento all’agricoltura della spesa pubblica che si riduce fortemente da 0,35 a 0,19 punti di valore aggiunto del settore fra 2010 e 2018. Ciò è in evidente contrasto con quanto auspicato da Agenda 2030.

Per il terzo obiettivo relativo agli stili di vita, sottolineerei il dato che riguarda l’indicatore sulla speranza di vita non in generale, ma di vita in buona salute: se valutiamo questo aspetto dobbiamo purtroppo constatare che se da un lato possiamo sperare di vivere fino a 83 anni totali (vita attesa), dall’altre ci fermiamo a 58 per gli anni di buona salute: proviamo ad aumentare?

Mi sta particolarmente a cuore il 4 obiettivo, che riguarda la qualità dell’educazione. La percentuale di studenti italiani che non raggiungevano (dati del 2018) il livello minimo di competenza scientifica (low performer) era pari a 23,9%. Solo il 28% dei giovani possiede una laurea o un titolo terziario: ci sono quindi vasti margini di miglioramento, se pensiamo che la media europea, pari al 41%, è molto più alta della nostra.

Passando in rassegna i diversi obiettivi, mi colpisce il dato relativo alle condizioni abitative, che non sono soddisfacenti per più di un quarto della popolazione italiana. È alto, e in aumento (ISTAT 2018), il numero di famiglie costrette a vivere in abitazioni sovraffollate (28%).

Come del resto rimangono alti i livelli di inquinamento atmosferico da particolato; alti e superiori alla media dell’Unione Europea. Positivi invece sono i trend che riguardano i rifiuti urbani conferiti in in modo differenziato alle discariche.

Uno degli aspetti che devono essere urgentemente considerati, in quanto strettamente connessi con il nostro futuro sostenibile, riguarda il consumo di suolo e dei connessi servizi ecosistemici. Il consumo è in continuo e gravissimo aumento. Le nuove superfici asfaltate o cementificate sono state, nel 2018 (ISTAT) circa 48 km2. Il 7,6% del territorio italiano è ormai coperto da superfici artificiali impermeabili.

Se consideriamo la biodiversità e le dinamiche che la caratterizzano, ci appare un quadro così chiaro da imporci risoluti interventi per la sua difesa: circa il 30% delle specie terrestri di vertebrati e il 20% delle specie di insetti presenti in Italia sono in pericolo di estinzione.

Come si compone una dieta sostenibile?
Non sono un nutrizionista, ma da agroecologo vedo invece i possibili riflessi positivi di diete modificate rispetto a quelle attuali. Le diete che riducono i consumi di carne di grandi animali da allevamento intensivo (bovini e suini in particolare) permettono di ridurre la richiesta di colture foraggere intensive (in particolare mais, senza dimenticare la soia) che implicano un uso non equilibrato dell’energia (pensiamo all’impiego di quote elevate di energia fossile per la produzione di agrofarmaci e fertilizzanti impiegati con efficienze d’uso non elevate nella coltura del mais da trinciato o pensiamo all’energia fossile utilizzata per trasportare da un continente all’altro, dall’America all’Europa, granella di soia, necessaria per questi allevamenti). Una dieta con maggiori e diversificate fonti di frutta e verdura permetterebbe di progettare sistemi colturali con diversi assetti agroforestali con potenziata agrobiodiversità. Una dieta più ricca di leguminose da granella (piselli, fagioli, ceci, lenticchie, fave, favini, cicerchie e altre) permetterebbe di aumentare la domanda locale di questi prodotti e quindi ci spingerebbe a coltivare maggiormente in questa direzione, diversificando le rotazioni agrarie e rendendo più sostenibili le agrotecniche grazie alle complementari caratteristiche di queste colture con quelle dei cereali. Del resto l’obiettivo 12 dell’Agenda parla proprio di consumo e produzioni sostenibili, facendo capire che i due ambiti sono da considerare come una sola cosa.

In che modo è possibile educare allo sviluppo sostenibile?
Credo che sia più semplice farlo che dirlo. È necessario riprendere contatto diretto e continuativo con ambienti che non siano quelli costruiti da noi. La città, l’edificato, può riprendere il contatto con la propria campagna circostante; le scuole con i parchi, i giardini; i luoghi di lavoro con le aree di ricreazione, riposo, sport verdi, con ampia e vitale biodiversità. Il cosiddetto deficit di natura (nature deficit) è fonte di squilibri ma soprattutto, giorno dopo giorno, impoverisce gli adulti e non permette uno sviluppo culturale armonico per i più giovani. Siamo portati a potenziare continuamente le conoscenze e i linguaggi degli ambiti tecnologici, ma rischiamo di perdere la capacità di interpretare i segni della natura, che sono legati alla complessità, alla dinamicità, all’imprevisto. L’educazione al futuro sostenibile è invece basata sul pensiero critico (la consapevolezza dell’incertezza, del dubbio e sapere convivere con questi). L’educazione al futuro sostenibile include forme di pensiero sistemico e complesso, la capacità di progettare, la predisposizione a lavorare con gli altri. Queste sono le basi di questo tipo di educazione, che richiede schemi di gioco maggiormente cooperativi (gioco di squadra) rispetto a quelli competitivi che attualmente predominano nella nostra società. Molte scuole e università hanno iniziato questo percorso, che è molto stimolante.

Quale parte hanno a tal fine le strategie di urban health?
Le strategie di Urban Health hanno diverse strategie, ma quella decisiva si sviluppa a partire da un approccio sistemico che non scollega la città dalla propria campagna, non scollega il centro dalle periferie, non scollega i sistemi verdi tra loro, ma crea delle reti e dei corridoi potenziando i trasporti pubblici, riservando una attenzione particolare alle categorie più vulnerabili, come bambini, donne, persone con invalidità. Le strategie di Urban Health dovrebbero focalizzarsi su nuove forme di riutilizzazione dell’edificato esistente annullando il consumo di suolo, migliorando l’abitabilità degli edifici e potenziando i servizi ecosistemici delle aree verdi secondo le esigenze locali. Oltre a questo è utile, se non necessario come ricordato dalla stessa Agenda, alzare lo sguardo per supportare i paesi meno ricchi del mondo attraverso una assistenza tecnica e finanziaria.

Nel Suo libro si interroga icasticamente «Gaia, molto probabilmente, si salverà. E l’ospite?»
Gaia ha superato, nei suoi milioni di anni di vita, grandi crisi e ha sempre trovato un nuovo equilibrio, naturalmente molte specie animali e vegetali non hanno trovato spazio nei nuovi equilibri di GAIA, e molte specie si sono estinte. Dobbiamo capire che il concetto di sostenibilità riguarda soprattutto la nostra specie: quando mettiamo in crisi gli equilibri termici, biochimici, biologici attuali del pianeta, quelli che ci hanno consentito di crescere, mettiamo a rischio la nostra sopravvivenza e quindi mentre sicuramente ci saranno nuove specie capaci di trovare strategie convenienti per GAIA futura, la nostra specie, con l’attuale trend, non è proprio al sicuro. Io, tuttavia, sono ottimista e condivido in gran parte il messaggio di Edward Wilson (E.Wilson, Le origini della creatività, 2018) che parla di un terzo illuminismo prossimo futuro nel quale un nuovo atteggiamento di tutti noi potrà aiutare a trovare soluzioni creative e realmente innovative per un futuro sostenibile.

Stefano Bocchi è professore ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Università degli Studi di Milano. Delegato del Rettore per la sostenibilità. Ha coordinato gruppi di ricerca nazionali e internazionali sui temi della sostenibilità, della cura del paesaggio e dell’agroecologia. Curatore scientifico del Parco della biodiversità di expo 2015, è presidente dell’Associazione italiana di agroecologia (Aida). Tra le sue numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative, si segnala Zolle, storie di tuberi, cereali e terre coltivate (R. Cortina, 2015).

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